
14 luglio 2023 • 20 minuti di lettura
Innovation Law Insights
14 luglio 2023Podcast
L’impatto della nuova class action sull’intelligenza artificiale e sui cyber attacchi
La nuova class action potrebbe diventare uno strumento pericoloso in caso di aziende vittime di cyber attacchi o che utilizzano sistemi di intelligenza artificiale. Matteo Licini e Giulio Coraggio dello studio legale DLA Piper discutono delle novità derivanti dalla nuova azione rappresentativa di classe o class action e come potrebbe essere usata in caso di violazioni derivanti da sistemi di intelligenza artificiale o della normativa privacy conseguenti ad un data breach e/o un cyber attacco. L’episodio del podcast è disponibile qui.
Intellectual Property
Milano è ufficialmente la sede della terza Sezione della Divisione Centrale del TUB
Il Comitato amministrativo del Tribunale Unificato dei Brevetti (TUB), durante una riunione tenutasi in videoconferenza il 26 giugno scorso, ha modificato l'Accordo sul Tribunale Unificato dei Brevetti (UPCA) al fine di allinearlo al diritto dell’Unione europea, approvando la decisione che conferma Milano quale sede della terza Sezione della Divisione Centrale del Tribunale di primo grado.
Sostituendosi a Londra, originariamente prevista dall’Accordo quale sede della terza Sezione, Milano andrà così ad aggiungersi alle altre due Sezioni della Divisione Centrale aventi sede rispettivamente a Parigi e a Monaco, già operative dal 1 giugno 2023.
La decisione del Comitato amministrativo, pubblicata il 29 giugno scorso sul sito dell’UPC, prevede che la sede milanese sarà operativa a partire dal mese di giugno 2024, ossia decorsi i 12 mesi previsti dall’articolo 87, comma 3, dell’Accordo.
Per quanto concerne le competenze, il criterio di riparto è quello previsto dalla Classificazione Internazionale dei Brevetti istituita dall’Accordo di Strasburgo del 1971, che suddivide le invenzioni brevettabili, a seconda del loro oggetto, in otto sezioni (A – H).
Come illustrato nel prospetto sottostante, le competenze attribuite alla sede di Milano riguardano le invenzioni brevettabili di cui alla Sezione A della Classificazione Internazionale dei Brevetti, ossia i “Fabbisogni umani” (“Human necessities”). Tale categoria ricomprende le invenzioni attinenti ai settori agro-alimentare, fitosanitario, della moda (abbigliamento e calzature) e farmaceutico, con l’esclusione dei brevetti con certificati di protezione complementare (SPC), di competenza invece della sede di Parigi.
- Sezione di Milano (ex Londra):
- (A) Fabbisogni umani (senza SPC)
- Sezione di Parigi:
- Ufficio di Presidenza
- (B) Tecniche industriali, trasporti
- (D) Tessile, carta
- (E) Costruzioni fisse
- (G) Fisica
- (H) Elettricità
- SPC
- Sezione di Monaco:
- (C) Chimica, metallurgia, senza SPC
- (F) Ingegneria meccanica, illuminazione, riscaldamento, armi, esplosivi
L’istituzione della terza sede della Divisione Centrale del TUB a Milano rappresenta un importante successo per il Paese e per la città e contribuirà a ridefinirne il baricentro dello sviluppo industriale ed economico.
Su un simile argomento, può essere interessante l’articolo “Brevetti e plausibilità dell’invenzione: pubblicata la decisione dell’Enlarged Board of Appeal dell’EPO”.
Il report dell’EUIPO sui segreti commerciali
L’Ufficio per la proprietà intellettuale europea (EUIPO) ha pubblicato un report sui principali trend registrati nei contenziosi riguardanti la tutela dei segreti commerciali nei diversi Paesi europei.
- Il report
Il 28 giugno scorso, l’EUIPO ha pubblicato un report, redatto dai ricercatori e collaboratori dell’Università di Torino, che offre un'analisi degli aspetti più rilevanti delle controversie aventi ad oggetto i trade secrets (il “Report”). L’art. 18 della Direttiva UE 2016/943 sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (la “Direttiva”) ha previsto che, nell’ambito delle attività dell'Osservatorio europeo sulle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale, l’EUIPO è incaricato di elaborare una relazione preliminare sulle controversie in materia di acquisizione, utilizzo o divulgazione illecita dei segreti commerciali in applicazione della Direttiva.
