
5 dicembre 2025
Labour News - Le novita della settimana
5 dicembre 2025In evidenza
Corte di Cassazione, 28 novembre 2025, n. 31120 - Abuso della sostituzione del lavoratore e diritto all’inquadramento superiore
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di una lavoratrice contro la decisione che le aveva negato il riconoscimento definitivo dell’inquadramento corrispondente alle mansioni superiori svolte per un periodo di tempo prolungato.
Nel ricostruire il quadro normativo, la Corte di Cassazione ha ribadito che la regola generale prevede la stabilizzazione dell’inquadramento superiore una volta superato il periodo indicato dalla disciplina applicabile. La Corte ha tuttavia precisato che l’ipotesi della sostituzione temporanea di un dipendente assente con diritto alla conservazione del posto costituisce un’eccezione alla regola, la cui applicazione richiede un accertamento rigoroso sull’effettiva finalità sostitutiva. Tale verifica diventa ancor più rigorosa quando l’adibizione alle mansioni superiori si protrae per un arco temporale particolarmente lungo, tale da allontanarsi in modo significativo dalla durata ordinaria prevista dal contratto collettivo.
Richiamando l’orientamento consolidato, gli ermellini hanno sottolineato che la deroga alla regola della definitività non può tradursi in uno strumento elusivo, idoneo a legittimare un utilizzo stabile o semi-stabile del lavoratore in mansioni di livello più elevato senza il correlato riconoscimento dell’inquadramento spettante. Pertanto, per escludere il diritto alla stabilizzazione, è necessario accertare non solo l’esistenza della sostituzione, ma anche l’assenza di un abuso nella reiterazione di tale assetto organizzativo.
Nel caso esaminato, la Suprema Corte ha rilevato che la decisione impugnata non aveva adeguatamente verificato questo aspetto, omettendo di valutare la sproporzione tra la durata effettiva dell’assegnazione e il limitato arco temporale che normalmente caratterizza la sostituzione. Tale omissione è stata ritenuta idonea a incidere sull’esito della controversia, imponendo la cassazione della decisione e un nuovo esame alla luce del principio per cui la professionalità del lavoratore deve essere tutelata contro possibili utilizzi distorti dell’istituto sostitutivo.
In conclusione, la Suprema Corte ha disposto il rinvio affinché il giudice del nuovo esame proceda a una completa rivalutazione dei fatti, verificando in concreto la ricorrenza o meno dei presupposti che possono escludere il diritto alla stabilizzazione dell’inquadramento superiore, con particolare attenzione alla durata dell’assegnazione e alla necessità di prevenire possibili abusi.
Garante Privacy, Newsletter del 27 novembre 2025 n. 540: Linee guida ANAC in materia di Whistleblowing
Il Garante per la protezione dei dati personali ha esaminato due proposte di delibera presentate dall’Anac sul tema del whistleblowing: una riguardante l’adozione delle nuove Linee guida per le segnalazioni interne e l’altra l’aggiornamento delle Linee guida per le segnalazioni esterne. L’obiettivo comune è rendere la gestione dei diversi canali di segnalazione più omogenea, sicura ed efficiente.
Le Linee guida sono state elaborate tenendo conto del confronto costante con l’Autorità garante, con l’intento di assicurare una tutela piena dell’identità del segnalante, del contenuto delle segnalazioni e dei dati delle persone coinvolte. Tra i principali elementi critici evidenziati figurano i rischi derivanti dall’utilizzo della posta elettronica, la necessità di svolgere una valutazione d’impatto sulla protezione dei dati (DPIA) anche con il supporto dei fornitori tecnologici, la corretta definizione dei tempi di conservazione e la possibilità, in alcuni casi, di utilizzare un canale condiviso tra più enti, purché siano adottate adeguate misure per limitare l’accesso alle sole segnalazioni pertinenti.
Altre novità
Giurisprudenza
Corte di Cassazione, 26 novembre 2025, n. 31008 - Il tentativo di conciliazione non blocca la domanda giudiziale
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un lavoratore avverso la decisione che aveva dichiarato improcedibile la domanda giudiziale per mancato esperimento del tentativo di conciliazione nelle forme previste dal contratto collettivo.
La Suprema Corte, in particolare, ha osservato che la clausola collettiva che prevede un tentativo obbligatorio di conciliazione presso un organismo paritetico non può tradursi in un ostacolo all’accesso alla tutela giurisdizionale. Pur riconoscendo che le parti sociali possono legittimamente istituire procedure obbligatorie di confronto preventivo, la Corte ha chiarito che tali previsioni non possono incidere sui requisiti necessari per l’instaurazione del processo, i quali attengono a profili di ordine pubblico processuale.
Nel caso concreto, il lavoratore aveva comunque esperito un tentativo di conciliazione in sede amministrativa, al quale la controparte aveva partecipato senza formulare alcuna eccezione circa la competenza dell’organismo convocato. Gli ermellini hanno affermato che, in assenza di una specifica lesione delle prerogative difensive o di un concreto pregiudizio derivante dalla diversa sede conciliativa, non può operare la sanzione dell’improcedibilità della domanda giudiziale. Tale esito, infatti, si porrebbe in contrasto con i principi di effettività della tutela e di accesso alla giustizia sanciti dall’art. 111 Cost., dall’art. 6 CEDU e dall’art. 47 della Carta UE.
Sulla base di tali considerazioni, la sentenza è stata pertanto cassata con rinvio, affinché il giudice del merito riesamini la vicenda attenendosi al principio secondo cui il tentativo di conciliazione configurato dal contratto collettivo non può costituire un ostacolo sproporzionato o irragionevole all’esercizio del diritto di azione.
Corte di Cassazione, 24 novembre 2025, n. 30821 - Controlli investigativi e licenziamento per giusta causa
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un lavoratore confermando la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato sulla base delle risultanze delle attività investigative, che avevano fatto emergere condotte idonee a compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario.
Il caso riguardava l’esito di attività investigative che avevano documentato, in più occasioni, comportamenti non conformi alle prescrizioni di servizio. La Suprema Corte, nel richiamare gli accertamenti compiuti nei precedenti gradi di giudizio, ha ritenuto corretto qualificare tali verifiche come finalizzate non al controllo dell’adempimento della prestazione, ma all’accertamento di condotte potenzialmente illecite o fraudolente. Tale tipologia di controllo, proprio perché volta a tutelare il patrimonio e l’immagine dell’organizzazione, non ricade nei limiti previsti per il monitoraggio a distanza della normale attività lavorativa.
Gli ermellini hanno inoltre evidenziato che la valutazione circa la natura del controllo investigativo è rimessa al giudice del merito e che, quando l’attività è svolta in luoghi pubblici ed è diretta ad accertare comportamenti estranei all’ordinaria esecuzione della prestazione, essa rientra pienamente nei poteri datoriali. Richiamando l’orientamento consolidato, è stato ribadito che l'utilizzo di agenzie investigative è legittimo quando finalizzato all’individuazione di condotte idonee a ledere l’affidamento datoriale o a arrecare un pregiudizio economico o reputazionale.
Conseguentemente, il ricorso è stato integralmente respinto, con condanna alle spese e applicazione dell’ulteriore contributo unificato previsto dalla normativa vigente.
Circolari e Prassi
INPS - Messaggio del 28 novembre 2025, n. 3592: Rinnovo della Convenzione INPS-INL-CONFAPI-CGIL-CISL-UIL per la rilevazione della rappresentanza sindacale
L’INPS informa che la Convenzione stipulata tra INPS, INL, CONFAPI, CGIL, CISL e UIL per la raccolta e l’elaborazione dei dati sulla rappresentanza sindacale per la contrattazione collettiva nazionale di categoria è stata prorogata per altri tre anni.
Il rinnovo riguarda anche il codice di autorizzazione “0Y”, che identifica le aziende che trasmettono i dati relativi alla rappresentanza sindacale nell’area CONFAPI. Il codice resterà valido per tutte le matricole già codificate secondo la Convenzione.
Per semplificare il lavoro di datori di lavoro e intermediari, l’INPS ha pubblicato un elenco aggiornato dei contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL), riferibili all’area CONFAPI. Per ogni contratto sono indicati:
- il codice Ra.Si., utilizzato per la rilevazione della rappresentatività sindacale;
- il codice alfanumerico CNEL corrispondente.
Questa proroga garantisce la continuità nella raccolta e gestione dei dati sulla rappresentanza sindacale, assicurando che le rilevazioni e le misurazioni restino coerenti e aggiornate nel tempo.
Tema della settimana
Estorsione e rapporti di lavoro: la Cassazione conferma la condanna del datore di lavoro
Con la sentenza n. 29368 dell’8 agosto 2025, la seconda sezione penale della Corte di Cassazione è tornata sul tema della sottoscrizione delle buste paga contenenti importi non corrisposti e del possibile rilievo penale della condotta datoriale. La vicenda riguardava il titolare di un’azienda che imponeva a due dipendenti di firmare buste paga recanti acconti mai erogati, prospettando, in caso di rifiuto, la mancata retribuzione o l’interruzione del rapporto.
La Corte ha ribadito il principio per cui “integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell'offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, in particolare consentendo a sottoscrivere buste paga attestanti il pagamento di somme maggiori rispetto a quelle effettivamente versate”.
Nell’applicare tale principio al caso concreto, la Cassazione sottolinea come fossero presenti tutti gli elementi costitutivi dell’estorsione, evidenziando che:
a) la minaccia — di mancata retribuzione o addirittura di licenziamento - rappresentava un mezzo di pressione idoneo a coartare la volontà delle lavoratrici;
b) il profitto consisteva nell’impiegare personale con condizioni contrattuali solo apparentemente conformi alla normativa, mentre la retribuzione effettivamente corrisposta era inferiore;
c) il danno si concretizzava nella posizione delle dipendenti, formalmente percettrici di redditi più elevati, con conseguenti effetti anche sul piano fiscale.
La Corte chiarisce inoltre che tale profitto è ingiusto, perché il datore di lavoro non può pretendere il rispetto di accordi contra legem che prevedano retribuzioni inferiori a quelle risultanti dalle buste paga o contrarie alle tutele collettive.
Di conseguenza, i giudici di legittimità hanno confermato la condanna per estorsione continuata, rilevando che la prassi aziendale o l’assenza di modifiche peggiorative rispetto all’intesa iniziale non assumono alcun rilievo: ciò che conta è la pressione esercitata nella fase di esecuzione del rapporto, quando il lavoratore rivendica quanto gli spetta. In tali circostanze, la minaccia di perdere il posto o di non essere retribuito integra sia il profitto ingiusto dell’imprenditore sia il danno del dipendente, anche solo in termini probatori.
La decisione conferma l’attenzione della giurisprudenza penale verso pratiche elusive che, pur mascherate da routine amministrative, finiscono per comprimere diritti retributivi fondamentali.