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29 settembre 2025

Labour News - Le novità della settimana

29 settembre 2025
In evidenza

Corte di Cassazione, 9 settembre 2025 n. 24922 - Licenziamento e abuso del congedo parentale  

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto da un lavoratore avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello, con la quale, in riforma della pronuncia di primo grado, è stato dichiarato legittimo il licenziamento intimato allo stesso per abuso dei congedi parentali.

In particolare, l’orientamento ormai consolidato in giurisprudenza riconosce il congedo parentale come un diritto potestativo. Ciò, tuttavia, non esclude l’eventuale verifica delle modalità in cui viene esercitato nel suo momento funzionale, considerato che la titolarità di un diritto potestativo non determina mera discrezionalità e arbitrio nell’esercizio di esso e non esclude la sindacabilità e il controllo degli atti. 

Invero, il diritto in parola, secondo la Corte, va esercitato per la cura diretta del bambino e lo svolgimento di qualunque altra attività che non si ponga in diretta relazione con detta cura costituisce abuso del diritto potestativo del congedo parentale”. 

Infine, la pronuncia in esame ribadisce che l’abuso di tale diritto da una parte configura una condotta contraria alla buona fede nei confronti del datore di lavoro che si vede privato ingiustamente di una prestazione lavorativa, dall’altra comporta un’indebita percezione dell’indennità e lo sviamento dell’intervento assistenziale.

Nuovo decreto-legge sulla sicurezza sul lavoro: formazione, controlli e incentivi per le imprese 

Il Ministero del Lavoro del Lavoro sta varando nuove misure in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro, attraverso un decreto-legge attualmente al vaglio, volto a ridurre il crescente numero di infortuni attraverso misure concrete di prevenzione, formazione e controllo. 

Tra le possibili novità all'esame del Ministero, si evidenzia la formazione obbligatoria e tracciabile per le figure chiave come i preposti, con strumenti digitali come badge elettronici e piattaforme dedicate (Fascicolo sociale e lavorativo del cittadino, Siisl).

Inoltre, il decreto potrebbe aggiornare il D.Lgs. 81/2008, integrando la disciplina per le violenze e le molestie sul luogo di lavoro e rafforzando il DVR e le procedure per lo stress lavoro-correlato, anche alla luce dello smart working. 

Infine, sembrerebbe prossima alla conferma anche la copertura INAIL per studenti e docenti e vengono promosse campagne di sensibilizzazione nelle scuole.

Intelligenza artificiale nei rapporti di lavoro: il Senato vara il DDL 

Il 17 settembre 2025 il Senato ha approvato in via definitiva il disegno di legge sull’Intelligenza Artificiale, disciplinando l’uso dell’IA nei contesti lavorativi. 

Fra le misure di rilievo nel disegno di legge, si segnala la forte attenzione alla trasparenza algoritmica: gli strumenti di IA impiegati nella selezione del personale, nella valutazione delle prestazioni e nel monitoraggio delle attività devono seguire regole chiare e verificabili. 

Inoltre, devono essere apprestate le misure necessarie affinché i lavoratori possano esercitare il diritto di conoscere i criteri e le logiche alla base delle decisioni automatizzate, rafforzando la tutela contro discriminazioni o trattamenti ingiustificati. 

Infine, il DDL prevede meccanismi di consultazione sindacale per garantire il confronto tra le imprese e le rappresentanze, bilanciando innovazione tecnologica e diritti fondamentali. 

La normativa italiana si colloca così nel solco delle linee europee, orientate a un approccio etico, definendo un modello di regolazione che governa gli effetti dell’IA garantendo trasparenza, diritti e inclusione. 

 

Le altre novità

Giurisprudenza

Tribunale di Trani, sentenza del 9 settembre 2025 - Illegittimo il licenziamento per giusta causa per delle critiche sui social 

Il Tribunale di Trani, in accoglimento del ricorso presentato dal lavoratore, ha dichiarato illegittimo il licenziamento irrogato a quest’ultimo per insussistenza del fatto contestato e, conseguentemente, ha condannato la società alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, nonché al pagamento in suo favore di un’indennità risarcitoria pari a otto mensilità. 

In particolare, alla base del licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore vi erano due distinte condotte: da un lato, l’aver rivolto a un collega una frase ritenuta inappropriata; dall’altro, la pubblicazione sul proprio profilo social di articoli riguardanti la datrice di lavoro, accompagnati da commenti denigratori e offensivi. Di conseguenza, il lavoratore impugnava il licenziamento, ritenendolo ritorsivo, nonché conseguente alle iniziative sindacali da lui intraprese. 

Il Tribunale ha ritenuto illegittimo il licenziamento in esame per assenza di giusta causa ex art. 2119 c.c., non essendo stata fornita la prova di una situazione grave e irreparabile tale da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro. 

Quanto ai commenti pubblicati, il Giudice ha ricordato che la giurisprudenza di legittimità ha delineato i confini della libertà di espressione del lavoratore sindacalista consentendo allo stesso “commenti e la divulgazione di notizie a condizione che ciò avvenga in modo corretto e non sfoci in diffamazione” (Cass. civ., sez. lavoro, ord. n. 25922/2023). 

Analogamente, il Tribunale ha ritenuto priva di carattere lesivo del rapporto fiduciario la frase asseritamente pronunciata dal lavoratore e indicata nella prima contestazione. 

Corte di Cassazione, 11 agosto 2025, n. 23084 - Formazione sulla sicurezza: nessun compenso extra se rientra nell’orario di lavoro 

La Corte di Cassazione ha stabilito che il lavoratore (nel caso di specie, un insegnante presso un Istituto Tecnologico) non ha diritto ad alcuna retribuzione aggiuntiva per la partecipazione a corsi di formazione in materia di salute e sicurezza, quando tali attività sono svolte nel normale orario di lavoro. 