Il Report analizza le controversie avvenute tra il gennaio 2017 e l'ottobre 2022, fornendo, una panoramica quantitativa e qualitativa dei maggiori trend rilevati.
- Analisi Quantitativa
Dai risultati emersi dall'analisi quantitativa si evidenzia come le controversie sui segreti commerciali differiscono significativamente tra gli Stati Membri dell'Unione europea, sia in termini di volume di contenziosi che di sedi giudiziarie coinvolte. I giudizi tendono a essere fortemente localizzati a livello nazionale, mentre i procedimenti transfrontalieri sono ancora relativamente rari. Inoltre, la maggior parte dei contenziosi coinvolgono soprattutto datori di lavoro ed ex dipendenti, mentre le controversie con soggetti esterni terzi, ad es. partner commerciali, sono meno comuni. Anche la disciplina relativa alla concorrenza sleale continua a essere comunemente invocata nelle azioni in cui viene azionata la tutela dei segreti commerciali.
Per di più, l'analisi rivela che, sebbene gli studi della disciplina tendano a concentrarsi sul ruolo dei segreti commerciali in relazione all'innovazione tecnica, i conteziosi hanno principalmente ad oggetto informazioni commerciali anziché tecniche.
Infine, sebbene il settore manifatturiero sia il più coinvolto nei procedimenti legali riguardanti i trade secrets, è importante notare che vi sono altri diversi settori, quali il commercio all'ingrosso e al dettaglio, in cui la tutela dei trade secrets è particolarmente rilevante. In generale, viene confermata l’importanza che viene attribuita alla protezione dei segreti commerciali, soprattutto quando si tratta di informazioni di natura commerciale.
- Analisi Qualitativa
Rispetto all’analisi qualitativa, il Report offre spunti di riflessione sull'interpretazione della definizione di segreto commerciale, sugli atti di acquisizione indebita e non autorizzata, sulle misure e i provvedimenti concessi sulla base della Direttiva ed infine, sul principio di proporzionalità. In particolare, dall’analisi si notano sviluppi significativi nell'interpretazione del requisito delle misure ragionevoli a cui devono essere sottoposte le informazioni per rientrare nella definizione di segreto commerciale ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 1, della Direttiva. Questi sviluppi suggeriscono che il requisito debba essere flessibile e specifico a seconda del contesto dell’organizzazione a cui appartengono le informazioni, in base al valore del segreto commerciale, nonché alle dimensioni e al settore di attività del suo titolare. In generale, si può dedurre che l'armonizzazione delle normative nazionali sui segreti commerciali sta avvenendo in modo da soddisfare efficacemente le esigenze delle piccole-medio imprese, poiché queste sono per definizione diverse per natura, dimensioni e capacità.
Il Report sottolinea inoltre alcune questioni che richiedono un ulteriore monitoraggio da parte della giurisprudenza, come il ruolo dei segreti commerciali nell'economia dei dati e le metodologie di calcolo degli importi riconosciuti come risarcimento danni. In particolare, quando si discute della relazione tra big data e segreti commerciali, è importante distinguere il concetto di informazione (dati a livello semantico) dai segni in cui questa è codificata (dati a livello sintattico). Ciò è particolarmente rilevante per il mercato delle Internet of Things (IoT), in cui è anche fondamentale la definizione dei requisiti di segretezza e di valore commerciale che devono caratterizzare i trade secrets affinchè la relativa tutela sia riconosciuta ad un insieme di informazioni. Il modo in cui questi requisiti vengono interpretati in relazione alle applicazioni IoT fornirebbe ulteriore chiarezza sul ruolo che la disciplina dei segreti commerciali può avere nell'economia dei dati, creando le certezze necessarie per incoraggiare ulteriormente gli investimenti nella raccolta e commercializzazione di dati su larga scala.
In ogni caso, il Report riconosce che la protezione dei trade secrets è un'area particolarmente complessa e che sarà necessario tempo affinché la giurisprudenza degli Stati Membri si evolva per raggiungere una vera armonizzazione.
