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3 May 202010 minute read

Allineare gli interessi

In un mercato così impattato dal COVID-19 solo un allineamento degli interessi può generare processi virtuosi con effetti sulla domanda aggregata: questo si ottiene mediante opportuni strumenti giuridici con effetti sulla finanza e sui suoi protagonisti. Gli intermediari vigilati sono stati scelti come lo strumento per “mettere a terra” la potenza che il governo sta dispiegando a tutela dell’economia del paese, ma occorre che questi possano operare come strumenti del pubblico senza pregiudicare i diritti dei loro stakeholders.

Antonio Lombardo, partner e head of Corporate and Finance di DLA Piper in Italia, fornisce una visione d’insieme dello scenario economico nazionale, esaminando l’efficacia delle misure adottate dal governo e individuando possibili aree di intervento per renderle più incisive, tanto per il settore finanziario quanto per il mondo produttivo.

L’emergenza coronavirus rappresenta probabilmente il più grande shock economico dal dopoguerra. Superato il lockdown, l’incertezza potrebbe tenere frenati a lungo consumi e investimenti. Come si può tornare verso una situazione di normalità?

Regola aurea di qualsiasi accordo economico è l’allineamento degli interessi, in modo che parti opposte arrivino, mediante accordi, ad armonizzare e rendere compatibili le loro posizioni relativamente ad uno specifico affare e agiscano per un individuato “bene comune”. Nell’ambito del rapporto stato-cittadino, ciò viene consacrato dal principio democratico del no taxation without representation sancito nel 1761 da James Otis, senza con ciò voler ridurre il rapporto tra stato e cittadino alla mera corrispettività, ma solo esaltando il concetto di pubblico e privato che in situazioni eccezionali non possono che operare per i medesimi obiettivi.

Come giudica le misure messe in campo dal governo per fronteggiare la carenza di liquidità delle imprese dovuta alla diffusione della pandemia?

Davanti al disastro economico che si profila nel post COVID-19, il governo è intervenuto per favorire la concessione di finanziamenti da parte delle banche, garantendone larga parte, in modo da mettere la finanza pubblica a servizio della finanza privata e così stimolare la domanda, tentando di allineare, appunto, gli interessi tra la parte pubblica, gli imprenditori e le istituzioni finanziarie.

Alla primissima prova, l’operazione non sembra essere riuscita perfettamente in quanto:

  • il costo della finanza, per il sommarsi di commissione SACE e tassi di interesse praticati dagli istituti di credito, risulta essere sensibilmente più alto dei tassi che gli istituti di credito avrebbero altrimenti praticato. Questo non è tanto l’effetto della (modesta) commissione di SACE, ma dell’avere omesso di sussidiare (si badi bene, non calmierare) il margine di redditività del capitale privato. Non esistevano alternative? Forse si, il prestito diretto dello Stato, per esempio, avrebbe consentito impieghi a rendimenti più bassi, oppure le Stato avrebbe potuto intervenire nell’equity delle aziende, fornendo veramente un presidio di alto livello al rischio economico che la recessione porta con sé;
  • il livello di istruttoria sul merito del credito posto a carico degli enti finanziatori è poco chiaro, foriero più di dubbi che di risposte. Soprattutto, non viene chiarito se tali istruttorie devono guardare al mero danno da COVID-19 o verificare le assunzioni prospettiche del ripagamento del credito così erogato. Il solo tema del merito creditizio meriterebbe una trattazione più ampia, ma non si può accennare all’argomento senza osservare che, probabilmente, si sarebbe potuto prevedere che l’istruttoria creditizia deve essere sommaria e che l’istituto di credito risponde della istruttoria verso il garante solo in caso di dolo o colpa grave. Questo avrebbe consentito alle banche di abbandonare i modelli di valutazione del merito creditizio limitatamente ai finanziamenti COVID-19, e favorito la velocità di erogazione dei finanziamenti;
  • le misure del governo in tema di finanziamenti sembrano riguardare le imprese che erano in bonis ante pandemia e non coprire le esigenze finanziarie di imprese che hanno in corso piani di risanamento o piani di ristrutturazione performanti. Purtroppo, ad esito della ancora non completamente superata crisi del 2008, una parte di aziende sono in ristrutturazione o hanno in corso piani di concordato preventivo che non consentono accesso alla finanza COVID-19; queste aziende però, al pari di quelle in bonis, hanno subito danni ad esito della pandemia e potrebbero vedere frustrati gli sforzi e vanificato l’impiego di risorse finanziarie nei piani di riequilibrio finanziario e patrimoniale, se non fossero ammessi al credito COVID-19. Peraltro, sfugge il motivo per cui si trattano in maniera diversa imprese accomunate (quantomeno) dall’esperienza della pandemia: la discriminazione potrebbe tra l’altro dare luogo a censure di costituzionalità, ma sicuramente i fallimenti e la perdita di livelli occupazionali importanti saranno più veloci di una decisione della Consulta.
Quali potrebbero essere, secondo lei, gli interventi di miglioramento dell’attuale disciplina?

