
31 gennaio 2025 • 12 minuti di lettura
Antitrust Bites – Newsletter
Gennaio 2025Il 2024 in numeri: una panoramica delle sanzioni imposte dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in Italia
Dalle informazioni ad oggi disponibili, risulta che nel corso del 2024 l’AGCM abbia comminato alle imprese sanzioni per un totale di oltre 9,6 milioni di euro per violazioni del diritto della concorrenza.
In un solo caso l'AGCM ha accertato la violazione del divieto di intese restrittive della concorrenza, a fronte della quale ha irrogato una sanzione pari a oltre 3 milioni di euro. Nel 2023, le istruttorie in materia di intese chiuse con accertamento della violazione erano state 3, con sanzioni per un ammontare complessivo di oltre 12,7 milioni di euro.
In un caso l'Autorità ha accertato l'inottemperanza da parte di un'impresa a un provvedimento di accertamento della violazione del divieto di intese restrittive della concorrenza e ha quindi irrogato una sanzione pari a 140.044 euro.
Tre sono state le istruttorie concluse con l’accertamento di una violazione del divieto di abuso di posizione dominante, con sanzioni per oltre 6,4 milioni di euro. Nel 2023, vi era stata una sola istruttoria in materia di abuso di posizione dominante chiusa con l’accertamento della violazione, con una sanzione di oltre 15 milioni di euro.
In due casi l’AGCM ha accertato violazioni dell'obbligo preventivo di comunicazione delle concentrazioni tra imprese, irrogando sanzioni per un importo complessivamente pari a 32.857 euro.
Per quanto riguarda invece la tutela del consumatore, dalle informazioni ad oggi disponibili risulta che l'AGCM abbia comminato sanzioni per un totale di oltre 74,5 milioni di euro (nel 2023 le sanzioni irrogate erano state pari ad oltre 42 milioni), di cui 20.000 per inottemperanza a precedenti provvedimenti dell’Autorità, oltre 19,2 milioni per clausole vessatorie e oltre 55,3 milioni per pratiche commerciali scorrette e violazioni di consumer rights.
Su 54 procedimenti conclusi dall’Autorità nel 2024 (nel 2023 erano stati 86), 22 hanno portato all’accertamento di pratiche commerciali scorrette e/o di violazioni di consumer rights (32 nel 2023), uno si è chiuso con l’accertamento dell’inottemperanza ad una precedente decisione dell’Autorità (5 nel 2023), 10 hanno portato all'accertamento di clausole vessatorie e in un caso l'AGCM ha accertato sia una pratica commerciale scorretta che la vessatorietà delle clausole utilizzate dal professionista. 16 procedimenti si sono conclusi con accettazione degli impegni presentati dalle imprese e un procedimento si è concluso con l'accettazione di impegni relativamente a una delle condotte contestate al professionista e con l'accertamento di una pratica commerciale scorretta per l'altra condotta contestata al professionista. Infine, 3 procedimenti si sono conclusi senza l'accertamento di violazioni.
L'AGCM propone l'introduzione dell'obbligo di standstill in materia di concentrazioni
Con il bollettino n. 1/2025 del 7 gennaio 2025, l'AGCM ha pubblicato il testo della segnalazione trasmessa al Governo contenente proposte di riforma ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza 2024, tra le quali si annovera l'introduzione nel diritto nazionale dell'obbligo di standstill in materia di concentrazioni.
Tale obbligo, come noto, consiste nel divieto per le parti di un'operazione di concentrazione che deve essere notificata preventivamente ai sensi del regime merger control di attuarla prima di aver ricevuto la relativa autorizzazione da parte dell'autorità competente. L'Italia, ad oggi, è l'unica giurisdizione nell'UE a non prevedere tale obbligo nella propria disciplina in materia di controllo delle concentrazioni (di cui agli articoli 16 e seguenti della L. 287/1990).
L'unica ipotesi di sospensione contemplata in materia di merger control dalla L. 287/1990 (art. 17) ha carattere facoltativo e può (ma non deve) essere ordinata dall'AGCM laddove quest'ultima, nell'ambito dell'esame di una concentrazione, intenda avviare un'indagine approfondita aprendo quindi la cd. Fase 2.
