
29 settembre 2021
Antitrust Bites – Newsletter
Settembre 2021Il margin squeeze sotto la lente del TAR Lazio
Con sentenza n. 9803 pubblicata il 15 settembre 2021, il TAR Lazio ha annullato un provvedimento sanzionatorio adottato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) nei confronti di un operatore telefonico per presunte pratiche di margin squeeze contrarie all’articolo 102 TFUE.
La sentenza del TAR Lazio, dopo avere operato un’interessante ricostruzione degli elementi costitutivi dell’abuso di posizione dominante da margin squeeze e dei criteri richiesti per il suo accertamento, afferma i seguenti principi:
(i) ai fini dell’accertamento di un margin squeeze il test del concorrente “altrettanto efficiente” deve essere eseguito dall’Autorità tenendo conto delle effettive dinamiche di mercato, distinguendo a tal fine i concorrenti nel mercato a valle dai clienti finali sulla base di un’analisi oggettiva del mercato e non in ragione della considerazione soggettiva dell’operatore dominante; il TAR ha inoltre evidenziato che “l’abuso di posizione dominante per margin squeeze appare incompatibile con l’intento, dell’operatore verticalmente integrato, di danneggiare solo una parte della concorrenza”;
(ii) laddove l’input controllato dall’operatore dominante nel mercato a monte non costituisca l’unico input rilevante per confezionare il prodotto finale nel mercato a valle, e non vi sia pertanto un’integrazione verticale piena, non è possibile accertare l’esistenza di un margin squeeze, in difetto della prova dell’incidenza determinante del costo di tale input sulla definizione dei prezzi nel mercato a valle in misura tale da produrre effetti escludenti in danno dei concorrenti;
(iii) la dimostrazione dell’effetto anticoncorrenziale, almeno potenziale, è imprescindibile ai fini dell’accertamento dell’abuso, anche nel caso in cui risultino provati il margin squeeze e un intento anticoncorrenziale dell’operatore verticalmente integrato, e deve essere sorretta “almeno da un’analisi del mercato che spieghi e dimostri perché le imprese non verticalmente integrate corrano il rischio di essere escluse dal mercato per effetto dell’accertato margin squeeze”.
La Commissione ha approvato il regime di aiuti di Stato da 1,24 miliardi di euro previsto dall’Italia a favore delle imprese che intendono assumere giovani lavoratori nel contesto emergenziale
Lo scorso 16 settembre, la Commissione europea ha approvato lo schema di aiuti di Stato da 1,24 miliardi di euro presentato dall’Italia al fine di supportare le società che intendono assumere giovani lavoratori nell’attuale contesto emergenziale. Il regime di aiuti di Stato è stato approvato in conformità con le misure introdotte dal “Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del COVID-19” (da ultimo modificato in data 28 gennaio 2021; Quadro Temporaneo), destinato ad applicarsi fino al 31 dicembre di quest’anno.
L’aiuto di Stato sarà concesso alle imprese sotto forma di un’esenzione dal pagamento dei contributi previdenziali relativi ai nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato – o per quelli a tempo determinato convertiti in contratti a tempo indeterminato – stipulati nel 2021 con lavoratori di età inferiore a 36 anni. L’aiuto avrà una durata massima di 38 mesi, prorogabile fino a 48 mesi per i giovani che lavorano in determinate regioni italiane.
L’ammontare dell’esenzione non potrà superare i 6.000 euro annuali per lavoratore. Inoltre, per poter beneficiare della misura, i datori di lavoro non devono aver licenziato dipendenti nei 6 mesi precedenti l’assunzione o la conversione del contratto, né dovranno farlo nei successivi 9 mesi.
Lo schema presentato dall’Italia è stato approvato dalla Commissione in quanto ritenuto in linea con i requisiti previsti dal Quadro Temporaneo, come da ultimo modificato il 28 gennaio 2021, nel contesto degli “Aiuti di importo limitato” – destinati a “imprese che si trovano di fronte a un’improvvisa carenza o addirittura indisponibilità di liquidità” e che rappresentano per esse una “soluzione adeguata, necessaria e mirata” in relazione alle circostanze esistenti.
In particolare, la Commissione ha valutato che l’aiuto (i) non eccederà l’importo complessivo di 225.000 euro, per le imprese attive nel settore primario dell’agricoltura, di 270.000 euro, per le imprese attive nei settori della pesca e acquacoltura, di 1,8 milioni di euro, per le imprese operanti in settori diversi dai precedenti (ii) verrà concesso entro e non oltre il 31 dicembre 2021.
La Commissione avvia la “fase 2” dell’istruttoria su una concentrazione “sotto soglia”, a seguito di un rinvio ex art. 22, Reg. 139/2004
Con comunicato stampa del 22 luglio 2021, la Commissione europea ha reso noto di aver avviato la “fase 2” dell’istruttoria relativa a una concentrazione sotto soglia.
In data 19 aprile 2021, la Commissione aveva accettato la richiesta di “rinvio” dell’operazione – ex art. 22 del Regolamento UE n. 139/2004 sul controllo delle concentrazioni (EUMR) – pervenuta da parte dell’Autorità garante della concorrenza francese (a cui avevano aderito quelle di Belgio, Grecia, Islanda, Olanda e Norvegia). Le decisioni di referral delle Autorità francese e olandese erano anche state oggetto di impugnazione (respinta) davanti alle corti nazionali.
Conseguentemente, ancorché la concentrazione non fosse soggetta ad obblighi di notifica neppure negli Stati membri, le parti avevano notificato l’operazione ex art. 22, par. 3, EUMR su richiesta della Commissione.
