
25 luglio 2025 • 10 minuti di lettura
Labour News - Le novità della settimana
25 luglio 2025In evidenza
Corte Costituzionale 21 luglio 2025, n. 118: illegittimo il tetto di 6 mensilità per i licenziamenti nelle piccole imprese
La Corte Costituzionale ha dichiarato parzialmente incostituzionale l’art. 9, comma 1, del D.lgs. n. 23/2015 (c.d. Jobs Act), nella parte in cui fissava a un massimo di sei mensilità l’indennità risarcitoria per i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese (fino a 15 dipendenti).
[Si veda approfondimento della settimana in calce]
Corte costituzionale, 21 luglio 2025, n. 115: Il congedo di paternità spetta anche alla madre intenzionale nelle coppie omogenitoriali
La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 27-bis del D.lgs. n. 151/2001, nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio alla madre intenzionale in una coppia omogenitoriale femminile, regolarmente riconosciuta nei registri dello stato civile.
La questione era stata sollevata dalla Corte d’appello di Brescia, che aveva evidenziato il carattere discriminatorio della norma. Attualmente, infatti, il congedo di paternità obbligatorio di 10 giorni è previsto solo in favore del “padre”, escludendo così la “seconda madre” anche nei casi in cui entrambe le madri siano formalmente riconosciute come tali.
La Consulta ha ritenuto irragionevole la disparità di trattamento tra le coppie eterosessuali e quelle composte da due donne, in cui entrambe sono legalmente riconosciute come madri a seguito di procreazione medicalmente assistita effettuata all’estero in conformità con la legge locale. Secondo la Corte, l’orientamento sessuale non incide sull’idoneità genitoriale e il riconoscimento giuridico della madre intenzionale risponde pienamente all’interesse superiore del minore. Tale esclusione determina un’irragionevole disparità di trattamento rispetto alla situazione in cui il beneficio è riconosciuto al padre lavoratore in coppie eterosessuali.
La finalità del congedo obbligatorio, osserva la Corte, è quella di favorire la cura del neonato e la condivisione delle responsabilità genitoriali, indipendentemente dalla composizione della coppia. Pertanto, la madre intenzionale nelle coppie omogenitoriali femminili deve essere considerata titolare di diritti e doveri equivalenti a quelli del padre, anche ai fini del congedo di paternità obbligatorio.
Ispettorato Nazionale del Lavoro, nota del 15 luglio 2025, n. 288: nuove indicazioni sui crediti aggiuntivi per la patente a crediti
Con la nota in commento, l’Ispettorato ha fornito nuove indicazioni sui crediti aggiuntivi alle imprese e/o lavoratori autonomi per la patente a crediti.
In particolare, la circolare precisa che la patente a crediti parte da 30 crediti e può arrivare fino a 100, in funzione del possesso di determinati requisiti aggiuntivi (quali, ad esempio, anzianità di iscrizione alla CCIAA, o possesso di certificazioni quali ISO 45001, MOG, SOA).
Inoltre, l’Ispettorato chiarisce che il personale ispettivo può invalidare (e, dunque, sottrare) i crediti aggiuntivi qualora durante l’attività ispettiva accerti il venire meno dei requisiti giustificativi.
Infine, la nota precisa che i soggetti comunitari privi di eIDAS ed extracomunitari dovranno essere identificati contattando un Ufficio territoriale dell’Ispettorato del lavoro (in presenza, via PEC, tramite i servizi MS Teams.) al fine di attestarsi e/o delegare altri soggetti possessori di identità digitale
TFR: aggiornamento coefficiente di rivalutazione per il mese di giugno 2025
Il coefficiente di rivalutazione per il trattamento di fine rapporto (TFR), relativo al mese di giugno 2025, è stato fissato dall’ISTAT all’1,436356%, sulla base dell’indice dei prezzi al consumo pari a 121,3.
Ai sensi dell’art. 2120, commi 4 e 5 del Codice Civile (legge 297/1982), tale coefficiente si applica alla rivalutazione delle quote di TFR accantonate al 31 dicembre 2024, al netto di eventuali anticipazioni e dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione relativa al 2024.
