19 September 20258 minute read

Labour News - Le novità della settimana

19 settembre 2025
In evidenza

Corte di Cassazione, 11 settembre 2025 n. 24994 - Licenziamento per sopravvenuta inidoneità: sì se non ci sono soluzioni compatibili

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della lavoratrice avverso la sentenza con la quale i giudici di appello avevano ritenuto legittimo il licenziamento per sopravvenuta inidoneità alle mansioni intimatole dalla sua ex datrice di lavoro, una volta verificato che in azienda non vi fossero mansioni compatibili con le limitazioni prescritte dal medico competente.

In primo luogo, la Corte ha ribadito l’orientamento ormai consolidato in tema di licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni secondo cui grava sul datore di lavoro l’onere probatorio relativo non solo al sopravvenuto stato di inidoneità del lavoratore e all’impossibilità di adibirlo a mansioni, eventualmente anche inferiori, ma anche all’impossibilità di adottare soluzioni organizzative ragionevoli.

A tal proposito, la Corte ha, inoltre, sottolineato che non sarà sufficiente per il datore di lavoro dimostrare la mancanza di posti disponibili “come si trattasse di un ordinario obbligo di repêchage”, bensì quest’ultimo dovrà “dimostrare di avere, con un comportamento positivo, ricercato possibili soluzioni e misure organizzative appropriate o ragionevoli”.

Premesso quanto sopra, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso della lavoratrice, ritenendo che, nel caso di specie, l’onere probatorio fosse stato correttamente assolto, e che, effettivamente, non risultava possibile adibire la lavoratrice ad altre mansioni.

Corte di Cassazione, 11 settembre 2025, n. 24991 – Periodo di prova e procedura telematica di dimissioni

La Corte di Cassazione ha stabilito la legittimità della revoca delle dimissioni rassegnate da un lavoratore durante il periodo di prova. Il caso riguardava un dipendente che, dopo il primo giorno di lavoro, aveva presentato le dimissioni mediante la procedura telematica prevista dall’art. 26 del D.lgs. 151/2015, e le aveva successivamente revocate entro i 7 giorni consentiti dalla legge.

La società datrice di lavoro contestava l’efficacia di tale revoca, richiamando la Circolare ministeriale n. 12/2016, secondo cui il rapporto di lavoro in prova sarebbe escluso dall’ambito di applicazione della procedura telematica, rendendo quindi invalida la conseguente revoca.

La Suprema Corte ha invece chiarito che le circolari ministeriali hanno natura di meri atti interni dell’amministrazione, volti a uniformarne l’attività, ma non producono effetti vincolanti né possono incidere sull’interpretazione giudiziale.

Pertanto, anche il rapporto di lavoro in prova rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 26 del D.lgs. 151/2015, con la conseguenza che la revoca delle dimissioni effettuata dal lavoratore deve considerarsi pienamente valida ed efficace.

INPS, comunicato stampa - Riforma della disabilità: avvio alla seconda fase di sperimentazione

L’INPS, con un comunicato stampa del 12 settembre 2025, ha annunciato che - a partire dal 30 settembre 2025 - verrà avviata la seconda fase di sperimentazione della Riforma della disabilità ai sensi del d.lgs. n. 62/2024, a seguito del primo avvio avvenuto lo scorso gennaio.

Una delle principali novità riguarda le nuove modalità di avvio del procedimento per l’accertamento della disabilità, che potrà essere attivato esclusivamente tramite l’invio telematico all’INPS del certificato medico introduttivo, senza necessità di ulteriori adempimenti o domande.

In questo modo l’INPS diventerà l’unico ente responsabile del processo, semplificando l’iter e velocizzando le pratiche.

Le province incluse in questa seconda fase sperimentale sono Alessandria, Genova, Isernia, Lecce, Macerata, Matera, Palermo, Teramo e Vicenza.

Inoltre, è previsto che le procedure avviate con la vecchia modalità dovranno essere completate entro il 29 settembre 2025.

INPS, circolare dell’11 settembre 2025, n. 125 - Istruzioni sugli obblighi contributivi per i contratti di ricerca e incarichi post-doc

L'INPS ha fornito chiarimenti in merito agli obblighi contributivi per i contratti di ricerca e incarichi post-dottorato.

In particolare, l’Istituto ha chiarito che i datori di lavoro sono tenuti all’assolvimento degli obblighi contributivi previsti in termini generali per i lavoratori dipendenti assunti a tempo determinato.

Inoltre, l'INPS ha chiarito che:

  • i contratti di ricerca non sono compatibili con la frequenza di corsi di laurea, dottorato di ricerca o specializzazione di area medica. Dunque, la relativa frequenza comporta il collocamento in aspettativa, durante la quale non sussiste alcuno obbligo contributivo;
  • gli incarichi post-doc non sono compatibili con qualsiasi altro rapporto di lavoro subordinato presso soggetti pubblici o privati, né con la titolarità di assegni di ricerca. Dunque, anche in questo caso, la relativa assegnazione comporta il collocamento in aspettativa, durante la quale non sussiste alcun obbligo contributivo per il datore di lavoro e non è previsto neppure il riconoscimento di contribuzione figurativa.

 

Le altre novità

Giurisprudenza

Corte di Cassazione, 20 agosto 2025, n. 23603 - Prosecuzione del rapporto lavorativo dopo il conseguimento dell’età pensionistica: diritto potestativo?

La Corte di Cassazione ha chiarito che la prosecuzione dell’attività lavorativa presso il medesimo datore di lavoro a seguito del raggiungimento dell’età pensionistica non opera in automatico.