Diversamente, a livello UE, il Regolamento 139/2004 (EUMR) prevede che una concentrazione destinata ad essere esaminata dalla Commissione europea "non può essere realizzata prima di essere notificata né prima di essere stata dichiarata compatibile con il mercato comune" (art. 7 EUMR).
Nella segnalazione, dopo aver osservato che la disciplina italiana nella sua attuale formulazione rappresenta un unicum nel panorama UE, l'Autorità evidenzia che sarebbe opportuno modificare l’art. 17 della L. 287/1990, per introdurre l'obbligo di standstill nel nostro ordinamento e prevedere sanzioni efficaci in caso di violazione, tenuto conto anche del fatto che un eventuale ripristino della situazione precedente alla realizzazione dell'operazione potrebbe risultare complicato se non addirittura impossibile.
Secondo l'AGCM, l'introduzione di un obbligo di standstill per le imprese non comporterebbe un inasprimento degli oneri gravanti sulle imprese in relazione al regime merger control, in quanto già allo stato la maggior parte delle operazioni notificate è condizionata sospensivamente all'autorizzazione della concentrazione da parte dell'Autorità. Invece nelle ipotesi in cui le parti non prevedono tale clausola – osserva l'AGCM – il ricorso a provvedimenti di sospensione temporanea ai sensi dell'art. 17 della L. 287/1990 non sarebbe comunque risolutivo, potendo l’Autorità disporli solo in caso di avvio della Fase 2. Vi sarebbe quindi un lasso temporale, e cioè fino alla (eventuale) apertura della Fase 2, durante il quale le imprese potrebbero comunque realizzare l’operazione in maniera legittima.
In conclusione, osserva l'AGCM, con la modifica proposta si auspica ad un'armonizzazione del quadro giuridico nazionale con quello europeo, al fine di garantire la certezza giuridica per tutti gli operatori economici, con particolare riguardo alle imprese operanti in una pluralità di Stati membri.
Modifiche al Regolamento recante norme in materia di procedure istruttorie di competenza dell'AGCM
Il 23 gennaio 2025 è entrato in vigore il Decreto del Presidente della Repubblica 18 novembre 2024, n. 214 il quale ha modificato il Decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1998, n. 217, che regola le procedure istruttorie di competenza dell'AGCM. Tra le novità introdotte dal DPR, si annoverano le seguenti modifiche:
- le richieste di informazioni e di esibizione di documenti utili ai fini dell'istruttoria, indirizzate a rappresentanti di imprese, associazioni di imprese oppure persone fisiche o giuridiche che possano essere in possesso di informazioni rilevanti ai fini dell'istruttoria, ora devono indicare sinteticamente, oltre alle sanzioni, anche le penalità di mora previste nei casi di rifiuto, omissione o ritardo senza giustificato motivo a fornire quanto richiesto, anche nei casi in cui siano forniti informazioni o documenti incompleti, fuorvianti, o non veritieri. La risposta alle richieste e/o l'esibizione dei documenti deve avvenire entro un tempo "ragionevole", indicato dagli uffici. Si prevede ora espressamente la possibilità di presentare per iscritto un'istanza di proroga motivata prima della scadenza del termine;
- sono stati sottratti alla possibilità di esercitare il diritto di accesso i documenti inerenti ai rapporti tra l'AGCM e le istituzioni dell'UE, nonché quelli inerenti ai rapporti tra l'AGCM e le Autorità Garanti della concorrenza di altri Stati membri;
- è stata introdotta un'espressa presunzione di non riservatezza delle informazioni fornite all'AGCM per le quali è possibile esercitare il diritto di accesso, ribaltabile solamente presentando un'apposita richiesta indicante i documenti – o alcune loro parti – che si ritiene debbano essere sottratti all'accesso, specificandone i motivi e fornendone una versione non confidenziale;
- la comunicazione delle risultanze istruttorie (CRI) deve essere notificata almeno 45 giorni (anziché 30) prima della scadenza del termine di chiusura dell'istruttoria, e deve ora indicare anche la possibile imposizione di sanzioni o rimedi per porre fine alla presunta infrazione. Inoltre, sono stati modificati i termini per la presentazione di memorie scritte a seguito del ricevimento della CRI (almeno 10 giorni prima del termine dell'istruttoria, anziché 5), nonché per la presentazione della richiesta di esercitare il diritto di essere sentiti dinanzi al collegio (entro 10 giorni dal ricevimento della CRI, anziché 5);
- infine, il DPR ha recepito l'utilizzo, comune nella prassi, della posta elettronica certificata (o di altri servizi di recapito elettronico certificato) tra le modalità di notifica e comunicazione delle istanze, richieste e convocazioni da/verso l'AGCM.
