
21 novembre 2025
Labour News - Le novità della settimana
21 novembre 2025In evidenza
Corte di Cassazione, 12 novembre 2025, n. 29809 - Condotta antisindacale e vincolo associativo
La Corte di Cassazione si è pronunciata in materia di condotta antisindacale (ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori in relazione) a un caso di rifiuto del datore di lavoro ad interfacciarsi con un sindacato al fine di sottoscrivere verbali di conciliazione individuali.
Nel caso di specie, un’azienda aveva negato ai lavoratori iscritti a un sindacato l’assistenza del loro rappresentante in sede di conciliazione, invitandoli a rivolgersi ad altre sigle, motivando tale decisione sulla base delle indicazioni ricevute dall'Unione Industriali di Roma che riteneva di non poter riconoscere tale sindacato come controparte contrattuale per la sottoscrizione dei verbali di conciliazione. La Corte d’appello aveva escluso la responsabilità datoriale, ritenendo che il rifiuto provenisse dall’Unione Industriali.
La Suprema Corte ha invece chiarito che - ai fini della configurazione della condotta antisindacale - è sufficiente l’idoneità oggettiva del comportamento a ledere la libertà sindacale, indipendentemente da dolo o colpa. Il vincolo associativo con l’organizzazione datoriale non costituisce esimente: il datore di lavoro resta l’unico legittimato passivo nell’azione ex art. 28, anche se agisce in attuazione di decisioni della propria associazione di categoria.
Ne consegue che è antisindacale la condotta del datore che impedisce ai lavoratori di avvalersi dell’assistenza del sindacato di appartenenza nelle procedure conciliative, anche per effetto di scelte associative.
Il Parlamento europeo approva la posizione negoziale su semplificazione amministrativa e rendicontazione di sostenibilità
Il Parlamento Europeo ha approvato la proposta legislativa che punta ad alleggerire gli oneri amministrativi per le aziende e a rendere le regole più chiare in materia di rendicontazione di sostenibilità.
In particolare, è previsto l’obbligo di predisporre report relativi agli impatti sociali e ambientali dell'attività aziendale limitatamente alle imprese con oltre 1.750 dipendenti e un fatturato netto annuo superiore a 450 milioni di euro. Le medesime soglie troverebbero applicazione anche per l’obbligo di comunicare informazioni in materia di tassonomia degli investimenti sostenibili.
Gli obblighi in materia di due diligence dovrebbero riguardare, invece, esclusivamente le società con oltre 5.000 dipendenti e un fatturato netto superiore a 1,5 miliardi di euro. Tali soggetti sarebbero tenuti ad adottare un approccio basato sul rischio per individuare, prevenire o mitigare gli impatti negativi prodotti sulle persone e sull’ambiente. Inoltre, queste società non sarebbero più obbligate a predisporre un piano di transizione volto ad allineare il modello di business all’Accordo di Parigi.
In caso di inadempimento degli obblighi di due diligence, le imprese potrebbero essere soggette a sanzioni pecuniarie, la cui determinazione è rimessa alla Commissione e agli Stati membri. La responsabilità civile per danni derivanti dall’inadempimento sarebbe disciplinata esclusivamente dalle normative nazionali, con l’obbligo per l’impresa di garantire il pieno risarcimento delle vittime.
Infine, il Parlamento ha richiesto anche l'introduzione di un portale digitale dedicato, ad accesso gratuito, contenente moduli, linee guida e informazioni relative a tutti gli obblighi di rendicontazione previsti dalla normativa europea.
INPS-Circolare del 14 novembre 2025, n. 143: Contratti di solidarietà, indicazioni operative per le agevolazioni contributive
L’INPS ha fornito istruzioni operative su come le aziende possano usufruire delle riduzioni contributive legate ai contratti di solidarietà.
Lo sgravio si applica alle imprese che, secondo i decreti del Ministero del Lavoro (decreti interministeriali 7 luglio 2014, n. 83312, e 14 settembre 2015, n. 17981), sono state ammesse all’agevolazione prevista dall’articolo 6 del decreto-legge n. 510/1996, convertito con modificazioni dalla legge n. 608/1996, e riguarda lo stanziamento relativo al 2024.
L’agevolazione contributiva consiste in una riduzione del 35% dei contributi a carico del datore di lavoro e si rivolge alle aziende che abbiano:
- stipulato un contratto di solidarietà entro il 30 novembre 2024, oppure
- avuto un contratto di solidarietà attivo durante il secondo semestre del 2023.
Il beneficio è valido per tutta la durata del contratto, fino a un massimo di 24 mesi complessivi nell’arco di cinque anni, e si applica esclusivamente ai lavoratori la cui riduzione dell’orario supera il 20%.
In ogni caso, il beneficio contributivo è subordinato al rispetto della normativa in materia di regolarità contributiva e al corretto adempimento della parte economica degli accordi e dei contratti collettivi, come previsto dalla cosiddetta normativa sul DURC.
