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9 maggio 20258 minuti di lettura

Labour News - Le novità della settimana

9 May 2025
In evidenza

Corte di Cassazione, 23 aprile 2025, n. 10730 - È dovere del datore di lavoro evitare situazioni stressogene nel contesto lavorativo 

La pronuncia in esame tratta la vicenda di una dipendente che ha presentato ricorso contro il proprio datore di lavoro al fine di chiedere il risarcimento dei danni derivanti da condotte a suo dire riconducibili al mobbing e allo straining; in particolare, la lavoratrice sosteneva che la sindrome ansioso-depressiva di cui era affetta fosse causata da un carico di lavoro eccessivo e in un ambiente lavorativo stressogeno.

Tuttavia, il Tribunale e la Corte di Appello di Ancona rigettavano il ricorso della dipendente, affermando che, perchè si possa concretizzare una condotta mobbizzante, è necessaria la presenza di una molteplicità di “comportamenti con efficacia persecutoria sistematica e prolungata nel tempo”. 

La dipendente, pertanto, affidava alla Corte di Cassazione le proprie censure della pronuncia di merito, la quale, richiamando l’obbligazione di generale di sicurezza ex art. 2087 c.c., accoglieva il ricorso affermando che vi è un generale dovere del datore di lavoro “di evitare situazioni stressogene che diano origine ad una condizione che, per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, possa condurre ad un danno, anche in caso di mancata provadi un preciso intento persecutorio”. Infatti, secondo la Corte di Cassazione, costituisce violazione dell’art. 2087 c.c. - con conseguente risarcibilità del danno – ogni condotta del datore di lavoro che possa indurre disagi nel contesto lavorativo che contribuiscano a minare la personalità e la salute dei lavoratori. 

Corte di Cassazione, 3 aprile 2025, n. 8849 - Nullità assoluta del patto di prova se non è in forma scritta 

La Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d'Appello che aveva ritenuto validamente risolto il rapporto di lavoro di un dipendente in ragione della circostanza per cui la risoluzione fosse avvenuta nel periodo di prova di quindici giorni convenuto tra quest'ultimo e il suo datore di lavoro. 

In particolare, la Corte territoriale alla base della suddetta pronuncia sosteneva la validità del recesso libero durante il periodo di prova, omettendo tuttavia di rilevare l'inesistenza del patto di prova stesso in quanto privo dell'apposita sottoscrizione da parte della società datrice di lavoro. 

In ragione di ciò, la Cassazione nell'ordinanza in esame ha rilevato che in virtù della mancanza della forma scritta, richiesta ad substantiam, non era dunque possibile risolvere il rapporto di lavoro nell'area della libera recedibilità propria del periodo di prova.  

Infatti, la Suprema Corte ha ribadito quanto già affermato da tempo, ossia che la forma scritta necessaria, a norma dell'art. 2096 c.c., per il patto di assunzione in prova è richiesta ad substantiam e che tale requisito di forma, la cui mancanza comporta la nullità assoluta del patto di prova, “deve sussistere sin dall'inizio del rapporto di lavoro, senza alcuna possibilità di equipollenti o sanatorie, potendo ammettersi solo la non contestualità della sottoscrizione di entrambe le parti prima della esecuzione del contratto, ma non anche la successiva documentazione della clausola mediante la sottoscrizione, originariamente mancante, di una delle parti”. 

Da ciò consegue che il patto di prova non era valido - essendo irrilevante la successiva sottoscrizione da parte della società - e che, dunque, il rapporto di lavoro doveva intendersi costituito ab origine come un contratto a tempo indeterminato, con la diretta conseguenza che la risoluzione non è avvenuta nell'area della libera recedibilità.

Salute e sicurezza: nuovo accordo Stato-Regioni 

Il 17 aprile 2025 la Conferenza Stato-Regioni ha raggiunto il nuovo accordo in applicazione del D.l. n. 146/2011, rivedendo le norme sulla formazione e sull’addestramento in materia di sicurezza sul lavoro. 

Fra le principali novità, si segnala: 

  • il datore di lavoro diviene formalmente destinatario di obblighi formativi, al pari di altri soggetti della sicurezza; 
  • l'introduzione di aggiornamenti significativi concernenti la formazione dei preposti e di chi lavora in spazi confinati; 
  • l’eliminazione del termine di 60 giorni dall’assunzione per il completamento dell’attività di formazione, che dovrà dunque avvenire preventivamente o contestualmente all’assunzione o al cambio mansione del lavoratore. 

Le previsioni in commento, in ogni caso, entreranno in vigore entro 12 mesi dalla loro pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ancora non avvenuta. 

Ispettorato Nazionale del Lavoro, nota del 29 aprile 2025 n. 3984: aggiornato il modello di comunicazione per le dimissioni di fatto

L’INL ha diffuso il nuovo modello di comunicazione riguardante l’assenza ingiustificata del lavoratore, ai fini dell'attivazione della procedura di risoluzione del rapporto di lavoro per dimissioni di fatto di cui all’articolo 19 della Legge n. 203/2024. 