Non diciamo nulla di nuovo se affermiamo che la normativa COVID-19 non è stata opportunamente coordinata con la normativa penale relativa alla bancarotta semplice, con quella in materia di responsabilità erariale, con le norme che regolano la responsabilità degli organi sociali e con le disposizioni in materia di vigilanza prudenziale per i gruppi bancari. Eliminare, in relazione ai finanziamenti COVID-19, la colpa con riferimento alle fattispecie di abusiva concessione del credito e abusivo ricorso al credito (e quindi chiudere l’accesso al reato di bancarotta semplice nei casi di cui stiamo parlando) sarebbe stato un vulnus insostenibile per il sistema? Escludere la violazione delle norme sul danno erariale nell’ipotesi di vizi nell’erogazione del credito avrebbe dato l’idea di uno Stato che non protegge i suoi diritti? Forse no, ma un legislatore accorto presto porrà rimedio ad alcune distorsioni della legislazione emergenziale.

Alcune categorie produttive hanno lamentato di essere state dimenticate dal c.d. “diritto dell’emergenza”. È successo anche nel settore finanziario?

La legislazione emergenziale si è occupata della tutela dei livelli occupazionali e quindi i fondi di gestione collettiva, per l’esiguità del numero di addetti, non hanno, in prima battuta, rappresentato una priorità e non sono stati oggetto di sostegno finanziario. Ora non si può dimenticare che parte della capital structure di queste entità è costituito da indebitamento verso il sistema bancario e che quindi, a maggiore tutela di tutti i soggetti coinvolti, occorrerebbe dotare di strumenti di tutela anche queste entità, che a loro volta hanno partecipazioni di minoranza o controllo in aziende in bonis e ristrutturate ovvero la proprietà di importanti patrimoni immobiliari che, in difetto di tutela, potrebbero essere venduti, a valori di liquidazione, in aste giudiziarie per effetto di procedure di insufficienza patrimoniale dei fondi . La tutela dei patrimoni che queste entità posseggono al pari delle aziende in bonis è solo un altro necessario presidio per la tutela della ricchezza del paese. Peraltro, contemplare una legislazione di favore (misure fiscali, defiscalizzazione degli investimenti sui portafogli sia come equity che come nuova finanza, defiscalizzazione delle imposte di atto e semplificazione delle procedure relative alle operazioni di cessioni di UTPs e NPLs) sui cd. fondi di credito potrebbe favorire la valorizzazione dei crediti impaired da parte delle banche.

Il coronavirus causerà una flessione molto significativa del PIL e della produzione industriale in quasi tutti i paesi del mondo. Ciò rischia di innescare una spirale negativa in grado di colpire duramente il settore bancario. Come evitarlo?

Occorre che la legislazione sia nazionale che europea di primo e di secondo livello “congelino” l’effetto dei crediti impaired sui patrimoni degli istituti di credito al fine di evitare che gli effetti della crisi si estendano, come tessere di un domino, sui patrimoni delle banche, indebolendo queste in prima battuta, ma poi danneggiando il risparmio privato investito negli istituti di credito mediante la sottoscrizione di strumenti di equity, debito e ibridi. Non si può permettere che gli istituti di credito e i loro azionisti paghino il prezzo di questa nuova crisi e strumenti tesi a tutelare la trasparenza dei patrimoni delle banche come la calendary provisioning in questa fase vanno sospesi per la straordinarietà dell’evento e la magnitudine delle sue conseguenze. Le banche costituiscono uno soggetto centrale nel nostro sistema finanziario che va tutelato “whatever it takes”, riprendendo una felice espressione di Mario Draghi e la tutela stessa delle banche è funzionale alla tutela della imprenditoria privata e dei risparmiatori.