La CGUE si pronuncia in materia di azioni collettive di risarcimento danni per violazioni del diritto della concorrenza
Il 28 gennaio scorso, la Corte di Giustizia, pronunciandosi su un rinvio pregiudiziale (causa C 253/23), ha affermato alcuni principi in materia di azioni collettive di risarcimento danni per violazioni del diritto della concorrenza.
La controversia trae origine da un’azione collettiva di risarcimento danni introdotta da una società, autorizzata ad operare come "prestatore di servizi legali" ai sensi della legge tedesca, contro un Land della Germania, sulla base di diritti al risarcimento ceduti all'attrice in seguito a una violazione dell'art. 101 TFUE che sarebbe stata realizzata dal Land e da alcuni professionisti (sotto forma di fissazione dei prezzi).
Secondo la legge tedesca, le pretese risarcitorie dei singoli relative a danni di massa o danni di lieve entità riguardanti un numero elevato di persone possono essere avanzate mediante un'unica "azione di recupero collettiva". Tale azione può essere proposta da un "prestatore di servizi legali" munito di apposita autorizzazione per il recupero dei crediti per conto dei cedenti in misura cumulativa.
Affinché venisse attivato questo meccanismo, 32 imprese avevano ceduto a un prestatore di servizi i propri diritti di risarcimento derivanti dalla violazione dell'art. 101 TFUE realizzata dal Land tedesco e altri professionisti nel periodo compreso tra il 28 giugno 2005 e il 30 giugno 2019. Il prestatore di servizi ha quindi introdotto un'azione di recupero collettiva dinanzi al giudice tedesco, a fronte della quale, tuttavia, il Land aveva contestato tra l'altro che l'autorizzazione di cui disponeva il prestatore di servizi legali ai sensi della legge tedesca non gli avrebbe consentito di perseguire il recupero di crediti risultanti dai danni causati da una presunta violazione del diritto della concorrenza.
Nell'ambito della causa collettiva, il giudice del rinvio – rilevato che il diritto tedesco non offre alcun mezzo di ricorso giurisdizionale equivalente all’azione di recupero collettiva – ha formulato una domanda pregiudiziale volta a comprendere se ai sensi della normativa europea i soggetti danneggiati da una violazione del diritto della concorrenza possano cedere i loro diritti al risarcimento a un prestatore di servizi legali affinché quest’ultimo li faccia valere, collettivamente, nell’ambito di un’azione per il risarcimento danni derivanti da illeciti antitrust.
Pronunciandosi sui quesiti pregiudiziali formulati dal giudice del rinvio, la Corte ha affermato il principio secondo cui l'interpretazione di una normativa nazionale che ha l'effetto di impedire ai soggetti danneggiati da una violazione del diritto della concorrenza di cedere i loro diritti al risarcimento è contraria al diritto UE nel caso in cui:
- il diritto nazionale non preveda nessun’altra possibilità di raggruppamento delle pretese individuali di tali soggetti danneggiati che sia tale da garantire l’effettività dell’esercizio di tali diritti al risarcimento, e
- l’esercizio di un’azione individuale per il risarcimento del danno si riveli, alla luce di tutte le circostanze del caso di specie, impossibile o eccessivamente difficile per detti soggetti, con la conseguenza di privarli del loro diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva.