Il modello diffuso tiene ora conto delle indicazioni fornite dalla circolare n. 6 del 7 marzo 2025 del Ministero del Lavoro, che aveva chiarito che: 

  • la cessazione del rapporto non è automatica, ma segue a un’iniziativa del datore; 
  • la comunicazione deve essere inviata anche al lavoratore, al fine di garantire l’esercizio del diritto di difesa; 
  • la comunicazione all’ITL costituisce dies a quo per la comunicazione UNILAV di cessazione del rapporto, da effettuarsi entro i cinque giorni successivi.

 

Le altre novità

Sicurezza sul lavoro: nuovi fondi, formazione e più controlli

Il Consiglio dei Ministri ha annunciato nuovi fondi per rafforzare la sicurezza nei luoghi di lavoro e promuovere la cultura della prevenzione, con particolare attenzione alla formazione dei lavoratori e alla sensibilizzazione dei giovani. Il prossimo passaggio sarà condividere queste misure con le parti sociali.  

Il Ministro Calderone ha poi colto l'occasione per presentare i dati INAIL sugli infortuni, compresi quelli degli studenti, e ha fatto il punto sulle azioni avviate: rafforzamento della normativa vigente, crescita nel numero degli ispettori, lotta al lavoro sommerso, introduzione della patente a crediti in edilizia e inserimento della sicurezza sul lavoro nell’educazione civica.

 

Circolari e Prassi

TFR in busta paga: stop alle anticipazioni mensili: arrivano i chiarimenti dell’INL

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha chiarito con la nota n. 616 del 3 aprile 2025 che la prassi di prevedere un’erogazione mensile del TFR in busta paga – al di fuori dai casi previsti dalla legge – è da considerarsi illegittima. Tale prassi, emersa durante alcune ispezioni, era stata prevista solo in via sperimentale dalla Legge n. 190/2014 per il periodo 1° marzo 2015 - 30 giugno 2018. Al di fuori di questo intervallo, il TFR va accantonato e può essere anticipato solo nei casi espressamente contemplati dall’articolo 2120 del Codice Civile.  

La norma prevede infatti che l’anticipazione possa avvenire su richiesta del lavoratore e in presenza di determinati requisiti; eventuali accordi collettivi o individuali possono stabilire condizioni di miglior favore, ma non possono trasformare il TFR in un’erogazione fissa mensile. In tali circostanze, infatti, l’erogazione mensile del TFR si configurerebbe come retribuzione e creerebbe problematiche circa i profili della contribuzione previdenziale. 


Tema della settimana

Invalido il verbale di conciliazione sindacale sottoscritto in azienda

La vicenda in esame trae origine da un verbale di conciliazione avente ad oggetto, tra l'altro, l'accettazione (ovvero la rinuncia all'impugnazione) del licenziamento intimato il giorno precedente la conciliazione.

Sia innanzi al Giudice di prime cure, sia innanzi alla Corte di Appello di Bari, veniva confermata la legittimità del verbale sul presupposto “ritenendo provata l'effettività dell'assistenza prestata dal rappresentante sindacale, e che la sottoscrizione presso la sede della società di per sé non determinasse l'inidoneità dell'assistenza del rappresentante sindacale”.

La pronuncia è stata, quindi, impugnata dal lavoratore dinanzi alla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, che con la sentenza n. 9286 dell'8.4.2025, ha cassato la sentenza della Corte di Appello ritenendo che le modalità di sottoscrizione del verbale di conciliazione non soddisfacevano i requisiti normativamente previsti ai fini della validità delle rinunce e transazioni in base alle disposizioni richiamate, “dato che la protezione del lavoratore non è affidata unicamente all'assistenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene, quali concomitanti accorgimenti necessari al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e l'assenza di condizionamenti”.

In tale contesto, infatti, la Suprema Corte ha precisato che “costituisce principio consolidato in materia quello del decisivo rilievo dell'effettività dell'assistenza sindacale, nel senso che le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l'assistenza prestata dai rappresentanti sindacali sia stata effettiva così da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura”.

In tale contesto, gli ermellini hanno poi chiarito che la sottoscrizione dell'accordo presso la sede di un sindacato “non costituisce un requisito formale, ma funzionale”, in quanto volto ad assicurare che la volontà del lavoratore sia espressa in modo genuino e non coartato, la stipula in una sede diversa non produce di per sé effetto invalidante sulla transazione, se il datore di lavoro prova che il dipendente ha avuto, grazie all'effettiva assistenza sindacale, piena consapevolezza delle dichiarazioni negoziali sottoscritte.

In estrema sintesi, la Suprema Corte, con la sentenza in esame, ha ribadito la centralità sostanziale dell'effettiva assistenza e della piena (intesa come consapevole) e libera (intesa come non condizionata) decisione del lavoratore di addivenire ad una conciliazione in sede protetta e, come tale, inoppugnabile.