Le novità della settimana in materia di lavoro
Normativa
Recepita la Direttiva UE sul “Whistleblowing”
È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legislativo del 10 marzo 2023 n. 24, di attuazione della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali (G.U. del 15 marzo 2023, n. 63)
Le disposizioni previste all’interno del Decreto entrano in vigore dal 15 luglio 2023.
Immigrazione - Flussi di ingresso
È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale anche il Decreto-legge 10 marzo 2023, n. 20, con disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare. In particolare, il Decreto disciplina i seguenti temi: inasprimento delle pene per reati connessi all’immigrazione clandestina; espulsioni e ricorsi; nuove modalità di programmazione dei flussi di ingresso dei lavoratori stranieri; modifiche alle norme sui titoli di ingresso e di soggiorno per lavoro subordinato di cittadini stranieri; programmi di formazione; durata del permesso di soggiorno rinnovato; priorità alle aziende/ lavoratori agricoli; contrasto alle agromafie; centri per migranti e protezione speciale (G.U. del 10 marzo 2023 n. 59).
Giurisprudenza
Corte di Cassazione, ordinanza del 7 marzo 2023, n. 6838 - Organizzazioni di tendenza e licenziamento
La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi con riguardo al licenziamento intimato a una lavoratrice (dipendente di un’organizzazione di tendenza) che si era rifiutata di rinunciare al suo superminimo.
Nel caso di specie, una lavoratrice veniva formalmente licenziata per motivi oggettivi, a fronte di una situazione di crisi, che aveva portato la necessità di ridurre i costi del personale.
Nella fase di merito, l’associazione veniva condannata a reintegrare la dipendente, rilevando come nel caso in esame la scelta di licenziare la dipendente era da "interpretarsi come una reazione al suo rifiuto di rinunciare al superminimo, qualificando il recesso come animato da intento ritorsivo”.
L’associazione presentava, quindi, ricorso per cassazione, sostenendo che i giudici del gravame avevano errato, tra gli altri motivi, a non riconoscerle la natura di "organizzazione di tendenza", criticando la conseguente applicazione della tutela reale per la nullità del licenziamento.
La Corte di Cassazione, confermando le decisione assunta al termine della fase di merito, dopo aver rilevato che era corretto il ragionamento espresso dalla Corte d’Appello (per quanto concerne la possibilità di ricondurre a motivo ritorsivo il licenziamento), ha pronunciato il seguente principio di diritto: “In tema di licenziamento, l’articolo 4 della legge 108/90, nel riconoscere alle organizzazioni di tendenza il privilegio dell’inapplicabilità dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, fa salva l’ipotesi regolata dall’articolo 3 sull’estensione della tutela reale ai licenziamenti nulli in quanto discriminatori o determinati da motivo di ritorsione o rappresaglia, sicché, in tale evenienza, va ordinata, anche nei confronti di dette associazioni, la reintegra del lavoratore, restando privo di rilievo il livello occupazionale dell’ente e la categoria di appartenenza del dipendente”.
Corte di Cassazione, 6 marzo 2023, n. 6584 - Minacce all’amministratore delegato: sì al licenziamento
La vicenda in oggetto trae origine dal licenziamento intimato per giusta causa a una guardia giurata che, a fronte del mancato accoglimento delle giustificazioni rese nell’ambito di un precedente procedimento disciplinare, era uscito sul piazzale dell'azienda e, in preda all'ira, aveva estratto la pistola rivolgendo una serie di ingiurie e minacce nei confronti dell'amministratore delegato della società. Nella fase di merito, il fatto contestato al lavoratore veniva ritenuto di obiettiva gravità per il suo contenuto e per la pericolosità della condotta tenuta, essendo questo configurabile quale comportamento in evidente violazione delle primarie regole di cautela.
Il lavoratore, dunque, aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, deducendo, tra le altre doglianze, che la sanzione espulsiva sarebbe stata sproporzionata - in quanto il contratto collettivo prevedeva sanzioni conservative per condotte anche più gravi di quella contestata - e che, nel caso di specie, non sarebbe stato, comunque, ravvisabile alcun comportamento idoneo a configurare una condotta di insubordinazione, poiché alcun effettivo pregiudizio era stato apportato all’organizzazione aziendale.
In primo luogo, la Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità delle censure relative all’asserita erronea valutazione del materiale probatorio da parte dei giudici del merito, ribadendo il noto principio secondo cui “l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione”. Relativamente alla censura relativa alla nozione di insubordinazione, la Corte ha statuito che essa “non si confronta con le effettive ragioni della decisione, nella quale la valutazione di gravità della condotta non concerne solo il profilo di ribellione all’autorità datoriale titolare del potere disciplinare, ma risulta specificamente collegata alle particolari modalità con le quali si è estrinsecata la condotta addebitata, da ritenersi particolarmente pericolose e minacciose in quanto accompagnate dall’estrazione dalla fondina di un’arma caricata”; e, dunque, sarebbe stata pienamente ravvisabile nel caso di specie. Irrilevante sarebbe stato, peraltro, il fatto che il comportamento contestato si fosse tenuto non all'interno dei locali ma sul piazzale esterno dell'azienda.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha confermato in via definitiva la massima sanzione disciplinare irrogata al dipendente.
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Buona lettura e buon weekend dal Team di DLA Piper!