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4 aprile 202420 minuti di lettura

Innovation Law Insights

4 aprile 2024
Data Protection & Cybersecurity

La CGUE sul potere di cancellazione d’ufficio dei dati personali oggetto di trattamento illecito

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) si è espressa, in una recente sentenza, causa C-46/23, attribuendo in capo alle Autorità Garanti, il potere di intimare, anche in assenza di richiesta da parte dell’interessato, la cancellazione dei dati oggetto di trattamento illecito.

Vicenda

La vicenda da cui è scaturita la decisione, ha origine nel febbraio del 2020 quando l'amministrazione di Újpest, comune ungherese, ha deliberato l’erogazione un supporto finanziario a beneficio dei "residenti colpiti da una maggiore vulnerabilità a causa della pandemia di COVID-19". A tal fine, aveva indirizzato una richiesta all'Erario e ad un Ufficio governativo distrettuale per ricevere i dati personali indispensabili per il controllo dei requisiti di eleggibilità ai fini dell'accesso all'assistenza.

I dati raccolti includevano, come evidenziato nella sentenza, "dati identificativi essenziali e i numeri di previdenza sociale" dei richiedenti.

La decisione del Garante privacy ungherese

Risultando che: gli interessati non erano stati informati del trattamento entro il termine di un mese, né della finalità, né dei loro diritti in materia di protezione dei dati.

L’Autorità di controllo ungherese, attivata per mezzo di una segnalazione, si è quindi pronunciata constatando la violazione evidente, da parte di tutte le amministrazioni coinvolte, degli articoli 5, 12 e 14 del GDPR e ordinando d’ufficio la cancellazione dei dati delle persone ammissibili all’aiuto che non avevano richiesto l’aiuto medesimo (trattamento illecito).

L'Amministrazione si è opposta mediante un ricorso in sede giurisdizionale, impugnando la determinazione dell’Autorità, evidenziando che la stessa non possedeva l'autorità per imporre l'eliminazione dei dati personali, data l'assenza di una richiesta da parte dell'interessato, conformemente a quanto previsto dall'articolo 17 del GDPR.

La CGUE sulla cancellazione dei dati personali trattati illecitamente

La CGUE affronta due questioni pregiudiziali:

  • In via preliminare, la CGUE, sottolinea l'importanza dei principi di liceità, correttezza e trasparenza nel trattamento dei dati personali, fondamentali per la tutela dell'interessato. Se il trattamento dei dati personali viola questi principi, le Autorità di controllo degli Stati membri hanno il potere di agire di propria iniziativa.
    In sostanza, se un'indagine dell'Autorità nazionale rileva che la protezione dei dati di un individuo non sia adeguata, tale Autorità è obbligata a prendere misure adeguate per correggere questa carenza, indipendentemente dalle sue cause.
    Questo approccio è supportato dall'articolo 58, paragrafo 2, del GDPR e dal Considerando 129, che mirano a garantire che il trattamento dei dati personali sia conforme al regolamento e che eventuali violazioni siano corrette per allinearsi alle normative dell'Unione Europea, attraverso l'azione delle Autorità di controllo nazionali.
  • Con riferimento invece alla raccolta dei dati, la CGUE conferma che la possibilità (a volte necessità) per l’Autorità di controllo di ordinare d’ufficio la cancellazione dei dati trattati illecitamente, riguarda tanto i dati raccolti presso l’interessato, quanto quelli provenienti da altra fonte.

Conclusioni

Dalla pronuncia e dalle argomentazioni della CGUE, quindi, risulta confermata, ancora una volta, la rilevanza dell'approccio sostanziale al Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), rispetto a quello meramente formale. Nel caso in esame, emerge chiaramente come la negazione del potere di ordinare la cancellazione d’ufficio, in assenza della richiesta da parte dell'interessato, si traduca effettivamente in un proseguimento del trattamento illecito di dati personali.

Su un argomento simile può essere di interesse il seguente articolo: “Garante emette una sanzione per trattamento illecito di dati sanitari”.

