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14 ottobre 20214 minuti di lettura

Le novità della settimana in materia di lavoro

Normativa

Il 14 ottobre 2021 è stato pubblicato il DPCM del 12 ottobre 2021 (Modifiche al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 giugno 2021, recante: «Disposizioni attuative dell'articolo 9, comma 10, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, recante "Misure urgenti per la graduale ripresa delle attivita' economiche e sociali nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell'epidemia da COVID-19"»).

Giurisprudenza

Corte di Cassazione, 7 ottobre 2021, n. 27322 - Malattia e licenziamento

La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del licenziamento disposto da una società nei confronti di un proprio dipendente che ha svolto attività durante la malattia e che, a dire della società, ne avrebbero ritardato la guarigione.

In particolare, il lavoratore in malattia per lombosciatalgia si era occupato di svolgere lavori manuali dentro casa e, successivamente, aveva richiesto il prolungamento della malattia.

Al fine di verificare la legittimità del licenziamento, i giudici di merito non si sono limitati a verificare l’idoneità in astratto delle attività svolte a ritardare la guarigione del lavoratore, presumendo il collegamento tra il lavoro svolto in malattia e la prosecuzione della stessa, ma hanno chiesto un accertamento tecnico, tramite ctu, al fine di valutare se in concreto vi fosse un collegamento tra le due circostanze.

Il ctu ha concluso che l’attività svolta in malattia non avesse concretamente inciso sui tempi di recupero e, conseguentemente, i giudici di merito avevano ritenuto illegittimo il licenziamento.

La Suprema Corte ha chiarito che deve considerarsi illegittimo il licenziamento del lavoratore che prolunga la malattia anche se durante il periodo ha svolto attività extra lavorative, perché l’accertamento sul recesso deve fondarsi sui certificati medici e sui riscontri del ctu e, se dall’esame degli stessi emerge il mancato aggravamento della patologia (solo in questo caso, il licenziamento potrà essere dichiarato illegittimo).

Corte di Cassazione, 1° settembre 2021, n. 23723 - Sul patto di non concorrenza

La Corte di Cassazione ha ribadito l’illegittimità dell’apposizione, nel patto di non concorrenza, del recesso unilaterale in capo al datore di lavoro, ritenendo ininfluente che tale recesso venga esercitato anche in un periodo di gran lunga anteriore alla effettiva cessazione del rapporto di lavoro.

Nella fattispecie in esame, un lavoratore promuoveva un giudizio nei confronti del suo ex datore di lavoro al fine di ottenere il compenso a lui spettante in ragione del patto di non concorrenza sottoscritto all’atto della sua assunzione (avente durata per i due anni successivi alla cessazione del rapporto).

I Giudici d’appello, confermando la statuizione di primo grado, rigettavano la domanda del lavoratore osservando che, nonostante la clausola di recesso prevista nel patto di non concorrenza (che rimetteva la risoluzione dell’accordo all’arbitrio del datore di lavoro) fosse da ritenersi nulla, non si sarebbe ravvisato comunque un contrasto con norme imperative, in quanto quest’ultimo aveva esercitato il proprio recesso in un lasso di tempo considerevolmente antecedente alla cessazione del rapporto di lavoro (ovvero, 6 anni prima), non imponendo così, in concreto, alcun sacrificio in capo al lavoratore nel reperire una nuova occupazione.

Tuttavia, la Suprema Corte ha cassato la sentenza d’appello, accogliendo la domanda del lavoratore, precisando che “la previsione della risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all'arbitrio del datore di lavoro concreta una clausola nulla per contrasto con norme imperative, atteso che la limitazione allo scioglimento dell'attività lavorativa deve essere contenuta - in base a quanto previsto dall'art. 2125 c.c., interpretato alla luce degli artt. 4 e 35 Cost. - entro limiti determinati di oggetto, tempo e luogo, e va compensata da un maggior corrispettivo. Ne consegue che non può essere attribuito al datore di lavoro il potere unilaterale di incidere sulla durata temporale del vincolo o di caducare l'attribuzione patrimoniale pattuita”.

In sostanza, l’obbligazione di non concorrenza posta a carico del lavoratore per il periodo successivo alla cessazione del lavoro sorge sin dall’inizio del rapporto di lavoro, impedendo al lavoratore di progettare per questa parte il proprio futuro lavorativo e comprimendone la libertà. Tale compressione, ai sensi dell’art. 2125 c.c., appare illegittima ove non controbilanciata dalla previsione dell’obbligo di un corrispettivo da parte del datore di lavoro.

Per i motivi esposti sopra, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del dipendente e ha rinviato affinché i giudici di appello procedano ad un nuovo esame attenendosi ai principi esposti.

Per informazioni sulla presente newsletter si possono contattare i coordinatori Avv. Francesca Anna Maria De Novellis, Avv. Matteo Pace e Avv. Stefano Petri.

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Buona lettura e buon weekend dal Team di DLA Piper!

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