- Approfondimento sull’Italia
Il dato più importante che emerge dal Report è il fatto che l'Italia è sede del più alto volume di contenziosi in materia di trade secrets in Europa, quasi il triplo in più rispetto agli altri Stati Membri. In Italia le controversie sui segreti commerciali sono principalmente trattate dalle sezioni specializzate in materia d’impresa dei tribunali, mentre in Europa sono devolute a tribunali con competenze generali. Inoltre, anche il tasso di successo delle azioni in Italia sembra essere sostanzialmente più alto rispetto all'intera Unione europea (41% contro il 27%), mentre la percentuale di giudizi che raggiungono la sede di appello è molto inferiore rispetto a quella europea (11% contro il 46%). Nel nostro paese le azioni in materia di segreti commerciali sono principalmente incentrate sulla tutela di informazioni di natura commerciale e i settori più frequentemente coinvolti sono quello manifatturiero, oltre che a quello finanziario-assicurativo.
In conclusione, il Report rappresenta un'importante fonte di informazioni sia per i legislatori che per coloro che operano in settori in cui i trade secrets sono particolarmente rilevanti, poiché offre una visione delle tendenze riguardanti le controversie sui segreti commerciali nell'Unione europea e fornisce interessanti spunti per affrontare le sfide legate all'armonizzazione della normativa in questo campo.
Su un simile argomento, può essere interessante l’articolo “Informazioni confidenziali: segreti commerciali e concorrenza sleale”.
Technology, Media and Telecommunications
Relazione Annuale dell’AGCom per il 2023 sulle attività svolte in materia di Open Internet
Il 29 giugno scorso l’AGCom ha pubblicato la Relazione annuale sulle attività svolte in materia di Open Internet nel periodo compreso tra il 1° maggio 2022 e il 30 aprile 2023.
La Relazione annuale è adottata in attuazione del Regolamento (UE) 2015/2120 con il quale è stato introdotto nell’ordinamento europeo un insieme di regole in materia di net neutrality e che attribuisce alle autorità nazionali di regolamentazione specifiche competenze in materia di regolamentazione, vigilanza ed enforcement, per assicurare l’effettività, l’efficacia e la corretta applicazione delle norme per la salvaguardia del carattere aperto della rete Internet.
La Relazione contiene una descrizione generale delle attività svolte dall’AGCom per l’implementazione delle misure in materia di Open Internet (tra le quali, la realizzazione di approfondimenti e verifiche tramite l’acquisizione e l’analisi di informazioni provenienti dai principali Internet Service Providers (“ISPs”), l’attività di c.d. moral suasion e la partecipazione ai lavori dei gruppi di esperti del BEREC), in particolare, partecipando, in qualità di drafter, all’attività di revisione delle Linee guida del BEREC in materia di Open Internet. L’Autorità ha inoltre partecipato al processo di revisione del documento “Net Neutrality Regulatory Assessment Methodology”, il cui testo definitivo è stato pubblicato il 15 giugno 2022, una volta recepiti i contributi della consultazione pubblica.
Nella Relazione sono riportati gli esiti delle attività di regolamentazione e vigilanza dell’AGCOM in materia di:
- libertà d’uso di apparecchiature terminali, in riferimento alla quale nella Relazione sono descritti gli interventi dell’AGCom, in particolare in termini di attività di vigilanza e ispettiva, volti a garantire il diritto degli utenti di scegliere il terminale per l’accesso alla rete (come previsto dalla Delibera 348/18/CONS come modificata dalla Delibera 34/20/CONS);
- pratiche commerciali e tecniche relative ai servizi di accesso a Internet, ivi incluse le cd. pratiche di zero-rating. Nella Relazione sono evidenziate le iniziative dell’Autorità in relazione a tali pratiche, in particolare si legge che “ad oggi gli operatori hanno rimosso dal proprio listino le componenti zero rating dalle offerte e la quasi totalità degli utenti di quelle precedentemente presenti sul mercato è stata migrata verso offerte che non presentano profili di zero rating”. Nel periodo di riferimento l’Autorità ha proseguito l’attività di vigilanza in tema di trasparenza relativa alla qualità del servizio di accesso ad Internet e delle informazioni fornite dagli operatori con riferimento ai criteri di qualità del servizio;
- misure di gestione del traffico e fornitura di servizi specializzati. Nella Relazione l’AGCom informa di aver monitorato le pratiche di gestione del traffico mediante l’acquisizione diretta di informazioni dai siti web dei principali ISPs, attraverso l’analisi di segnalazioni provenienti dagli utenti nonché attraverso specifiche richieste di informazioni indirizzate agli ISPs;
- misure di trasparenza, in relazione alle quali l’Autorità evidenzia il suo impegno nel focalizzare la propria attenzione sulla trasparenza e sulla qualità dei servizi di connessione ad Internet.