 

Intellectual Property

Francia: nuova tassa sul fast fashion per ridurre l'impatto ambientale

Il 14 marzo 2024, l'assemblea nazionale francese ha approvato una proposta di legge che prevede l'introduzione in Francia di una tassa per i venditori di prodotti di fast fashion all'interno del paese, allo scopo di disincentivare la vendita e l’acquisto di abbigliamento a basso costo, ma con un alto impatto sull’ambiente e sulle condizioni di vita dei lavoratori.

L'abbigliamento è diventato negli anni più accessibile grazie alla rapida produzione e distribuzione dei capi a prezzi sempre più bassi. Tuttavia, questa economia del fast fashion ha un costo significativo per il pianeta. L'industria della moda, apprezzata per la sua creatività e innovazione, è infatti tristemente nota per il grave impatto che ha sull'ambiente, rappresentando, infatti, una delle industrie più inquinanti, arrivando a produrre quasi un quarto delle emissioni globali di CO2.

Con questa nuova avanguardista proposta legislativa, la Francia si fa pioniere nell'adozione di misure legislative volte a mitigare l'impatto ambientale derivante dal diffuso mercato dei capi di abbigliamento di fast fashion, frutto di una produzione a basso costo, spesso remota e delocalizzata, e notoriamente caratterizzati da un'elevata impronta ecologica.

La proposta di legge n. 2129 è stata presentata a fine febbraio dalla parlamentare Anne-Cécile Violland, del partito di centro destra Horizons et apparentés (Orizzonti e prospettive), e ha ricevuto il sostegno del governo. Ora, dopo l’approvazione dell’Assemblea ottenuta il 14 marzo, la proposta dovrà passare in Senato.

Il 14 marzo, come comunicato dal ministro della Transizione Ecologica, Christophe Bechu, la Francia ha avanzato questa storica proposta di legge che, tra le principali misure, prevede il divieto di pubblicità per i tessuti economici e l'introduzione di una tassa ambientale da applicare sui prodotti del fast fashion, rappresentando così un importante passo verso un settore tessile più sostenibile. Questa iniziativa, la prima di questo genere nel mondo, evidenzia l'impegno della Francia nel promuovere un cambiamento significativo nel settore della moda e incoraggiare altri paesi a seguire il suo esempio.

Il settore della moda francese, così come accade nella maggior parte dei paesi, è stato ormai invaso da prodotti importati a basso costo. Tuttavia, la principale preoccupazione rimane l'impatto ambientale, con l'industria tessile identificata come una delle più inquinanti, contribuendo significativamente alle emissioni di gas serra e allo sfruttamento delle risorse idriche.

Al fine di contrastare questa tendenza, la Francia si appresta a introdurre misure che obbligheranno i produttori di fast fashion a fornire informazioni sui conseguenti impatti ambientali e a imporre un sovrapprezzo legato all'impronta ecologica dei loro prodotti, sulla scorta del modello di tassa già applicata in Francia per le automobili ritenute maggiormente inquinanti. Tale tassa per i venditori di fast fashion, che sarà progressivamente aumentata nel tempo (potendo arrivare entro al 2030 fino a 10 Euro per singolo capo di abbigliamento) sarà destinata a sostenere i produttori di abbigliamento sostenibile, al fine di promuovere una competizione più equa e responsabile nel settore.

Più precisamente, il disegno di legge è composto da tre articoli:

  • Ai sensi dell'Articolo 1, i produttori, i distributori e gli importatori dei prodotti di fast fashion saranno tenuti ad includere sulle loro piattaforme di ecommerce, accanto al prezzo, messaggi che incoraggiano il riutilizzo e la riparazione di questi prodotti e sensibilizzano sul loro impatto ambientale. Queste informazioni dovranno apparire su tutte le pagine internet dove i prodotti di fast fashion possono essere acquistati.
  • Con l'Articolo 2 del disegno di legge, viene introdotta la tassa, basata sul principio di responsabilità estesa del produttore (EPR) – allo scopo di incoraggiare le aziende a progettare prodotti più riciclabili e a seguire processi di fabbricazione più sostenibili – prevedendo che il produttore è responsabile di tutto il ciclo di vita del prodotto, dalle materie prime usate sino al momento del suo smaltimento. L'Articolo 2 della proposta, infatti, stabilisce che la tassa imposte su abbigliamento e accessori dipende anche dall’impatto ambientale di tale prodotto, dalle emissioni di carbonio della loro produzione e dal fatto che siano o meno qualificabili come fast fashion.
  • Infine, l'Articolo 3 introduce il divieto di pubblicizzare e incoraggiare la commercializzazione e l'acquisto di prodotti di fast fashion.

Il disegno di legge menziona Shein, il famoso colosso cinese noto per i suoi vestiti e accessori a basso (o meglio, bassissimo) costo, i cui prodotti – qualora il Senato dovesse approvare la proposta – verrebbero indubbiamente tassati. Nel testo della proposta si legge, infatti, che Shein produce in media più di 7.200 nuovi modelli di abbigliamento al giorno e offre ai consumatori oltre 470.000 prodotti diversi, rappresentando un'offerta che è circa 900 volte superiore a quella di un rivenditore tradizionale francese.

La proposta di legge chiarisce, inoltre, che i proventi derivanti da questa tassa e dalle sanzioni saranno destinati alla gestione dei rifiuti tessili (ovvero alla loro raccolta, smaltimento e trattamento), nonché al finanziamento di incentivi per le aziende che adottano pratiche circolari nella produzione di abbigliamento, al sostegno della ricerca e dello sviluppo nel settore fashion, all'aumento del bonus di riparazione (ovvero la possibilità di ottenere un rimborso ogni volta che un indumento viene riparato in una sartoria o calzoleria anziché essere gettato via), e alla promozione di campagne pubbliche sull'impatto ambientale e sulla prevenzione dei rifiuti nel settore della moda.

Su un argomento simile può essere di interesse l’articolo “La responsabilità estesa del produttore (EPR) nella filiera del tessile: quando la moda diventa eco-sostenibile”.

Nuovo regolamento sulle Indicazioni geografiche dell'UE di vini, bevande spiritose e prodotti agricoli e regimi di qualità dei prodotti agricoli

Le indicazioni geografiche, che rappresentano un patrimonio economico, sociale e politico europeo di inestimabile valore, con un'economia che supera gli 80 miliardi di euro a livello europeo, a partire dai primi di aprile saranno regolati da un nuovo regolamento europeo che ne rafforza la tutela ed il ruolo dei Consorzi.

L'accordo raggiunto tra i rappresentanti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione europea rappresenta un passo significativo per l'evoluzione del sistema delle Indicazioni Geografiche (IG) nell'Unione Europea. Approvato dall'Eurocamera il 28 febbraio e in vigore dai primi giorni di aprile, questo accordo, che si compone di 85 considerando e 95 articoli, conferma l'obiettivo di potenziare un sistema di IG senza precedenti nel mondo, capace di generare valore senza richiedere investimenti di fondi pubblici.

Una delle novità più rilevanti introdotte da questo accordo è la creazione di un testo unico europeo sulle produzioni di qualità, mirato a garantire maggiore allineamento e chiarezza tra tutti i settori, inclusa la vitivinicoltura. Allo stesso tempo, alcune norme specifiche per questo settore, come l'etichettatura e il sistema di controlli, verranno mantenute nel regolamento dell'Organizzazione comune di mercato (OCM) della Politica Agricola Comune (PAC), preservandone la specificità.