Le imprese ammesse potranno procedere al conguaglio solo se i periodi di CIGS per solidarietà si sono conclusi entro il 31 marzo 2025.
Infine, la Circolare chiarisce che lo sgravio contributivo non può essere cumulato con altri incentivi simili, fatta eccezione per la Decontribuzione Sud.
Le altre novità
Giurisprudenza
Permesso di soggiorno per attività di volontariato: no della Corte della CGUE a condizioni supplementari
Con pronuncia relativa alla causa C-525/23, la Corte di Giustizia europea ha stabilito, in tema di rilascio di permesso di soggiorno per attività di volontariato, che lo Stato membro non può introdurre ulteriori condizioni, dirette ad accertare l'esistenza di risorse in capo al richiedente.
Nel caso di specie, un cittadino di un Paese terzo aveva richiesto in Ungheria il rinnovo del proprio permesso di soggiorno per svolgere attività di volontariato presso una associazione. A sostegno della domanda l'istante dichiarava di poter contare su risorse economiche garantite da un parente, cittadino britannico; le autorità ungheresi hanno, tuttavia, respinto l’istanza, ritenendo che tale parente non potesse essere considerato un “familiare” ai sensi della normativa nazionale e che, di conseguenza, venisse meno la garanzia sui sussidi economici.
La Corte suprema ungherese – in riforma della sentenza di primo grado - ha stabilito che è necessario definire la natura del supporto economico, quale reddito o bene patrimoniale, nonché precisare a quale titolo tale supporto è stato ricevuto, indicando se è possibile averne la disponibilità illimitata e definitiva.
Adita in via pregiudiziale, la CGUE ha preliminarmente ribadito che, ai fini dell'accoglimento della domanda di ammissione in uno Stato dell'UE, è necessario che siano soddisfatte le condizioni di ingresso di cui alla normativa comunitaria in tema di ingresso per volontariato.
La CGUE ha poi stabilito che la valutazione in ordine alla sufficienza delle risorse deve basarsi sulla sola verifica di quanto effettivamente disponga il soggetto richiedente.
Secondo il giudizio della Corte, altri requisiti - riguardanti ad esempio la natura, la provenienza o le modalità con cui il richiedente disponga di tali risorse - figurano quali condizioni supplementari vietate.
Corte di Cassazione, 11 novembre 2025, n. 29738 - Sulla negoziazione di rinnovo del protocollo sui permessi
La Corte di Cassazione ha confermato la condotta antisindacale di un datore di lavoro per aver proposto - nell’ambito delle trattative per il rinnovo del protocollo di relazioni sindacali - un rinnovo semestrale dell’accordo, qualificando tale proposta come «non trattabile» e rifiutando ogni ulteriore interlocuzione con l’organizzazione sindacale.
L'organizzazione sindacale aveva dunque promosso un ricorso ex art. 28 della L. 300/1970, deducendo che la società, presentando una proposta “non trattabile” e negando ogni chiarimento richiesto, aveva violato i principi di correttezza e buona fede nelle trattative, arrecando un pregiudizio all’esercizio dell’attività sindacale; all'esito del giudizio, il Tribunale aveva stabilito che la condotta non integrasse antisindacalità, rigettando quindi il ricorso.
Il datore di lavoro aveva impugnato la decisione di primo grado sostenendo l’inesistenza di alcun obbligo legale a trattare con tutte le organizzazioni sindacali e censurando l’interpretazione dell'articolo 8 del precedente protocollo di relazioni industriali del 15 dicembre 2015, che prevedeva semplicemente un incontro in vista della scadenza dell'accordo, senza imporre alle parti vincoli ulteriori.
La Corte d’Appello, chiamata a pronunciarsi sul punto, riteneva che, pur in assenza di un obbligo legale a negoziare, le parti avessero volontariamente assunto un obbligo alla trattativa, consolidato nel tempo attraverso il ripetersi degli accordi annuali e ribadito anche nell’ultimo protocollo del 2015. Secondo la Corte Territoriale, la scelta del datore di presentare una proposta qualificata come "non trattabile", negando ogni chiarimento richiesto dal sindacato, era dunque lesiva dei principi di buona fede e correttezza negoziale, determinando un pregiudizio concreto all’attività sindacale.
Rigettando integralmente il ricorso per cassazione promosso dal datore di lavoro, la Suprema Corte ha rilevato che l'obbligo del datore di lavoro a trattare con tutte le organizzazioni sindacali può sorgere dalla volontà negoziale delle parti.
In particolare, la Cassazione ha stabilito che l’art. 8 dell’accordo del 2015 — reiterato negli anni — imponeva alle parti di incontrarsi e trattare secondo buona fede al fine di valutare le condizioni di un eventuale rinnovo, non potendo utilizzare in modo distorto la propria autonomia negoziale in maniera tale da arrecare un pregiudizio rilevante all’attività dell'altra parte. La Cassazione ha dunque ribadito che la condotta antisindacale di cui all’art. 28 Stat. lav. costituisce una fattispecie «strutturalmente aperta», integrata da ogni comportamento idoneo a ledere la libertà e l’attività sindacale.
