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31 gennaio 202510 minuti di lettura

Labour News - Le novità della settimana

31 gennaio 2025
In evidenza

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Ordinanza n. 1227 del 17 gennaio 2025 – Legittimo l'utilizzo dei permessi per l'assistenza del familiare disabile ex L. 104/1992 anche per lo svolgimento di attività accessorie

La vicenda sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione riguarda un licenziamento per giusta causa intimato per un utilizzo asseritamente abusivo dei permessi previsti della legge n. 104/1992 per l'assistenza a un familiare disabile.

All'esito del secondo grado di giudizio, il recesso veniva ritenuto legittimo in ragione della circostanza accertata che il dipendente era solito dedicare solo un'ora al giorno all’assistenza "diretta", trascorrendo il tempo in compagnia del familiare disabile, mentre per il resto della giornata svolgeva attività all'esterno della sua abitazione.

La Suprema Corte ha cassato la pronuncia della Corte d'appello di Roma, ritenendo che la suddetta circostanza non fosse sufficiente a integrare un abuso del diritto ai permessi, poiché gli incombenti disbrigati dal lavoratore erano da qualificarsi come attività "accessorie e complementari" a garantire una assistenza "fruttuosa e utile" del disabile e nel suo prevalente interesse.

In particolare, nell'Ordinanza viene evidenziato come debbano ricomprendersi nell'ampia definizione legislativa di assistenza ex L. 104/1992 anche le attività ad essa ancillari, quali l'acquisto di medicinali, generi alimentari o prodotti per l'igiene personale a beneficio del disabile, nonché gli spostamenti effettuati per raggiungere il suo domicilio e gli esercizi commerciali. Analogamente, sono incluse le attività finalizzate al conseguimento delle prescrizioni dal medico di famiglia e alla partecipazione del disabile a eventi di relazione sociale, sportiva o religiosa. Inoltre, sotto un profilo "qualitativo" devono essere valorizzate sia la portata sia la finalità dell'intervento assistenziale del dipendente, tenendo conto del complessivo contesto, anche relazionale, e dell'eventuale necessità di accertamenti o ricoveri presso strutture sanitarie, non potendosi applicare un criterio meramente quantitativo legato al solo tempo dedicato all'assistenza diretta al disabile.

Pertanto, si configura un abuso del diritto solo nell'ipotesi in cui l'assistenza al disabile sia di durata irrisoria o venga svolta con modalità inadeguate e tali da vanificare le finalità primarie dell'intervento assistenziale.

INL, nota n. 579 del 22 gennaio 2025: chiarimenti sulle dimissioni per fatti concludenti 

Con la nota n. 579 del 22 gennaio scorso, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito le prime indicazioni applicative sulle nuove previsioni in materia di dimissioni introdotte dalla legge n. 203/2024 (c.d. Collegato Lavoro) in ipotesi di assenza ingiustificata.

Secondo la nota, qualora il datore di lavoro intenda far valere l’assenza ingiustificata del lavoratore protrattasi oltre il termine previsto dal contratto collettivo - o, in mancanza, per almeno 15 giorni  (non viene chiarito se si tratta di giorni lavorativi o di calendario) - ai fini della risoluzione del rapporto di lavoro, è tenuto a inviare apposita comunicazione, preferibilmente via PEC, alla sede territoriale dell’Ispettorato individuata in base al luogo di svolgimento del rapporto di lavoro.

La comunicazione deve essere corredata con l'indicazione dei dati anagrafici e dei recapiti del dipendente di cui il datore di lavoro è a conoscenza, nonché delle altre informazioni relative al rapporto: data di assunzione, tipologia contrattuale, sede, categoria, livello di inquadramento e qualifica, data di inizio e giorni totali di assenza ingiustificata ed evidenza della mancata autorizzazione e indicazione delle previsioni applicabili del CCNL.

Sulla base di tali dati e di eventuali altre informazioni già in suo possesso, l'Ispettorato territoriale potrà effettuare verifiche volte ad appurare la “veridicità" della comunicazione, anche contattando il lavoratore stesso, suoi ex colleghi o altri soggetti che possano fornire elementi utili al fine di appurare le circostanze che hanno determinato la mancata giustificazione dell'assenza. All'esito delle eventuali verifiche ispettive, che devono concludersi al massimo entro 30 giorni, l’effetto risolutivo del rapporto potrà essere evitato solo se il lavoratore dimostra “l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza”. Il modello di comunicazione che può essere utilizzato dal datori di lavoro è stato pubblicato dall'INL unitamente alla nota.