La pretesa del docente si fondava sul fatto che i corsi si erano svolti al di fuori dell’orario contrattualmente previsto (in orario pomeridiano) e, dunque, apparentemente oltre il proprio orario di lavoro. La Suprema Corte, confermando la sentenza di appello, ha invece chiarito che la formazione in questione rientrava comunque nell’orario ordinario: sebbene svolta nel pomeriggio, infatti, aveva avuto luogo nel mese di giugno, periodo in cui le attività didattiche sono sospese. Di conseguenza, il corso doveva essere computato nel limite delle 18 ore settimanali previste dal Contratto Collettivo di categoria, con la conseguenza che la partecipazione del lavoratore era esigibile senza alcun diritto a compensi ulteriori. 

La Corte ha così dato puntuale applicazione all’art. 37 del D.lgs. 81/2008, che prevede che la formazione dei lavoratori debba svolgersi durante l’orario di lavoro e non possa comportare oneri economici a loro carico. 

Circolari e Prassi

Detassazione sui premi produttivi: i contratti depositati in crescita del 6,2% rispetto al 2024 

Tra luglio e settembre 2025 i contratti di produttività depositati al Ministero del Lavoro crescono di 38.166 unità, raggiungendo quota 146.507 (+6,2% rispetto al 2024). Solo nella prima metà di settembre si contano 17.827 nuovi accordi, in prevalenza aziendali (14.635, +4,3% sul 2024), a fronte di 3.192 territoriali.

Nello specifico, lo strumento in esame consente ai datori di lavoro di agevolare di un'imposta sostitutiva del 5% sui premi di produttivi nel triennio 2025-2027, a condizione che vengano rispettate le condizioni e i limiti prefissati dagli articoli 182-189 della Legge 208/2015. 

Le finalità principali dei contatti depositati riguardano premi di produttività (14.520 contratti), redditività (11.518), qualità (9.022), welfare (11.273) e partecipazione (1.942). 

 

Tema della settimana

Nullità del patto di prova e tutela reintegratoria: la nuova orientamento della Corte di Cassazione

La Suprema Corte si è di recente pronunciata in merito alla nullità di un patto di prova e le relative sanzioni. In particolare, con sentenza n. 24201, pubblicata il 29 agosto 2025, la Corte di Cassazione, ha rigettato il ricorso proposto da una società, confermando la pronuncia della Corte d'Appello in materia di nullità del patto di prova e di conseguente illegittimità del licenziamento intimato in costanza del medesimo.

L’oggetto della controversia trae origine dal contratto di lavoro stipulato con una dipendente, inquadrata come Quadro, recante una clausola di prova della durata di sei mesi.

A seguito del recesso datoriale, intimato nel maggio 2018 per asserito mancato superamento della prova, la lavoratrice adiva il Tribunale chiedendo l’accertamento della nullità del patto, la reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna al risarcimento del danno. Il giudice di prime cure rigettava la domanda ma la Corte territoriale, nel 2022, riformava tala decisione, dichiarando nullo il patto di prova, annullando il licenziamento e disponendo la reintegrazione della lavoratrice, poi sostituita – a seguito dell’esercizio dell’opzione – dall’indennità sostitutiva.

Nel giudizio di legittimità, la società ricorrente aveva censurato la decisione di merito sotto due profili: da un lato, la Corte d'Appello avrebbe errato nel ritenere applicabile la tutela reintegratoria di cui all’art. 3, comma 2, D.lgs. n. 23/2015, invece di quella meramente indennitaria prevista dal comma 1 dello stesso articolo; dall’altro, la società ricorrente lamentava l'errato criterio utilizzato per il calcolo dell’indennità risarcitoria.

La Suprema Corte ha ritenuto infondati entrambi i motivi. Sul primo punto, la Corte ha richiamato la recente sentenza della Corte costituzionale n. 128 del 2024, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, D.lgs. n. 23/2015, nella parte in cui non prevede l’applicazione della reintegrazione attenuata anche ai casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo per insussistenza del fatto materiale. Applicando tale principio al caso di specie, i giudici di legittimità hanno affermato che il recesso per mancato superamento di un patto di prova geneticamente nullo configura un licenziamento privo di giustificazione, da qualificarsi come licenziamento illegittimo per insussistenza del fatto materiale, e che dunque la tutela applicabile è quella reintegratoria attenuata ex art. 3, comma 2, del citato Decreto.

Quanto al secondo motivo, la Corte ha confermato la correttezza del calcolo operato dai giudici di merito, ritenendo che l’indennità fosse stata determinata nel rispetto del limite massimo di dodici mensilità e con corretta detrazione dell'aliunde perceptum nel periodo di riferimento.

La pronuncia si pone in continuità con il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la nullità del patto di prova non travolge l’intero contratto, ma ne “determina l'automatica conversione dell'assunzione in definitiva in dall'inizio”, con conseguente inapplicabilità del regime di libera recedibilità. Essa recepisce, inoltre, l’evoluzione impressa dalla Corte costituzionale in tema di licenziamenti e tutele crescenti, ribadendo la centralità del principio di giustificatezza del recesso e l’inderogabilità delle garanzie riconosciute al lavoratore.

In definitiva, la sentenza in esame conferma la progressiva estensione della tutela reintegratoria alle ipotesi di licenziamento intimato in costanza di un patto di prova nullo, rafforzando la convergenza del sistema rispetto ai principi costituzionali di eguaglianza e tutela del lavoro.