Inoltre, l’Autorità ricorda che l’articolo 5, co. 1 del Regolamento prevede il potere in capo alle Autorità nazionali di adottare le misure di enforcement attraverso la definizione di requisiti tecnici e altre misure adeguate e necessarie “qualora ciò risulti necessario a promuovere la costante disponibilità dell’accesso non discriminatorio a Internet a livelli qualitativi che siano al passo con il progresso tecnologico”.
Nella Relazione si fa, infine, riferimento ai poteri sanzionatori dell’Autorità (previsti dal Codice delle comunicazioni elettroniche in virtù dell’articolo 6 del Regolamento) in caso di violazioni delle disposizioni del Regolamento rilevanti, sottolineando come, nel periodo in esame, non siano state irrogate sanzioni e che “la moral suasion svolta dall'Autorità, anche a fronte dell'attività di vigilanza condotta ai sensi del Regolamento, è stata sufficiente a risolvere le criticità riscontrate nel periodo di riferimento”.
Su un simile argomento può essere interessante l’articolo “L’AGCom ha pubblicato la Relazione Annuale per il 2022 sulle attività svolte in materia di Open Internet”.
Digital Markets Act: scaduto il termine per la notifica alla Commissione europea
Lo scorso 3 luglio, è scaduto il termine entro il quale le grandi aziende che operano sul mercato europeo dei servizi digitali avrebbero dovuto comunicare alla Commissione europea il proprio status di “gatekeeper” ai sensi del nuovo Regolamento europeo 2019/1937 (meglio noto come Digital Markets Act).
Il Digital Markets Act ha l’obiettivo di assicurare un’effettiva concorrenza all’interno del mercato unico europeo e prevede nuovi stringenti obblighi in capo alle grandi aziende che:
- offrono “servizi di piattaforma di base” ad aziende (definite come “utenti commerciali”) ed utenti finali stabiliti o situati nell’UE;
- rappresentano un punto di accesso importante agli utenti finali da parte degli utenti commerciali (da qui la nozione di “gatekeeper”);
- hanno un impatto significativo sul mercato interno e detengono in tale mercato una posizione consolidata e duratura.
Il Digital Markets Act declina ulteriormente tali requisiti, stabilendo alcune soglie perché se ne possa presumere la sussistenza. Ad esempio, il requisito dell’“impatto significativo” si presume nel caso in cui l’azienda abbia almeno 45milioni di utenti finali europei, attivi su base mensile, e 10mila utenti commerciali attivi su base annua.
Il Regolamento, inoltre, individua puntualmente i servizi da considerare come “servizi di piattaforma di base”, vale a dire:
- servizi di intermediazione online;
- motori di ricerca online;
- social network online;
- piattaforma per la condivisione di video;
- servizi di comunicazione interpersonale indipendenti dal numero (ad esempio, la corrispondenza via email);
- sistemi operativi;
- browser web;
- assistenti virtuali;
- servizi di cloud computing; e
- servizi pubblicitari online erogati dai fornitori dei servizi sopra menzionati.
Le aziende che offrano uno o più dei suddetti servizi avrebbero dovuto notificare alla Commissione europea – entro il 3 luglio scorso – il proprio status di “gatekeeper”, in relazione a ciascuna categoria di servizi per i quali soddisfano i requisiti individuati dal Regolamento.
La Commissione avrà tempo sino al 6 settembre per designare formalmente tali aziende come “gatekeeper”. Da quel momento, decorreranno 6 mesi entro i quali le aziende dovranno adeguarsi ai molti, gravosi obblighi previsti dal Regolamento.
Obblighi che incidono in modo considerevole sulla capacità di tali aziende di stabilire le condizioni contrattuali che regolano i rapporti con i propri utenti commerciali e finali e trattare i dati personali raccolti nell’ambito della fornitura dei servizi, comportando in alcuni casi la necessità di modificare – se non addirittura stravolgere – il proprio modello di business.