Circolari e Prassi
INPS - Messaggio del 17 novembre 2025 n. 3452: Convenzione con la Regione Sicilia per l’erogazione delle indennità di tirocinio formativo
L'INPS ha fornito istruzioni operative e contabili relative alla convenzione stipulata con la Regione Siciliana per la gestione delle indennità di tirocinio extracurriculare previste dal Piano Attuativo Regionale (PAR) Sicilia del Programma nazionale Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori (GOL).
Tema della Settimana
Dimissioni di fatto: la sentenza di Milano e le prime incertezze interpretative
Con sentenza del 29 ottobre 2025, il Tribunale di Milano ha fornito una delle prime interpretazioni applicative sulla nuova disciplina delle “dimissioni di fatto” introdotte dall’art. 26, comma 7-bis, D.Lgs. 151/2015 (L. 203/2024).
La sentenza trae origine dalla vicenda di una lavoratrice risultata assente ingiustificata per più giorni consecutivi, che la società datrice di lavoro aveva considerato dimissionaria di fatto, applicando il termine di 3 giorni previsto dal CCNL Cooperative Sociali per il licenziamento disciplinare.
La ricorrente ha contestato l’atto, invocando il mancato superamento dei 15 giorni di assenza previsti dalla legge e la non applicabilità del termine di 3 giorni di assenza ingiustificata previsto dall’art. 42 del CCNL Cooperative Sociali, in quanto termine previsto dal CCNL per il solo licenziamento disciplinare e non anche per la fattispecie delle dimissioni per fatti concludenti.
Il Giudice di Milano, investito della controversia, ha ritenuto che, in presenza di una previsione contrattuale, sebbene non espressamente riferita alle dimissioni di fatto, il termine rilevante per integrare la fattispecie delle dimissioni per fatti concludenti sia quello fissato dal CCNL, e non quello legale di 15 giorni previsto dalla norma solo in via residuale.
Secondo il Giudice di Milano, infatti, i 3 giorni di assenza previsti dal CCNL Cooperative Sociali quale giusta causa di licenziamento, sono sufficienti e idonei anche ad integrare la fattispecie delle dimissioni di fatto. Il Giudice ha infatti ritenuto che il rinvio operato dalla norma (art. 26, comma 7-bis) alla contrattazione collettiva, valorizzasse le soglie disciplinari elaborate dalle parti sociali, consentendo di applicare analogicamente tali soglie anche alla fattispecie delle dimissioni per fatti concludenti.
Nel caso di specie, il superamento dei 3 giorni di assenza ingiustificata ha quindi legittimato la risoluzione del rapporto per volontà del lavoratore, con conseguente rigetto del ricorso della lavoratrice e della richiesta di reintegra.
Il nodo interpretativo: CCNL o legge?
È bene evidenziare però che la sentenza di Milano si inserisce in un quadro ancora in evoluzione.
La norma rinvia genericamente al termine previsto dal CCNL; tuttavia, la maggior parte dei contratti collettivi attualmente in vigore disciplina esclusivamente il licenziamento per motivi disciplinari, senza menzionare in modo esplicito le dimissioni di fatto. L’interpretazione adottata dal Tribunale di Milano, ossia l’applicazione del termine previsto per il licenziamento disciplinare anche alle dimissioni per fatti concludenti, costituisce quindi una lettura innovativa, tra le prime sul tema, e non può considerarsi definitiva.
Il Ministero del Lavoro, con circolari e FAQ, ha suggerito che le previsioni contrattuali dovrebbero essere espressamente riferite alla nuova fattispecie, lasciando intendere che, in caso contrario, si dovrebbe applicare il termine legale di 15 giorni.
In tale contesto, in attesa di ulteriori pronunce sul tema, sarebbe opportuno adottare la massima prudenza nella gestione della nuova fattispecie risolutoria. In assenza di una chiara previsione contrattuale sulle dimissioni di fatto, l’utilizzo dell'eventuale termine più breve previsto per il licenziamento disciplinare potrebbe essere oggetto di contestazioni con conseguente rischio di illegittimità del provvedimento datoriale.
La stessa sentenza di Milano, pur autorevole, rappresenta solo una delle prime interpretazioni e non possono escludersi possibili futuri orientamenti giurisprudenziali di segno contrario, soprattutto in attesa di un aggiornamento dei CCNL che, auspicabilmente, dovrebbero iniziare a recepire espressamente la nuova disciplina.
In conclusione, quindi, la sentenza milanese offre un primo, importante spunto applicativo, ma il quadro resta in divenire. In attesa di una maggiore chiarezza normativa e contrattuale, sarebbe opportuno valutare caso per caso, privilegiando, in via cautelativa, il termine legale di 15 giorni, salva l'applicazione di diverse e specifiche previsioni contrattuali che siano però espressamente riferite alle dimissioni di fatto.