Il processo negoziale, avviato nel giugno dello scorso anno sotto la presidenza svedese e concluso durante quella spagnola, ha identificato quattro pilastri fondamentali:

  1. rafforzamento del ruolo dei consorzi, considerati il motore di sviluppo delle IG, che rimarranno nelle mani dei produttori e degli operatori lungo la filiera produttiva, con maggiore responsabilità nella lotta alle pratiche svalorizzanti e nella promozione del turismo legato alle IG. I consorzi di tutela vedranno un aumento del loro potere decisionale e della capacità di pianificazione. Il loro mandato verrà esteso da 3 a 6 anni. I consorzi avranno una maggiore responsabilità nella lotta alle pratiche svalorizzanti. Questo significa che lavoreranno attivamente per prevenire la contraffazione, l’evocazione e l’uso improprio delle IG. Il regolamento riconosce poi il legame tra turismo e prodotti a Indicazione Geografica. I consorzi avranno un ruolo importante nella promozione del turismo legato alle IG, contribuendo a far conoscere le tradizioni, la cultura e la storia delle aree geografiche coinvolte;
  2. maggiore protezione delle IG, sia online che nel sistema dei domini, con l'introduzione di un sistema di geo-blocking per bloccare l'accesso a contenuti che evocano le IG e con l'obbligo per i trasformatori di indicare in etichetta la percentuale di prodotto IG nei prodotti trasformati. Il sistema di geo-blocking impedirà l’accesso a siti web e contenuti che evocano illegittimamente un’IG. Gli Stati membri saranno obbligati a bloccare automaticamente i contenuti illeciti grazie a un alert system sviluppato da EUIPO. I trasformatori dovranno indicare in etichetta la percentuale di prodotto a Indicazione Geografica nei prodotti trasformati. Questo contribuirà a garantire la trasparenza e l’informazione corretta per i consumatori;
  3. semplificazione e chiarimento del ruolo dell'Ufficio dell'Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), con tempi certi per l'esame delle richieste di registrazione delle IG e una gestione più efficiente delle modifiche ai disciplinari delle IG. Il regolamento stabilisce tempi certi per l’esame delle richieste di registrazione e modifica dei disciplinari delle IG. Questi tempi sono ridotti a 6 mesi, con la possibilità di estenderli di ulteriori 5 mesi solo nel caso in cui la richiesta sia incompleta e necessiti di ulteriori informazioni. L’EUIPO avrà un ruolo più attivo nella gestione delle modifiche ai disciplinari delle IG. Ciò contribuirà a garantire una gestione più efficiente e tempestiva delle richieste di modifica, consentendo una maggiore flessibilità e adattabilità alle esigenze dei produttori e delle aree geografiche coinvolte;
  4. sostenibilità, benessere animale e trasparenza verso i consumatori, con l'introduzione della richiesta di elaborazione di un rapporto di sostenibilità da parte dei consorzi e dell'obbligo di indicare il nome del produttore sull'etichetta dei prodotti IG. I consorzi avranno la possibilità di pubblicare volontariamente un rapporto di sostenibilità. Questo rapporto spiegherà ciò che svolgono in termini di sostenibilità ambientale: Come contribuiscono alla tutela dell’ambiente, alla sostenibilità economica, alla sostenibilità sociale e al rispetto del benessere animale.

Questo nuovo regolamento mira a garantire un reddito adeguato ai produttori di qualità, contribuendo così agli obiettivi dello sviluppo rurale. Inoltre, eliminando falle nel sistema che consentivano lo sfruttamento indebito delle IG da parte di alcuni Stati membri o produttori, si mira a proteggere e valorizzare al meglio il patrimonio delle IG europee.

In conclusione, questo nuovo regolamento offre gli strumenti necessari per promuovere la competitività, la sostenibilità e l'integrazione delle filiere produttive di qualità, a vantaggio delle aree rurali europee.

Su un argomento simile può essere d’interesse l’articolo “Protezione uniforme europea a prodotti artigianali e industriali – le nuove indicazioni geografiche”.

La CGUE sul rifiuto della rivendicazione della priorità fondata su una domanda di brevetto anteriore presentata a norma del TCB

Con la sentenza emessa il 27 febbraio scorso (C-382/21 P) la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE) ha chiarito che solo due categorie di domande anteriori – una domanda di registrazione di un disegno o modello e una domanda di registrazione di un modello di utilità – possono fondare un diritto di priorità a beneficio di una domanda di registrazione di un disegno o modello comunitario posteriore, e ciò unicamente entro un termine di sei mesi a decorrere dalla data di deposito della domanda anteriore considerata, ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 1, del regolamento n. 6/2002 sui disegni e modelli comunitari (C-382/21 P, paragrafo 76).