Accordi di distribuzione esclusiva: l'AG Medina si pronuncia sulla condizione della "imposizione parallela"
Lo scorso 9 gennaio l'Avvocato Generale Medina ha reso le proprie conclusioni nella causa C-581/23, avente ad oggetto un rinvio pregiudiziale in ordine all’interpretazione di alcune previsioni della previgente normativa UE in materia di accordi di distribuzione esclusiva (Reg. UE 330/2010, sostituito dal Reg. UE 2022/720) e, in particolare, della c.d. condizione dell’ "imposizione parallela", consistente nella limitazione da parte di un fornitore delle vendite attive dell'acquirente a territori o gruppi di clienti attribuiti in esclusiva ad altro acquirente o che il fornitore si è riservato (condizione che, se soddisfatta, consente ad una restrizione delle vendite attive di beneficiare di un'esenzione di categoria, sottraendola all'applicazione dell'art. 101 para 1 TFUE).
Il giudizio a quo concerne una controversia sorta tra una società, distributrice esclusiva di un formaggio in Belgio e alcune società attive nel settore della GDO in Belgio e nei Paesi Bassi che, secondo la prima, consapevoli dell'esistenza dell'accordo di distribuzione esclusiva tra essa e il fornitore, con le loro attività avrebbero leso, direttamente o indirettamente, i suoi diritti di esclusiva derivanti da tale accordo.
Le società attive nel settore della GDO hanno invece contestato il tentativo da parte di quest'ultima e del fornitore di imporre loro un divieto di vendita attiva a loro avviso contrario all'art. 101 TFUE, nella misura in cui l'accordo di distribuzione esclusiva non avrebbe imposto un obbligo di protezione del distributore esclusivo dalle vendite attive di altri acquirenti e non avrebbe soddisfatto le rigorose condizioni previste dal diritto della concorrenza per giustificare un divieto di rivendita.
Ai fini della decisione della controversia, il giudice del rinvio ha formulato due domande pregiudiziali rivolte alla Corte di Giustizia UE, chiedendo alla Corte di chiarire:
- se la mera constatazione che gli acquirenti non beneficiari del regime di esclusiva non effettuano vendite attive è sufficiente a dimostrare l’esistenza di un accordo tra il fornitore e tali acquirenti avente ad oggetto un divieto di vendite attive;
- quale sia il momento rilevante in cui deve manifestarsi l’assenso degli altri acquirenti ai fini dell'applicazione della condizione dell'imposizione parallela. In particolare, il giudice del rinvio chiede se sia sufficiente che il fornitore dimostri che i suoi altri acquirenti hanno accettato il divieto di vendita attiva soltanto se e quando tali acquirenti manifestino l’intenzione di vendere attivamente nel territorio esclusivo.
L'AG – dopo aver premesso che a suo avviso l'art. 4, lett. b), i), del Reg. UE 330/2010 contiene la condizione di imposizione parallela pur non menzionandola espressamente – si è pronunciato in senso negativo sulla prima questione pregiudiziale, ritenendo che, per dimostrare l'esistenza di un accordo che vieti le vendite attive agli altri acquirenti non esclusivi del fornitore, è necessario: (i) che il fornitore abbia invitato tali altri acquirenti a comportarsi sul mercato in un determinato modo, chiaramente definito, e (ii) che gli acquirenti abbiano manifestato, quantomeno tacitamente, la loro intenzione di acconsentire a tale divieto, da dimostrarsi sulla base di coincidenze o di indizi concordanti. Ad avviso dell'AG Medina, quindi, la semplice constatazione dell'assenza di vendite attive da parte degli acquirenti non esclusivi non vale a dimostrare l'esistenza di un accordo in tal senso tra tali acquirenti e il fornitore.
Con riferimento alla seconda questione pregiudiziale, l'AG ha ritenuto che qualora un fornitore abbia attribuito un territorio in via esclusiva a un determinato acquirente, tale fornitore deve dimostrare che la condizione dell’imposizione parallela è soddisfatta in relazione a tutti i suoi altri acquirenti all’interno del SEE durante l’intero periodo per il quale egli invoca il beneficio dell’esenzione per categoria previsto dal Reg. UE 330/2010.