Per quanto riguarda le politiche fiscali, uno degli strumenti più importanti in mano al legislatore, quali interventi ritiene utili?

Fino ad oggi abbiamo visto molteplici interventi emergenziali sul fisco a favore di consumatori, imprese e lavoratori autonomi e dipendenti. Qui non vogliamo nemmeno azzardare una lista delle molteplici aree di intervento sistematiche che una crisi come questa potrebbe rendere possibili o opportune. Sommessamente e da tecnici legali della finanza e della crisi di impresa, ci limitiamo a un unico suggerimento e cioè l’abolizione del privilegio del credito del fisco. Tale privilegio genera, sia nelle risoluzioni negoziate della crisi sia nelle procedure concorsuali, gravi distorsioni, fino ad essere causa del fallimento di numerosi salvataggi per il fatto di assorbire una parte importante dei flussi, a scapito di creditori chirografari; questi creditori però, a differenza del fisco, hanno fornito alle aziende in crisi beni e servizi, hanno lavorato, hanno investito risorse economiche e a loro volta si sono indebitate per fornire e vedono messa in discussione la loro stessa sopravvivenza da un altro creditore, il fisco appunto, che li sopravanza sulla base di una semplice regola: lui viene prima. Non sfugge che questa, anche solo come provocazione, possa apparire come un insanabile vulnus al sistema ma, possiamo assicurare, alcuni stati, anche europei, prosperano, nonostante il loro credito fiscale non sia assistito da privilegio. E poi, volendo avere riguardo alla ratio della norma e ai beni primari che tutela, siamo proprio sicuri che l’interesse all’esazione di un credito fiscale venga prima dell’interesse (pubblico e privato) al buon esito di un programma di ristrutturazione, che consenta la ripresa di un soggetto industriale più robusto, che in futuro pagherà anche i suoi crediti fiscali?

Concludo con un’ulteriore provocazione: se i debiti verso il fisco fossero convertiti in poste di equity delle aziende, antergate solo alla azioni/quote esistenti, rendendone necessario il riscatto prima di dare corso a distribuzioni di dividendi (rectius di poste di netto) non staremmo lanciando un convincente messaggio che lo Stato investe nella parte del paese che produce?

Si dice che tutte le crisi nascondano anche grandi opportunità. In che modo il coronavirus potrebbe essere un’occasione di rilancio per l’Italia?

Togliamo dalla naftalina l’espressione “partenariato pubblico privato” per indicare come le norme sul project finanacing potrebbero essere, nel quadro di un intervento strutturato di semplificazione normativa, una spinta verso uno sviluppo infrastrutturale di cui il nostro paese ha estremamente bisogno, anche a costo di investire i proventi di tassazioni speciali: le capex sul paese oggi sono da preferire all’helicopter money. Le strutture di project financing sono sofisticate e tali da garantire, attraverso i modelli di bancabilità, il rientro non solo della parte debito ma anche investimenti significativi, a patto che si esca dall’ottica manichea secondo cui interessi pubblici e privati non sono conciliabili. È ovvio che un intervento volto a favorire iniziative di questo genere dovrebbe essere supportato dalle modifiche normative di semplificazione del partenariato, di stabilizzazione delle concessioni, di minore invasività sulla modifica del soggetto appaltatore in caso di modifiche al controllo avvenute mediante immissioni di equity, di allentamento della stretta gabbia di presidi alle cessioni sul secondario.

A questo punto, occorre quindi intervenire in maniera efficiente e finalizzata sul tessuto economico e finanziario tenendo conto che intervenire su un ordinamento significa non soltanto fare legislazione emergenziale, ma anche agire, in maniera strutturale, sul più vasto corpo di norme che settavano, ante pandemia, una serie di presidi, e che oggi si rilevano road blockers all’efficacia delle misure.

UpAgain fornirà commenti sui singoli temi qui tracciati con il livello di dettaglio che meritano.

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