Solo per citare alcuni degli obblighi previsti dal Digital Markets Act, i “gatekeeper” non potranno più:
- (i) trattare i dati personali degli utenti finali per la fornitura dei servizi pubblicitari online né (ii) combinare i dati degli utenti finali con quelli raccolti nell’ambito della fornitura di altri servizi, propri o di terzi, senza il consenso al trattamento dei dati da parte degli utenti finali. Consenso che deve essere libero, informato, specifico ed inequivocabile. Le uniche eccezioni a tale principio sono previste nel caso in cui il trattamento dei dati personali – nei termini sopra descritti – sia necessario per adempiere ad obblighi normativi, eseguire compiti di interesse pubblico o salvaguardare gli interessi vitali degli interessati;
- Utilizzare dati non accessibili al pubblico, generati o forniti da utenti commerciali o dai loro clienti nell’utilizzo dei servizi di piattafoirma di base (ad es., dai sui click, sulle visualizzazioni, etc.);
- impedire ai propri utenti commerciali di offrire gli stessi prodotti e servizi tramite piattaforme proprie o di terzi, a condizioni diverse da quelle praticata sulla piattaforma del “gatekeeper”;
- rendere obbligatorio l’utilizzo di un servizio di piattaforma di base per poterne utilizzare un altro;
- posizionare i propri prodotti e servizi in modo più favorevole rispetto a quelli di terzi.
È evidente come questi e molti altri obblighi previsti dal Digital Markets Act incideranno in modo significativo sulla capacità dei “gatekeeper” di fare business in Europa.
Infatti, sembra che proprio gli obblighi del Digital Markets Act abbiano indotto Meta a non lanciare sul mercato europeo il servizio “Threads”, che dovrebbe diventare il principale concorrente di Twitter ed il cui lancio in oltre 100 paesi è stato annunciato lo scorso 5 giugno dall’azienda di Mark Zuckerberg. Meta, negli ultimi tempi destinataria di una serie di provvedimenti sanzionatori concernenti il trattamento dei dati personali dei propri utenti europei, ha spiegato che il lancio nell’UE è per il momento rimandato.
Per comprendere a pieno le conseguenze che i “gatekeeper” dovranno affrontare per poter continuare ad offrire i propri servizi sul mercato europeo dobbiamo attendere che gli obblighi del Regolamento divengano pienamente efficaci. Ad ogni modo, è già evidente che il Digital Markets Act comporterà un cambio di paradigma nell’offerta (per i “gatekeepr”) e fruizione (per gli utenti europei) dei servizi digitali.
Su un simile argomento può essere interessante l’articolo “In vigore il Digital Markets Act con nuovi obblighi per le big del tech”.
Fintech
La Commissione presenta un nuovo pacchetto di norme su open finance e pagamenti digitali
Lo scorso 28 giugno la Commissione Europea ha presentato una serie di proposte legislative volte ad adeguare il settore dei pagamenti e il panorama finanziario all'era digitale.
La prima parte del pacchetto riguarda i pagamenti elettronici, con la revisione della direttiva PSD2 (Direttiva EU 2015/2366, “Payment Services”), che diventerà PSD3, e l’introduzione di un nuovo regolamento sui servizi di pagamento (PSR – “Payment Services Regulation”). L’obiettivo è incrementare la sicurezza di pagamenti e transazioni elettroniche dei consumatori nel mercato europeo, consentendo anche una maggior scelta tra i prestatori di servizi di pagamento.
La seconda parte consiste nell’istituzione di un nuovo regolamento per la condivisione sistematica dei dati dei clienti nel settore finanziario (FIDA – “Financial Data Access Framework”) oltre i conti di pagamento, già oggetto dalla direttiva PSD2. Il nuovo regime mira ad alimentare l’innovazione di prodotti e servizi per gli utenti e stimolare la concorrenza nel settore finanziario.
Con queste proposte la Commissione risponde alla generale tendenza di incremento dei pagamenti elettronici nell’Unione, che hanno raggiunto il valore di 240 trilioni di Euro nel 2021 rispetto ai 184,2 trilioni di Euro del 2017, all’ingresso di nuovi attori sul mercato, all’introduzione e adozione crescente di innovazioni come i pagamenti contactless, i QR code o l’open banking e alla diffusione di frodi sempre più sofisticate, tra cui la manipolazione sociale.
