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20 febbraio 20247 minuti di lettura

Al via il Fondo per il governo dei dispositivi medici

Il Ministero della Salute ha stabilito le modalità per il versamento dello 0,75% del valore del fatturato da parte delle aziende del settore

Con il decreto del 29 dicembre 2023, pubblicato in Gazzetta ufficiale (serie generale numero 33) lo scorso 9 febbraio 2023, il ministero della Salute, di concerto con il ministro dell’Economia e delle Finanze, ha stabilito i criteri e le modalità per alimentare il “Fondo per il governo dei dispositivi medici” prevedendo che “a partire dall’anno in corso, dal 1° novembre al 31 dicembre di ogni anno, le aziende produttrici o distributrici di dispositivi medici e delle grandi apparecchiature e dispositivi medico-diagnostici in vitro versano, sul capitolo di entrata numero 3616, la quota annuale prevista dall’articolo 28 del decreto legislativo numero 137 del 2022 e dall’articolo 24 del decreto legislativo numero 138 del 2022, corrispondente allo 0,75% del valore del fatturato” che, in relazione all’esercizio finanziario precedente, deve essere auto-dichiarato entro il 31 dicembre di ogni anno”.

 

Nuova “contribuzione” per le aziende

A partire da quest’anno, fermo restando il diritto di ricorrere di fronte al giudice amministrativo nei termini di legge, le aziende del settore dei dispositivi medici subiranno una nuova forma di contribuzione che si somma alla pendente questione del payback, oggi in via di definizione di fronte alla Corte Costituzionale che ha fissato le prime udienze per il prossimo 22 maggio.

Dunque, mentre le aziende del settore tiravano un sospiro di sollievo a seguito della pubblicazione delle ordinanze di rimessione della questione di legittimità concernente la normativa del payback da parte del Tar del Lazio, il Ministero della Salute ha adottato un decreto – che in verità si attendeva da diversi mesi – per dare concreta attuazione a questa nuova forma di contribuzione che colpirà indistintamente i fabbricanti e i distributori, piccoli o grandi che siano, che vendono al Servizio sanitario nazionale dispositivi medici, dispositivi medico-diagnostici in vitro e grandi apparecchiature.

 

Da dove nasce la nuova contribuzione

Questa nuova forma di contribuzione nasce per effetto della Legge 22 aprile 2021, numero 53 con cui è stata conferita la delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione Europea (Legge di delegazione europea 2019-2020).

L’articolo 15, comma 1, della predetta legge prevede che il “Governo adotti, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per l’adeguamento della normativa nazionale al regolamento (Ue) 2017/745 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2017, al regolamento (Ue) 2020/561 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2020, e al regolamento (Ue) 2017/746 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2017”.

Nel fare ciò, il Governo doveva attenersi ai principi e criteri previsti al comma 2 dell’articolo 15 che include alla lettera h) quello di “prevedere il sistema di finanziamento del governo dei dispositivi medici attraverso il versamento da parte delle aziende che producono o commercializzano dispositivi medici di una quota non superiore allo 0,75 per cento del fatturato, al netto dell’imposta sul valore aggiunto, derivante dalla vendita al Servizio sanitario nazionale dei dispositivi medici e delle grandi apparecchiature”.

 

Di cosa trattano i decreti

Al fine di dare attuazione alla predetta delega, sono stati adottati due decreti legislativi;