Le altre novità
Giurisprudenza
Corte Costituzionale 18 luglio 2025, n. 111: La Consulta interviene sul termine per impugnare il licenziamento in caso di incapacità di intendere e volere
Con la sentenza n. 111 depositata il 18 luglio 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, della legge 604/1966 nella parte in cui non prevede che, se al momento della ricezione della lettera di licenziamento, o in pendenza del termine per la sua impugnazione (anche in via stragiudiziale), il lavoratore si trovi in uno stato di incapacità di intendere e di volere, non opera l'onere della previa impugnazione entro 60 giorni. La questione di legittimità costituzionale era stata rimessa alla Consulta dalla Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nell'ambito di un caso riguardante una lavoratrice sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio per una grave forma depressiva al momento della ricezione del licenziamento disciplinare.
La Corte ha ritenuto che, in casi simili, l’onere di impugnazione stragiudiziale entro un termine così ristretto comprometta l’accesso effettivo alla tutela giurisdizionale, in violazione degli articoli 3, 4, 24 e 35 della Costituzione. Infatti, chi non è in grado di comprendere la portata del recesso né di decidere consapevolmente come agire non può essere penalizzato con la decadenza dal diritto di impugnare il licenziamento. Sarebbe irragionevole – secondo la Consulta – trattare allo stesso modo un lavoratore consapevole e uno temporaneamente incapace, sacrificando il diritto alla tutela per esigenze puramente formali di celerità.
Pur riconoscendo la necessità di garantire certezza nei rapporti giuridici, la Corte Costituzionale ha escluso la possibilità di far decorrere i termini dal momento del recupero delle facoltà mentali, ritendendo che ciò vanificherebbe il principio di certezza del diritto. Ha tuttavia stabilito che, nei casi di incapacità, l’onere dell’impugnazione entro 60 giorni non opera, ferma restando la scadenza complessiva dei 240 giorni per l’impugnazione giudiziale.
Legislazione
Parlamento: ritirato l’emendamento sulla prescrizione dei crediti di lavoro in costanza di rapporto
È stato ritirato l’emendamento al D.L. n. 92/2025 con cui era stato proposto di far tornare a decorrere la prescrizione dei crediti retributivi in costanza di rapporto di lavoro, in linea con l'impostazione antecedente ai più recenti orientamenti giurisprudenziali.
La proposta prevedeva che, per i lavoratori di aziende con più di 15 dipendenti, il termine di prescrizione quinquennale decorresse durante il rapporto di lavoro, a condizione che trovassero applicazione le tutele dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori ovvero quelle del D.Lgs. 23/2015, ripristinando così decorrenza “ordinaria” della prescrizione, senza distinguere tra tutela reintegratoria forte o attenuata.
L'emendamento introduceva, inoltre, un termine di decadenza di 180 giorni per la proposizione del ricorso a decorrere dalla messa in mora, a pena l’estinzione dell’azione.
Circolari e Prassi
INAIL, circolare del 4 luglio 2025, n. 40: istruzioni sulla gestione dei premi assicurativi dei riders occupati per mezzo delle piattaforme digitali
Facendo seguito alla circolare del Ministero del Lavoro n. 9/2025, l’INAIL ha fornito indicazioni sulle modalità di gestione dei premi assicurativi dei riders.
In particolare, l’Istituto chiarisce che l’attività in esame può essere ricondotta a due voci di tariffa:
- voce di tariffa 0721 in caso di servizio di consegna merci in ambito urbano svolto con l'ausilio di veicoli a due ruote o assimilabili effettuato mediante velocipedi o veicoli a due ruote con cilindrata fino a 50 cc e velocità massima di 45 km/h";
- voce di tariffa 9121 in caso di attività condotta mediante altri tipi di veicoli a motore.
Inoltre, per quanto riguarda la retribuzione imponibile, l’INAIL distingue:
- in caso di lavoro autonomo, si deve fare riferimento alla retribuzione convenzionale giornaliera di importo corrispondente alla misura del limite minimo di retribuzione giornaliera in vigore, rapportata ai giorni di effettiva attività;
- in caso di lavoro subordinato e/o etero-organizzato, invece, il premio è dovuto sulla base delle retribuzioni previste dal CCNL di riferimento oppure, se superiori, su quelle effettivamente erogate, con la precisazione che la retribuzione imponibile giornaliera non può in ogni caso essere inferiore rispetto ai limiti minimi stabiliti annualmente da parte dell'Inail.
Tema della settimana
Licenziamenti individuali nelle piccole imprese: Corte Costituzionale n. 118/ 2025
È incostituzionale il “tetto” di 6 mensilità imposto per legge all’indennità risarcitoria in caso di licenziamenti irrogati dalle "piccole imprese" e giudicati illegittimi. Il giudizio di incostituzionalità si riferisce all’articolo 9, comma 1, del d. lgs. n. 23/2015, ove stabilisce che, nel caso di licenziamenti illegittimi intimati da un'impresa che non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, commi 8 e 9, L. n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), e cioè non occupi più di 15 lavoratori presso un’unità produttiva o nell’ambito di un Comune e comunque non occupi più di 60 dipendenti, l’ammontare delle indennità risarcitorie "non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità".