Secondo quanto annunciato dalla Commissione l’aggiornamento della Direttiva PSD3 e il Regolamento PSR riguarderanno da un lato la sicurezza dei consumatori e il contrasto alle frodi e dall’altro misure volte al supporto del fintech.
Sotto il primo profilo sarà previsto, tra l’altro, il diritto per le vittime di frodi di essere rimborsate dalla loro banca o da un altro fornitore di servizi di pagamento in determinate circostanze, il supporto a banche e altri fornitori di servizi di pagamento nel contrasto alle frodi tramite una maggiore condivisione delle informazioni, come anche l’imposizione di obblighi specifici alle banche per aumentare la consapevolezza dei clienti in merito al rischio di frodi.
Quanto al secondo profilo, le proposte contemplano miglioramenti nelle dinamiche di funzionamento dell'open banking per poter offrire servizi di pagamento innovativi in modo più efficiente, condizioni di concorrenza più eque tra le banche e gli oltre mille fornitori di servizi di pagamento non bancari e razionalizzazione delle regole per circa 270 istituti di moneta elettronica e 800 istituti di pagamento, con semplificazione delle procedure amministrative.
Passando al nuovo regime FIDA, secondo la Commissione la condivisione dei dati tra operatori in ambito finanziario è oggi ostacolata da molteplici aspetti, quali la riluttanza dei consumatori a condividere i propri dati in assenza di strumenti di facile utilizzo per la gestione dei consensi al trattamento e misure adeguate per proteggerli dal rischio, la mancanza di un obbligo generale di condivisione per i detentori dei dati (“data holders” nella proposta di Regolamento, ad esempio le banche), la divergenza di interessi tra i detentori dei dati e i loro utilizzatori (“data users”, ad esempio le fintech e insurtech), la mancanza di standardizzazione delle infrastrutture tecniche e i costi elevati.
Il FIDA ha lo scopo di risolvere queste criticità, prevedendo tra le altre cose l’obbligo in capo ai detentori dei dati di metterli a disposizione di clienti e, su loro consenso, degli utilizzatori, in formato standard, per mezzo di trasmissione sicura e in tempo reale. Sempre per i detentori dei dati è previsto l’obbligo di offrire ai clienti una dashboard per monitorare e gestire i consensi forniti agli utilizzatori. Il FIDA prevede, inoltre, l’obbligo per detentori e utilizzatori dei dati di entrare a far parte di uno o più “financial data sharing scheme” assieme a organizzazioni di clienti e associazioni di consumatori, che preveda specifiche regole per i propri membri, quali standard tecnici, un modello per determinare la remunerazione massima spettante ai detentori dei dati per la loro messa a disposizione degli utilizzatori, la responsabilità contrattuale dei propri membri e un sistema di risoluzione delle controversie.
In attesa di prossimi sviluppi nell’iter legislativo, non resta che svolgere una puntuale analisi dei testi delle proposte per poterne considerare tutte le sfaccettature.
Su un simile argomento, potrebbe interessarti: Open Insurance: gli scenari per il 2023 e le principali strategie legali e Linee guida dell’EDPB sul rapporto tra PSD2 e obblighi privacy.
La rubrica Innovation Law Insights è stata redatta dai professionisti dello studio legale DLA Piper con il coordinamento di Arianna Angilletta, Giordana Babini, Carolina Battistella, Carlotta Busani, Giorgia Carneri, Maria Rita Cormaci, Camila Crisci, Cristina Criscuoli, Tamara D’Angeli, Chiara D’Onofrio, Federico Maria Di Vizio, Enila Elezi, Chiara Fiore, Laura Gastaldi, Vincenzo Giuffré, Filippo Grondona, Nicola Landolfi, Giacomo Lusardi, Valentina Mazza, Lara Mastrangelo, Maria Chiara Meneghetti, Deborah Paracchini, Tommaso Ricci, Rebecca Rossi, Massimiliano Tiberio, Alessandra Tozzi, Giulia Zappaterra
Gli articoli in materia di Telecommunications sono a cura di Massimo D’Andrea e Flaminia Perna.
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