  • Il decreto legislativo numero 137 del 5 agosto 2022 recante “disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (Ue) 2017/745 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2017, relativo ai dispositivi medici, che modifica la direttiva 2001/83/Ce, il regolamento (Ce) numero 178/2002 e il regolamento (Ce) numero 1223/2009 e che abroga le direttive 90/385/Cee e 93/42/Cee del Consiglio, nonché per l’adeguamento alle disposizioni del regolamento (Ue) 2020/561 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2020, che modifica il regolamento (Ue) 2017/745 relativo ai dispositivi medici, per quanto riguarda le date di applicazione di alcune delle sue disposizioni ai sensi dell’articolo 15 della legge 22 aprile 2021, n. 53”.
  • Il decreto legislativo numero 138 del 5 agosto 2022 recante “disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (Ue) 2017/746, relativo ai dispositivi medico-diagnostici in vitro e che abroga la direttiva 98/79/CE e la decisione 2010/227/UE della commissione, nonché per l’adeguamento alle disposizioni del regolamento (UE) 2022/112 che modifica il regolamento (Ue) 2017/746 per quanto riguarda le disposizioni transitorie per determinati dispositivi medico-diagnostici in vitro e l’applicazione differita delle condizioni concernenti i dispositivi fabbricati internamente ai sensi dell’articolo 15 della legge 22 aprile 2021, n. 53”.

 

Il fondo per il governo dei dispositivi medici

L’articolo 28 del decreto legislativo numero 137/2022 istituisce il “Fondo per il governo dei dispositivi medici” prevedendo al comma 1 che sia alimentato “da una quota annuale pari allo 0,75 per cento del fatturato, al netto dell’imposta sul valore aggiunto, derivante dalla vendita al Ssn dei dispositivi medici e delle grandi apparecchiature da parte delle aziende che producono o commercializzano dispositivi medici”.

Il comma 3 del già citato articolo 28 prevede che “fermo restando il vincolo di destinazione per il governo dei dispositivi medici, con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono definiti i criteri e le modalità per il versamento delle quote annuali, per il monitoraggio, nonché per la gestione del fondo di cui al comma 1”.

Analoga previsione la si rinviene anche all’articolo 24 del decreto legislativo 138/2022 concernente i dispositivi medico-diagnostici in vitro.

I predetti decreti legislativi sono entrati in vigore da molti mesi, ma per dare concreta attuazione alle previsioni citate si attendeva, per l’appunto, la pubblicazione del decreto Ministeriale in questione.

 

Verso una nuova battaglia legale?

Ora le aziende del settore in tempi piuttosto rapidi sono tenute a valutare se impugnare o meno questo decreto aprendo così una nuova battaglia legale per difendere un settore i cui fabbisogni e prezzi sono già vincolati a monte alle scelte poste in essere in modo unilaterale dalle stazioni appaltanti e, più in generale, alle regole delle gare pubbliche. In altre parole, si tratta di un’ulteriore misura che comprime l’attività d’impresa.

Prendendo spunto da quanto il Tar del Lazio ha affermato nell’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale per la questione afferente al payback – pur con le dovute differenze esistenti tra le due questioni – anche nel caso di specie si potrebbe sostenere che le aziende calcolano il prezzo da proporre in sede di gara sulla base dei costi di produzione e del margine di utile atteso.

Peccato che le aziende non saranno in grado di conoscere all’atto dell’offerta quale sarà il margine di utile effettivo, al netto del versamento della quota in questione che andrà corrisposta sulla base del fatturato prodotto dalla vendita al Ssn che però è conoscibile solo ex post.

In più, a ulteriore danno degli operatori colpiti dalla predetta misura, anche in questo caso vale il rilievo contenuto nella predetta ordinanza per cui “la norma, per determinare l’ammontare del ripiano, fa riferimento al fatturato e non invece al margine di utile”.

 

Si rischia la violazione di diritti garantiti dalla Costituzione

Inoltre, anche in questo caso, il versamento rappresenta una misura patrimoniale imposta indistintamente a tutte le aziende del settore, senza alcun limite di tempo e senza che né il legislatore, né il Ministero abbiano effettivamente determinato i criteri di applicazione, il che fa presupporre la violazione di diritti costituzionalmente garantiti.

Come per il caso del payback, potrebbe valere quanto è stato rilevato dal Tar nella parte dell’ordinanza in cui ha segnalato che “sono del tutto assenti criteri idonei a considerare la molteplicità e la diversità dei dispositivi medici da ricomprendere nel calcolo dell’ammontare complessivo della spesa rilevante ai fini del payback di cui trattasi e conseguentemente della diversa tipologia dei destinatari dell’imposizione”.