A parer della Corte Costituzionale, "l’imposizione di un simile limite massimo, fisso e insuperabile, a prescindere dalla gravità del vizio del licenziamento, aggiungendosi alla previsione del dimezzamento degli importi indicati agli articoli 3, comma 1, 4, comma 1, e 6, comma 1, del citato decreto legislativo numero 23 del 2015, fa sì che l’ammontare dell’indennità sia circoscritto entro una forbice così esigua da non consentire al giudice di rispettare i criteri di personalizzazione, adeguatezza e congruità del risarcimento del danno sofferto dal lavoratore illegittimamente licenziato, né da assicurare la funzione deterrente della stessa indennità nei confronti del datore di lavoro". Tale principio è stato espresso dalla Corte costituzionale con sentenza numero 118 del 21 luglio 2025.
Tutto muove dalla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Livorno (in funzione di giudice del lavoro), nel corso di un giudizio avverso la legittimità di un licenziamento, attinente al rapporto tra l’art. 9, comma 1, del d. lgs. n. 23/2015 e gli "artt. 3, primo e secondo comma, 4, primo comma, 35, primo comma, 41, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 24 della Carta sociale europea (CSE), adottata a Torino il 18 ottobre 1961 e riveduta, con annesso, a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 9 febbraio 1999, n. 30".
A parer della Corte Costituzionale, la "questione è fondata in riferimento a tutti i parametri indicati, limitatamente, tuttavia, alla previsione in base alla quale l’ammontare delle indennità risarcitorie di cui agli artt. 3, comma 1, 4, comma 1 e 6, comma 1, «non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità» dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio".
Nell'interessante ricostruzione in diritto, i Giudici Costituzionali hanno evidenziato che, fin da tempo risalente, la tutela contro i licenziamenti illegittimi è stata ricondotta agli artt. 4 e 35 Cost. e "alla configurazione ivi tratteggiata del diritto al lavoro quale «fondamentale diritto di libertà della persona umana» (sentenza n. 45 del 1965), tale da imporre al legislatore di circondare di «doverose garanzie» per il lavoratore e «di opportuni temperamenti» (ancora sentenza n. 45 del 1965) il recesso del datore di lavoro, garantendo così il diritto del lavoratore «a non essere estromesso dal lavoro ingiustamente o irragionevolmente» (sentenza n. 60 del 1991)". In merito, la Corte aveva già affermato in passato il principio per cui il legislatore potesse prevedere, nel rispetto dei canoni di adeguatezza ed effettività, un meccanismo di tutela contro i licenziamenti illegittimi anche solo risarcitorio (cfr. sentenza n. 303 del 2011), a condizione, tuttavia, che tale meccanismo si articolasse nel rispetto del principio di ragionevolezza e muova dalla considerazione che il licenziamento illegittimo, ancorché «idoneo a estinguere il rapporto di lavoro, costituisce pur sempre un atto illecito» (cfr. sentenza n. 194 del 2018). E tali principi di ragionevolezza, effettività e adeguatezza della tutela indennitaria non possono non riferirsi anche ai licenziamenti intimati da imprese di ridotte dimensioni (cfr. sentenza n. 183 del 2022).
Fermo restando quanto sopra, nella vicenda in esame, il Tribunale di Livorno rimettente ha evidenziato "l’esiguità dell’intervallo tra l’importo minimo e quello massimo dell’indennità risarcitoria" (3 - 6 mensilità), "tale da non consentire di soddisfare i criteri di personalizzazione, adeguatezza e congruità del risarcimento, e di garantirne la funzione deterrente", chiedendo contestualmente che venisse eliminato il significativo contenimento delle conseguenze indennitarie a carico del datore di lavoro di dimensioni "ridotte".
A parer della Corte Costituzionale, l’imposizione di un tetto (6 mensilità) insuperabile anche in presenza di licenziamenti viziati da gravi forme di illegittimità "confligge con i principi costituzionali", dando luogo a una tutela monetaria incompatibile con la necessaria «personalizzazione del danno subito dal lavoratore».
Alla luce di ciò, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015, limitatamente alle parole «e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità».