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12 aprile 20246 minuti di lettura

Le novità della settimana in materia di lavoro

Venerdì 12 aprile 2024
Giurisprudenza

Corte di Cassazione, 21 marzo 2024, n. 7640 - Sull’inattività forzosa

Nel caso di specie, un dipendente aveva acquisito una certa professionalità e anzianità di servizio ed era stato lasciato successivamente in stato di forzosa inoperosità. La questione ha a oggetto la richiesta al datore di lavoro il risarcimento del danno da dequalificazione professionale nonché il risarcimento del danno non patrimoniale, nella forma del danno biologico.

Nella fase di merito, il datore di lavoro veniva condannato per aveva costretto all’ozio il lavoratore. In questo senso, veniva fatto valere il percorso lavorativo del dipendente e la “expertise” raggiunta nel settore dei crediti deteriorati e della fase precontenziosa, che avevano determinato “un’evidente dispersione del patrimonio professionale precedentemente acquisito”, nonché “uno svilimento di quel corredo di nozioni, abilità ed esperienze che il dipendente aveva precedentemente maturato”. Quanto, poi, al danno biologico, la Corte d’Appello dava rilievo all’esito della C.T.U., da cui era emerso un “disturbo dell’adattamento con ansia e umore depresso, etiologicamente promosso da una situazione occupazionale con stress lavorativo”.

La Società proponeva, dunque, ricorso per cassazione, denunciando l’errore della corte territoriale consistente nella mancata ed erronea valutazione di fatti decisivi ai fini del riconoscimento e della quantificazione del danno.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha respinto il ricorso della società, sulla base dell’assunto che la forzosa inattività del dipendente integra sostanzialmente una fattispecie di demansionamento e che, per la determinazione del danno, è ammesso il ricorso alla prova per presunzioni, da cui si può dedurre l’esistenza di un danno sulla base di elementi quali “la quantità e la qualità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione e l’anzianità di servizio”.

La Suprema Corte, inoltre, non ha mancato di far valere ulteriori elementi, quali la condizione di totale inattività da cui consegue una “grave dispersione del patrimonio professionale maturato” e l’evidente - sulla base della prova testimoniale resa dai colleghi - visibilità del demansionamento all’interno dell’azienda.

Tale inattività, infatti, “comporta la lesione di un bene immateriale per eccellenza qual è la dignità professionale del lavoratore intesa come esigenza umana di manifestare la propria utilità e le proprie capacità nel contesto lavorativo” e da conseguentemente origine ad un danno risarcibile.

Allo stesso modo, la Corte di Cassazione ha rilevato uno specifico nesso causale tra l’inadempimento datoriale e il danno biologico medicalmente accertato, sulla base della perizia del consulente tecnico d’ufficio che ha rilevato una relazione causale tra la situazione occupazionale, lo stress lavorativo e l’aggravarsi del quadro clinico.

Dunque, in relazione al caso di specie, la Corte ha respinto il ricorso della Società confermando l’esistenza di un danno professionale, liquidato nella misura corrispondente ad 1/3 della retribuzione globale di fatto, per il periodo di effettivo demansionamento, e di un danno biologico liquidato nella somma di euro 20.000,00.

Tribunale di Perugia, 26 gennaio 2024, n. 36 - Investigatore e licenziamento legittimo

È stata di recente pubblicata un’interessante pronuncia di merito.

Il Tribunale di Perugia si è pronunciato in merito all’illegittimità di un licenziamento intimato per giusta causa nei confronti di un lavoratore che aveva fruito del congedo parentale accompagnando la figlia alla scuola dell’infanzia.

Il Tribunale ha rilevato che, nel caso di specie, non è contestato “che il ricorrente avesse chiesto di fruire, nei giorni 23, 24 e 25 novembre 2022, il congedo di cui all’art. 3 comma 1 lett. b. e che tale istanza fosse stata accolta; oggetto della contestazione disciplinare è, invece, la ravvisata natura fraudolenta della richiesta ed il presunto sviamento del tempo del congedo concesso dalla sua funzione tipica”.