Si tratta della prima ipotesi di rinvio – e istruttoria approfondita – ex art. 22 EUMR dopo che, lo scorso 26 marzo, la Commissione ha pubblicato i nuovi Orientamenti sull’applicazione del meccanismo di rinvio di cui all’articolo 22 EUMR per determinate categorie di casi (per un approfondimento sugli Orientamenti si veda la newsletter di aprile 2021).
L’avvio dell’istruttoria approfondita conferma l’interesse della Commissione a esaminare in maniera dettagliata anche concentrazioni non soggette all’obbligo di notifica, qualora ricorrano i presupposti indicati dagli Orientamenti.
Nel caso di specie, secondo la Commissione, le asserite criticità concorrenziali sottese all’operazione riguardano possibili restrizioni della concorrenza (in termini di foreclosure verticale) e dell’innovazione in un mercato qualificato come “emergente”.
La decisione della Commissione di avviare la “fase 2” è stata impugnata innanzi al Tribunale.
Inoltre, nel frattempo, in data 20 settembre 2021, la Commissione ha inviato alle parti una comunicazione degli addebiti in vista della possibile adozione di misure cautelari, per una presunta violazione degli obblighi di standstill.
Dal Consiglio di Stato precisazioni sulla parental liability presumption
Con la sentenza n. 6214 del 6 settembre scorso, il Consiglio di Stato ha nuovamente affrontato il tema della c.d. parental liability presumption (PLP), fornendo utili precisazioni sulle condizioni e i limiti di utilizzo di tale presunzione ai fini dell’imputazione della responsabilità alla controllante delle condotte della controllata.
Il Consiglio di Stato ha chiarito che laddove la società controllante sia una holding, essa può essere ritenuta responsabile del comportamento della controllata solamente se possa essere considerata o si comporti come un’ “impresa” ai sensi degli artt. 101 e 102 TFUE, e quindi non si limiti a detenere partecipazioni e ad esercitare i diritti ad esse connesse. Il Consiglio di Stato ha il ritenuto che il fatto che la controllante fosse una pura holding di partecipazioni, avente un unico socio amministratore e non dotata di personale e di sedi operative, costituisse elemento idoneo a rovesciare la presunzione di parental liability, e ribaltare l’onere della prova sull’Autorità, che avrebbe dovuto dimostrare, ai fini dell’imputazione della condotta della controllata alla controllante, l’effettivo esercizio dell’influenza determinante della seconda sulla prima.
I giudici di Palazzo Spada hanno inoltre fornito precisazioni sullo standard motivazionale che grava sull’AGCM laddove l’impresa controllante a cui si imputa la responsabilità in applicazione della parental liability presumption adduca nel procedimento elementi volti a confutare la presunzione. Secondo il Consiglio di Stato, l’Autorità è tenuta – affinché la presunzione di responsabilità non trasmuti da relativa in assoluta – a dare “succinta, ma seria e proporzionata contezza delle ragioni per le quali gli elementi di fatto e di diritto invocati non son sufficienti a confutare la PLP stessa” onde garantire che la presunzione “sia confutabile in maniera effettiva”.
Ne bis in idem e procedimenti antitrust: l’interpretazione dell’AG Bobek
Con le conclusioni presentate il 2 settembre 2021 nelle cause C-151/20 e C‑117/20, l’Avvocato Generale (AG) Bobek ha offerto alcuni interessanti spunti sull’applicazione del principio del ne bis in idem ai procedimenti istruttori di un’autorità nazionale garante della concorrenza (ANC).
L’AG ha sostenuto che il principio del ne bis in idem deve essere riferito a casi di identità del contravventore, dei fatti rilevanti e dell’interesse giuridico protetto.
Riguardo ai criteri per valutare la sussistenza del medesimo interesse giuridico protetto, l’AG Bobek ha sostenuto che bisogna valutare se tra le norme antitrust nazionali ed europee applicate vi sia una “sovrapposizione sostanziale”. Tale sovrapposizione sarebbe piena nelle situazioni che rientrano nell’art. 101 TFUE, poiché – ai sensi dell’art. 3, Regolamento UE 1/2003 e a differenza, ad esempio, che per l’art. 102 TFUE – gli Stati membri non possono adottare norme “più rigorose” dell’art. 101 TFUE; pertanto, quando le ANC applicano tale previsione e quelle corrispondenti nazionali tutelano lo stesso interesse giuridico. Analogamente, nel caso di procedimenti antitrust aventi ad oggetto fatti già sanzionati da un’autorità di regolazione di settore, il criterio guida per valutare un’eventuale violazione del ne bis idem è l’analisi dell’identità dell’interesse giuridico protetto dalle norme applicate nei due procedimenti.
Sul piano dell’identità dei fatti rilevanti, l’AG Bobek ha ritenuto che quando un’ANC prende in considerazione gli effetti “extraterritoriali” di una determinata condotta anticoncorrenziale – ed è autorizzata a far ciò sulla base del diritto nazionale –, in eventuali procedimenti successivi è applicabile il principio del ne bis in idem, se l’ambito temporale e geografico dell’oggetto dei procedimenti è lo stesso.
Infine, secondo l’AG Bobek, anche nel caso in cui uno dei due procedimenti abbia riguardato l’applicazione di un programma di clemenza dovrebbe essere applicato il principio del ne bis in idem: quest’ultimo, infatti, tutela non solo dall’irrogazione di una “seconda sanzione”, ma anche da un “secondo procedimento” (e le connesse conseguenze negative) per gli stessi fatti.