INPS, messaggio n. 285 del 24 gennaio 2025 – Apprendistato "duale" 

L'INPS interviene in materia di trasformazione del contratto di c.d. apprendistato di primo livello in apprendistato professionalizzante o in apprendistato di alta formazione e di ricerca e per la formazione professionale regionale, in relazione alle previsioni di cui all'art. 43, c. 9, del D.Lgs. n. 81/2015, come recentemente modificato dall’art. 18 della legge n. 203/2024.

Nel messaggio n. 285/2025, in particolare, viene precisato come il contratto di apprendistato di alta formazione e ricerca debba necessariamente essere accompagnato da un protocollo sottoscritto con l’ente formativo o di ricerca che stabilisca anche la durata e le modalità, anche temporali, della formazione a carico del datore di lavoro. Inoltre, si chiarisce che la formazione esterna all’azienda debba essere svolta nell’ambito dell'istituzione formativa e dei percorsi di istruzione tecnica superiore e non può, di norma, essere superiore al 60% dell’orario ordinamentale.

INL, nota n. 656 del 23 gennaio 2025: sul tesserino di riconoscimento negli appalti

La nota dell'Ispettorato Nazionale contiene utili precisazioni in merito all’obbligo di munire il personale impiegato nell'ambito di appalti o subappalti nei cantieri edili, di un tesserino di riconoscimento e sul correlato dovere di esporlo in capo ai lavoratori, collegate alle modifiche introdotte dalla legge n. 203/2024 all’art. 304, del D.lgs. n. 81/2008 (prevedendo l’abrogazione dei commi 3, 4 e 5 dell’art. 36-bis del D.L. 223/2006 convertito in legge n. 248/2006).

In proposito, la Nota evidenzia come sia i lavoratori subordinati sia gli autonomi debbano essere muniti di tesserino corredato da fotografia, generalità personali e indicazione del datore di lavoro, che deve essere esposto durante l'esecuzione dell'attività. Gli stessi obblighi trovano applicazione anche nei confronti dei componenti di imprese familiari, coltivatori diretti, i soci di società semplici operanti nel settore agricolo, artigiani e piccoli commercianti che effettuino prestazioni in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto.

In tema di sanzioni, l'Ispettorato precisa come trovino applicazione le seguenti disposizioni: (i) il datore di lavoro dell’impresa appaltatrice o subappaltatrice che non fornisce ai propri lavoratori un’apposita tessera di riconoscimento è sanzionato dall’art. 55, comma 5, lett. i) del d.lgs. n. 81/2008; mentre il lavoratore subordinato che non la espone è sanzionato dall’art. 59, comma 1, lett. b). Qualora la prestazione sia eseguita in un luogo dove si svolgono anche attività in regime di appalto o subappalto, gli stessi obblighi gravano in capo ai lavoratori autonomi, i quali, se non si muniscono di apposita tessera di riconoscimento o non la espongono, sono passibili di sanzioni ai sensi dell’art. 60, commi 1-2, del D.lgs. n. 81/2008.

Resta inteso che, anche per gli appalti non afferenti ai cantieri edili, restano in vigore e continuano ad applicarsi le normali disposizioni che impongono al datore di lavoro l'obbligo di consegnare il tesserino di riconoscimento e al lavoratore, conseguentemente, di esporlo.

 

Le altre novità

Giurisprudenza

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, ordinanza n. 1364 del 20 gennaio 2025 – Il repêchage non comporta l'obbligo di creare nuove posizioni né di valutare mansioni alternative non in linea con la professionalità del lavoratore licenziato

Con l'ordinanza n. 1364 del 20 gennaio scorso, la Corte di Cassazione ha affrontato un caso relativo a un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con particolare riferimento al cd. obbligo di repêchage

Al riguardo la Corte ha osservato che tale onere non impone di creare nuove posizioni né di modificare l’organizzazione aziendale per la conservazione del posto, mentre il datore di lavoro è tenuto esclusivamente a dimostrare l’assenza di posizioni libere compatibili con la professionalità del dipendente. Ciò, anche in considerazione del fatto che il giudice non può, “una volta emersa la prova della soppressione del posto, imporre al datore di mantenere una posizione di lavoro anche inferiore, poiché si sostituirebbe all'imprenditore nel compito di organizzazione aziendale che a lui compete”.  

Nella fattispecie esaminata dalla Corte, il lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo svolgeva mansioni di venditore per l'export, ma non era riuscito a ottenere un visto permanente per operare stabilmente in un Paese straniero; la sua professionalità presentava peraltro caratteri di unicità nel contesto aziendale in quanto era stato specificamente assunto per sviluppare il business nell'area del Sud America. Accertata l'insussistenza di posizioni disponibili e l'infungibilità professionale con altri lavoratori del settore, l'obbligo di repêchage risultava correttamente assolto dal datore di lavoro. Sul punto, i giudici di legittimità hanno affermato che il relativo onere probatorio è limitato “alla dimostrazione dell'inesistenza di posizioni vacanti compatibili con le mansioni del lavoratore, senza obbligo di estendere la ricerca ad altre funzioni non strettamente correlate”, né di creare posizioni nuove o di valutare l'adibizione a mansioni non compatibili con la professionalità di riferimento del dipendente licenziato.

Legislazione

Approvati quesiti referendari dalla Consulta: a rischio Jobs Act e contratti a termine  

Il 20 gennaio scorso la Corte Costituzionale ha comunicato l’ammissibilità dei seguenti quesiti in materia giuslavoristica per il referendum che si svolgerà entro il prossimo mese di giugno:

  • Disciplina del contratto "a tutele crescenti" di cui al D.lgs. 23/2015; 
  • Limite dell’indennità risarcitoria per licenziamento illegittimo nelle piccole imprese; 
  • Disciplina in materia di contratti di lavoro a tempo determinato; 
  • Estensione della responsabilità solidale tra committente, appaltatore e subappaltatore in caso di infortuni sul lavoro ai danni connessi ai rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici / subappaltatrici.  

In sintesi, in caso di approvazione del referendum abrogativo sui contratti a tempo determinato, l’assunzione tornerebbe a dover essere giustificata da specifiche causali anche per i rapporti di durata inferiore a 12 mesi.

Per quanto riguarda invece le tutele in caso di licenziamento, il referendum potrebbe portare all’abrogazione della disciplina attuale sul contratto a tutele crescenti di cui al D.lgs. 23/2015 (c.d. Jobs Act), che fissa un tetto massimo all’indennità risarcitoria in caso di recesso illegittimo (fatte salve alcune limitate ipotesi di reintegrazione) nonché alla rimozione del limite di 6 mensilità per le piccole imprese.

Anche il tema della solidarietà nell'ambito di appalti e subappalti è cruciale: se la proposta di abrogazione fosse approvata, infatti, la responsabilità civile e risarcitoria del committente sarebbe estesa a qualsiasi danno derivante da infortuni sul lavoro subiti dai dipendenti dell’appaltatore e/o di suoi subappaltatori per la quota non indennizzata dall’INAIL (c.d. danno "differenziale").

 

Tema della settimana

Periodo di prova nei contratti a termine: le novità introdotte dal Collegato Lavoro

Tra le varie novità del Collegato Lavoro (Legge n. 203/2024), in vigore dal 12 gennaio 2025, risalta sicuramente la nuova disposizione prevista dall'Articolo 13.

Infatti tale Articolo, sulla scia della Direttiva UE 2019/1152 del 20 giugno 2019 e dell'Articolo 7 del Decreto Trasparenza, ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento dei criteri chiari per determinare la durata del periodo di prova nei contratti a tempo determinato.

Intervenendo su una precedente regolamentazione ritenuta troppo generica e fonte di possibili contenziosi, il legislatore ha fissato dei criteri particolarmente stringenti per il calcolo della proporzione da effettuare in relazione al periodo di prova nei contratti a termine.

In particolare, l'Articolo 13 dispone che la durata del periodo di prova è stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro, fatta salva la possibilità, per la contrattazione collettiva, di derogare in maniera migliorativa tale disposizione.

In ogni caso, prosegue la norma, i limiti esterni dovranno essere al massimo di quindici giorni per i contratti che durano fino a sei mesi e al massimo di trenta giorni per i contratti con durata tra i sei e i dodici mesi.

Pur fornendo diverse specifiche sul tema, in ottemperanza a quanto richiesto dalla normativa europea, il tenore letterale della norma lascia ancora aperte alcune questioni.

Analizzando il testo dell'Articolo 13 sopra richiamato, si nota immediatamente che il legislatore non ha previsto alcuna regola per i contratti di durata superiore ai dodici mesi: tale lacuna potrebbe avere un concreto impatto sui contratti a tempo determinato per i dirigenti i quali, come noto, possono avere una durata ben più lunga di dodici mesi (arrivando anche fino a 5 anni).

Inoltre, la legge ha esclusivamente cambiato le modalità di calcolo del periodo di prova, senza tuttavia modulare tale durata in base al tipo di mansioni o alla professionalità dei lavoratori.

In sede di applicazione e gestione della nuova norma occorre dunque prestare massima attenzione, anche rispetto all'incidenza che la stessa avrà sui contratti collettivi nazionali vigenti.