La CGUE ha precisato, altresì, che una domanda internazionale depositata a norma del TCB può fondare un diritto di priorità solo nella misura in cui la domanda internazionale in questione abbia ad oggetto un modello di utilità.

Infatti, in un’interpretazione congiunta delle sezioni A e C dell’articolo 4 della Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale, la CGUE ha sottolineato che la domanda successiva deve avere lo “stesso oggetto” della domanda precedente, che costituisce la base del diritto di priorità. Inoltre, l’articolo 4, sezione E, della Convenzione di Parigi riconosce che un oggetto può a volte godere di più di una forma di protezione, permettendo così di rivendicare un diritto di priorità per una forma di protezione diversa da quella precedentemente richiesta. Tuttavia, questa disposizione elenca esaurientemente le circostanze in cui ciò può accadere.

In particolare, questa disposizione stabilisce, al suo primo paragrafo, che una domanda di modello di utilità può dar luogo a un diritto di priorità per una domanda di disegno o modello, entro il termine stabilito per i disegni o modelli, cioè sei mesi. Al suo secondo paragrafo, prevede che una domanda di brevetto può dar luogo a un diritto di priorità per una domanda di modello di utilità e viceversa.

La CGUE conclude, quindi, che l’articolo 4 della Convenzione di Parigi non permette di rivendicare la priorità di una domanda di brevetto precedente al momento del deposito di una domanda di disegno o modello successiva. Di conseguenza, tale articolo non stabilisce regole relative al termine concesso al depositante a tal fine. Pertanto, solo una domanda internazionale depositata secondo il TCB riguardante un modello di utilità può dar luogo a un diritto di priorità per una domanda di disegno o modello in virtù di tale articolo 4, e ciò entro il termine di sei mesi.

Ultimo punto da evidenziare è che la CGUE ha chiarito che il diritto di priorità per il deposito di una domanda di disegno o modello comunitario è regolato dall’articolo 41 del regolamento n. 6/2002, norma esaustiva, mentre gli operatori economici non possono fare riferimento direttamente all’articolo 4 della Convenzione di Parigi.

Su un simile argomento potrebbe interessarvi l’articolo: “Deposito di un disegno o modello e caricamento delle prospettive: i consigli dell’EUIPO

 

Technology Media and Telecommunication

Approvato dal Consiglio dei Ministri il decreto di modifica del Codice delle comunicazioni elettroniche

Come si apprende dal comunicato stampa pubblicato dal Governo il 21 marzo scorso, il Consiglio dei Ministri ha approvato il testo di decreto legislativo recante disposizioni correttive al Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al d.lgs. 259/2003, come modificato dal d.lgs. 207/2021 di attuazione della Direttiva (UE) 2018/1972 che istituisce il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche.

Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa allo schema del decreto legislativo sottoposto al parere parlamentare, il testo normativo risponde all’esigenza di correggere e aggiornare il Codice delle comunicazioni elettroniche. L’aggiornamento si inserisce nel contesto delle misure di semplificazione – sostenute anche dal PNRR – per l’innovazione delle infrastrutture digitali e nella loro relativa diffusione sul territorio italiano.