Infatti, richiamando l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 17589/2015, la Corte ha precisato che la prosecuzione non rappresenta un diritto potestativo del dipendente.

Invero, l'art. 24, del D.L. n. 201/2011 prevede che la pensione può essere conseguita al raggiungimento del requisito dei settanta anni; tuttavia, non esclude che l'attività lavorativa possa proseguire anche oltre il predetto limite.

Pertanto, la prosecuzione del rapporto deve essere espressamente prevista dalle parti tramite un apposito accordo che, in assenza di specificazione nell’art. 24, comma 4, del D.L. n. 201/2011 in merito alle modalità di prosecuzione dell'attività lavorativa, può essere anche “tacito”.

Prassi

Settimana corta: dal 2026 per un intero stabilimento EssilorLuxottica

A partire da gennaio 2026 EssilorLuxottica porterà la settimana corta presso un intero stabilimento italiano. La scelta nasce dal successo della sperimentazione lanciata nel 2024 con il modello “Time4You”: 20 settimane l’anno da quattro giorni senza riduzioni di stipendio. I risultati parlano chiaro: produttività stabile, meno infortuni, maggiore sostenibilità e un miglior equilibrio vita-lavoro.

Oggi già oltre 3.500 addetti, in gran parte giovani, usufruiscono di formule di orario flessibile, con un boom di adesioni alla settimana corta (+150% nel 2025). Entro fine anno i tavoli tecnici con i sindacati individueranno il sito pilota e le modalità di attuazione.

Un passo che si inserisce in una strategia più ampia di innovazione organizzativa, a conferma dell’impegno nel coniugare benessere delle persone e competitività industriale.

 

Tema della settimana

Congedo parentale: assenza dal lavoro legittima solo se finalizzata all’assistenza dei figli

Il congedo parentale costituisce uno strumento essenziale di sostegno alla genitorialità e di conciliazione tra vita lavorativa e familiare, la cui funzione è tuttavia circoscritta alla cura dei figli. Proprio tale vincolo teleologico consente di distinguere l’esercizio legittimo del diritto da condotte che ne integrano un uso distorto o abusivo.

Con la recente ordinanza del 9 settembre 2025, n. 24922, la Corte di Cassazione ha nuovamente affrontato il tema ribadendo un principio chiave in tema di congedo parentale: l’assenza dal lavoro è ammissibile esclusivamente se posta in relazione diretta con l’assistenza al figlio; in difetto, si configura abuso del diritto.

Nel caso affrontato dalla Corte, un lavoratore veniva licenziato perché – come emerso da indagini investigative disposte dal datore di lavoro - aveva utilizzato i giorni di congedo non per accudire il figlio di tre anni, ma per prestare attività nello stabilimento balneare gestito dalla moglie. In ogni caso, le indagini avevano documentato che, nei 46 giorni di congedo, il lavoratore era stato visto presso il lido soltanto in cinque occasioni, senza i figli al seguito, e per permanenze di poche ore. Tuttavia, tale scelta imponeva alla famiglia il ricorso a un supporto esterno per sostituire la presenza del padre, privando il minore di quel contatto che il congedo parentale è destinato a tutelare. Proprio la necessità per la famiglia di ricorrere ad aiuti esterni per supplire all’assenza del padre ha reso evidente lo sviamento dalla finalità propria dell’istituto.

I giudici di legittimità, confermando le pronunce di merito, hanno ritenuto tale condotta idonea a giustificare il licenziamento per giusta causa, sottolineando che il congedo parentale non può essere trasformato in un periodo di disponibilità personale svincolato dall’esigenza di cura della prole. Anche un singolo episodio significativo è sufficiente a integrare un abuso, senza che sia necessario dimostrare un uso sistematico distorto del diritto.

La Cassazione ha ricordato che il congedo parentale deve essere esercitato esclusivamente per la cura diretta del bambino e che qualunque attività non collegata a tale finalità integra un abuso del diritto. L’assenza dal lavoro, dunque, è giustificata solo se posta in relazione immediata con l’assistenza al figlio, in coerenza con la ratio stessa dell’istituto. In caso contrario, viene meno non solo il vincolo di buona fede nei confronti del datore di lavoro – privato ingiustamente della prestazione e costretto a riorganizzarsi – ma anche la legittimità della corresponsione dell’indennità, con conseguente sviamento delle risorse destinate al sostegno familiare.

La pronuncia assume rilievo sistematico: richiama i lavoratori a un utilizzo conforme del congedo, strettamente collegato all’interesse del minore, e fornisce ai datori di lavoro un criterio chiaro per valutare condotte potenzialmente abusive, legittimando – in presenza di adeguati riscontri – l’attivazione del procedimento disciplinare sino al recesso. Ne risulta rafforzata la linea interpretativa che riconosce al congedo parentale la natura di diritto condizionato e non di beneficio incondizionato, con la conseguenza che l’allontanamento dalla sua funzione tipica legittima l’intervento sanzionatorio.

Tale decisione si colloca all’interno di una casistica ormai ampia. In alcune vicende i giudici hanno confermato il licenziamento del lavoratore sorpreso a dedicarsi ad attività del tutto estranee alla cura della prole; in altre, invece, è stato escluso l’abuso quando le attività svolte – pur non consistendo in un’assistenza diretta e costante – risultavano comunque funzionali all’organizzazione familiare e ai bisogni del minore.

Il quadro che ne emerge è quello di un istituto fortemente tutelato, ma il cui esercizio resta sottoposto a un rigoroso scrutinio di coerenza con la sua finalità tipica: garantire la cura e il benessere dei figli.

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