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10 maggio 20245 minuti di lettura

UPC: la Corte d'Appello si pronuncia in tema di conversione della lingua del procedimento di primo grado

La possibilità per una delle parti di chiedere la conversione della lingua in cui è stato instaurato il procedimento di primo grado in quella in cui è stato concesso il titolo brevettuale è espressamente prevista dagli articoli 49(5) UPCA e 323 RoP.

A norma di tali disposizioni, il presidente del Tribunale, dopo aver sentito le altre parti in causa e il collegio, può decidere di accogliere la richiesta, a patto che fondi la propria valutazione sul principio di equità (“fairness”) e tenga conto di tutte le circostanze pertinenti, ivi inclusa la posizione delle parti e, in particolar modo, quella del convenuto.

In concreto, tuttavia, la normativa non offre indicazioni utili circa l’applicazione di tale principio o l’individuazione delle circostanze rilevanti; resta quindi un ampio margine di discrezionalità in capo al Tribunale.

Sul punto è intervenuta una recente pronuncia della Corte d’Appello, che, riformando la decisione del giudice di prime cure, ha accolto la richiesta formulata dal convenuto ai sensi degli articoli in parola, indicando i fattori da tenere in considerazione – così come quelli invece irrilevanti – in una siffatta valutazione.

Nel caso specifico, la società appellata aveva promosso un procedimento d’urgenza avanti la divisione locale di Düsseldorf per la pretesa contraffazione di un brevetto europeo, scegliendo di adottare – quale lingua del procedimento – il tedesco.

Le parti in causa erano entrambe società di diritto statunitense e il titolo azionato era stato concesso in lingua inglese.

Nell’ambito del suddetto procedimento, la convenuta aveva depositato un’istanza ai sensi dell’articolo 323 RoP chiedendo che la lingua del procedimento venisse modificata da quella tedesca a quella inglese; tuttavia, il Tribunale di primo grado aveva rigettato tale richiesta. Di qui l’impugnazione.

La Corte d’Appello, pur ammettendo che in secondo grado vi è un margine di discrezionalità ridotto nel valutare la fondatezza della richiesta, ha ritenuto che la decisione resa dal giudice di prime cure fosse viziata da una erronea interpretazione sia del principio di equità che delle condizioni rilevanti di cui all’articolo 49(5) UPCA.

Secondo quanto statuito dalla Corte, ai fini di una corretta interpretazione della disposizione in parola, devono essere valutate due tipologie di circostanze rilevanti: quelle che riguardano il caso specifico, quali ad esempio la lingua maggiormente impiegata nel ramo a cui afferisce la tecnologia brevettuale oggetto di causa e la lingua nella quale sono per lo più redatte le prove documentali; e quelle che hanno a che vedere con le parti del procedimento, come ad esempio la nazionalità o il domicilio delle stesse. Infatti, le parti devono essere messe nella condizione di poter comprendere autonomamente in maniera esaustiva gli atti e i documenti di causa, a nulla rilevando eventuali competenze linguistiche dei difensori che compongono il collegio difensivo. Neppure la nazionalità dei giudici incaricati del procedimento può avere, ad avviso delle Corte, un qualche ruolo nell’apprezzamento degli interessi in gioco.

Un altro fattore da tenere in considerazione, secondo la Corte, è quello dell’eventuale ritardo a cui una modifica della lingua del procedimento può portare, specialmente in relazione all’urgenza che connota il procedimento; sotto un ulteriore profilo, la Corte ha altresì valorizzato le dimensioni delle società parti in causa, dal momento che una realtà multinazionale che dispone di un dipartimento legale strutturato è sicuramente più avvezza a gestire vertenze transfrontaliere in diverse lingue rispetto ad una società di modeste dimensioni.

Inoltre, la Corte ha affermato che il giudice, nell’applicare i criteri sopra enunciati, deve sempre operare un bilanciamento tra i contrapposti interessi in gioco, tenendo particolarmente in considerazione la posizione del convenuto, soprattutto nel caso in cui dal bilanciamento derivasse una situazione di assoluta parità.

Sul punto l’argomentazione della Corte si è spostata poi sul ruolo dell’attore, affermando che, nel soppesare gli interessi in gioco, occorre considerare che questi, visto il suo ruolo di parte istante nel procedimento, gode il più delle volte di una certa posizione di vantaggio, potendo spesso scegliere dove promuovere il procedimento, la lingua in cui avviare la vertenza e beneficiando, ad eccezione dei procedimenti d’urgenza, di tutto il tempo necessario per approntare le proprie argomentazioni. Non solo, l’attore in qualità di titolare della privativa sceglie la lingua del brevetto al momento del deposito della domanda, con la consapevolezza che si tratta di una scelta non priva di conseguenze, avendo poi delle ricadute sulla lingua utilizzata nelle vertenze relative al titolo, non solo avanti all’EPO.

Dunque, la conversione della lingua del procedimento in quella del titolo brevettuale è una possibilità che l’attore deve sempre tenere in considerazione e che in nessun modo può ritenersi lesiva dei suoi interessi.

Per queste ragioni, la Corte ha ritenuto di valorizzare le argomentazioni addotte dalla appellata, così accogliendo la richiesta di convertire la lingua del procedimento in quella inglese.

Infine, una piccola nota procedurale: la Corte d’Appello ha accantonato l’argomentazione secondo la quale la domanda avanzata dalla convenuta in prima istanza era tardiva perché promossa a seguito dell’ultima udienza di discussione orale nell’ambito del procedimento. Al riguardo, la Corte ha affermato che ciò non comporta alcuna preclusione, dal momento che la lingua utilizzata nel procedimento di primo grado influenza anche la lingua adottata nell’eventuale successivo giudizio d’appello, non venendo dunque meno l’interesse della convenuta alla domanda di conversione pur essendo il procedimento di primo grado alle battute finali.