Le novità introdotte nel Codice delle comunicazioni elettroniche dal decreto riguardano:

  • nuove definizioni, quali quelle di “access point”, “call center”, “impianto di comunicazione elettronica”, “Media access control address”, “radio digitale”, “servizio di comunicazione interpersonale che fa uso indiretto della numerazione” e “Service set identifier” (art. 2 del Codice);
  • previsioni in materia di mappatura di infrastrutture a banda larga. Tra le novità principali, si osserva (i) la riduzione da tre ad un anno del periodo entro cui il Ministero delle imprese e del made in Italy e l’AGCom sono chiamati ad aggiornare i dati relativi alla mappatura geografica della copertura delle reti di comunicazione elettronica in grado di fornire connettività a banda larga; (ii) l’introduzione della previsione secondo cui la mappatura debba censire non solo la copertura geografica, ma anche il “grado di utilizzo della rete” e (iii) l’aumento da 100 a 300 Mbps della soglia a partire dalla quale una rete di comunicazione viene considerata rilevante ai fini della sua inclusione all’interno della mappatura da parte del Ministero (art. 22 del Codice);
  • previsioni finalizzate a semplificare l’attività per la realizzazione di infrastrutture di rete di comunicazioni elettroniche; viene ad esempio previsto che le istanze di autorizzazione per l’installazione di infrastrutture sono presentate all’ente locale tramite portale telematico e, in assenza di quest’ultimo, mediante posta elettronica certificata (art. 44 del Codice);
  • l’introduzione della possibilità, per l’AGCom, di imporre agli operatori di comunicazione elettronica il blocco di comunicazioni provenienti dall’estero nel caso in cui queste avvengano con determinate modalità, ad esempio utilizzando una numerazione nazionale per identificarne l’origine (art. 98 decies del Codice);
  • previsioni in materia di identificazione degli acquirenti di SIM – il d.lgs. specifica che il Ministero delle imprese e del made in Italy e l’AGCom, ognuno per le parti di propria competenza, assicurano che i clienti siano identificati prima dell’attivazione, anche di singole componenti, dei servizi, al momento della consegna o messa a disposizione della scheda elettronica di telefonia mobile (S.I.M.) o della fornitura del profilo nel caso di eSIM digitale (art. 98 undetricies del Codice).

Su un simile argomento può essere interessante l’articolo “Il nuovo Codice delle Comunicazioni Elettroniche introduce notevoli modifiche al settore”.


La rubrica Innovation Law Insights è stata redatta dai professionisti dello studio legale DLA Piper con il coordinamento di Arianna Angilletta, Matteo Antonelli, Edoardo Bardelli, Carolina Battistella, Carlotta Busani, Giorgia Carneri, Maria Rita Cormaci, Camila Crisci, Cristina Criscuoli, Tamara D’Angeli, Chiara D’Onofrio, Federico Maria Di Vizio, Enila Elezi, Alessandra Faranda, Nadia FeolaLaura Gastaldi, Vincenzo GiuffréNicola Landolfi, Giacomo Lusardi, Valentina Mazza, Lara Mastrangelo, Maria Chiara Meneghetti, Deborah Paracchini, Maria Vittoria Pessina, Tommaso Ricci, Miriam Romeo, Rebecca Rossi, Roxana Smeria, Massimiliano TiberioGiulia Zappaterra.

Gli articoli in materia di Telecommunications sono a cura di Massimo D’Andrea, Flaminia Perna e Matilde Losa.

Per maggiori informazioni sugli argomenti trattati, è possibile contattare i soci responsabili delle questioni Giulio Coraggio, Marco de Morpurgo, Gualtiero Dragotti, Alessandro Ferrari, Roberto Valenti, Elena Varese, Alessandro Boso Caretta, Ginevra Righini.

Scoprite Prisca AI Compliance, il tool di legal tech sviluppato da DLA Piper per valutare la maturità dei sistemi di intelligenza artificiale rispetto alle principali normative e standard tecnici qui.

È possibile sapere di più su Transfer, il tool di legal tech realizzato da DLA Piper per supportare le aziende nella valutazione dei trasferimenti dei dati fuori dello SEE (TIA) qui e consultare una pubblicazione di DLA Piper che illustra la normativa sul Gambling qui, nonché un report che analizza le principali questioni legali derivanti dal metaverso qui, e una guida comparativa delle norme in materia di loot boxes qui.

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Qualora non si volesse più ricevere gli Innovation Law Insights o ci si volesse iscrivere alla stessa, è possibile inviare un'email a Silvia Molignani.