Proseguendo, il Tribunale ha evidenziato che “non risulta alcun abuso nella fruizione del congedo in quanto, proprio alla luce delle risultanze della relazione investigativa, detto congedo stato utilizzato proprio ed in modo evidente per la realizzazione della sua funzione tipica ossia la cura dei bisogni e delle esigenze della prole anche nella prospettiva della contestuale necessità di reinserimento nel mondo del lavoro dell’altro genitore (madre). Occorre, al riguardo, premettere the, come risulta dalla contestazione disciplinare, la fascia oraria di fruizione dei congedi nelle giornate del 23, 24, e 25 novembre del 2022 a stata dalle 8.00 alle 13.30. Orbene, nell’ambito delle predette fasce orarie a risultato che il ricorrente abbia accompagnato la figlia a scuola uscendo di casa rispettivamente alle ore 8.55 il mercoledì alle ore 9.29 il giovedì e alle ore 9.15 il venerdì il che ragionevolmente ha comportato la necessità di permanere in compagnia della figlia almeno per ulteriori venti/trenta minuti dovendosi calcolare il tempo necessario a raggiungere l’istituto scolastico, sito in …, dall’abitazione, sita in … individuare parcheggio, parcheggiare e condurre la figlia all’interno del plesso ed affidarla all’addetto scolastico. Il congedo, dunque, ha consentito a parte ricorrente, in perfetta coerenza con la sua funzione, di rimanere a contatto con la figlia, di mattina, sino al momento in cui l’ha concretamente lasciata a scuola e di occuparsi, presumibilmente, di tutte le notorie incombenze preparatorie mattutine necessarie per la cura della prole come la sveglia, l’aiuto alla vestizione e nell’esecuzione delle incombenze igieniche e la preparazione della colazione”.

Alla luce di quanto sopra, il Tribunale ha concluso che “non essendo risultata la prova di alcun abuso di parte ricorrente nella fruizione del congedo il licenziamento, stante l’insussistenza dell’abuso, risulta intimato proprio a causa della fruizione del congedo. Il licenziamento va dichiarato pertanto nullo, posto quanto al riguardo previsto dall’art. 54 comma 6 del d. lgs. 151/2001”.

 

Prassi

Garante Privacy  Newsletter del 28 marzo 2024, n. 520: No al riconoscimento facciale per rilevazione presenze

Il Garante per la protezione dei dati personali ha espresso parere negativo all’uso del riconoscimento facciale per il controllo delle presenze dei lavoratori.

“Il riconoscimento facciale per controllare le presenze sul posto di lavoro viola la privacy dei dipendenti. Non esiste al momento alcuna norma che consenta l’uso di dati biometrici, come prevede il Regolamento, per svolgere una tale attività. Per questo motivo il Garante privacy ha sanzionato cinque società - impegnate a vario titolo presso lo stesso sito di smaltimento dei rifiuti - con sanzioni rispettivamente di 70mila, 20mila, 6mila, 5mila e 2mila euro, per aver trattato in modo illecito i dati biometrici di un numero elevato di lavoratori.

L’Autorità, intervenuta a seguito dei reclami di diversi dipendenti, ha anche evidenziato i particolari rischi per i diritti dei lavoratori connessi all’uso dei sistemi di riconoscimento facciale, alla luce delle norme e delle garanzie previste sia nell’ordinamento nazionale che in quello europeo”.

“Le aziende, ad avviso del Garante, avrebbero dovuto più opportunamente utilizzare sistemi meno invasivi per controllare la presenza dei propri dipendenti e collaboratori sul luogo di lavoro (come ad es. il badge). Oltre al pagamento delle sanzioni il Garante ha ordinato la cancellazione dei dati raccolti illecitamente”.


Per informazioni sulla presente newsletter si possono contattare i coordinatori Avv. Francesca Anna Maria De Novellis, Avv. Davide Maria Testa e Dott. Lorenzo Spranzi.

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