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30 aprile 202520 minuti di lettura

Innovation Law Insights

30 aprile 2025
Artificial Intelligence

Clausole tipo per l'AI procurement: come le clausole UE aggiornate aiutano a gestire il rischio compliance

L’UE ha aggiornato aggiorna le Model Contractual Clauses for AI Procurement (MCC-AI) per aiutare le imprese che operano nel campo dell'intelligenza artificiale a conformarsi alle previsioni dell'AI Act.

Con l’entrata in vigore del Regolamento Europeo 2024/1689 (AI Act) il 1 agosto 2024, la Commissione Europea ha pubblicato una versione aggiornata delle Model Contractual Clauses for AI Procurement (MCC-AI). Queste clausole, inizialmente introdotte nel settembre 2023, rappresentano uno strumento pratico e adattabile, pensato per aiutare gli enti pubblici — ma anche gli operatori privati — ad affrontare con maggiore sicurezza le sfide normative connesse alla fornitura e acquisizione di sistemi di intelligenza artificiale.

A cosa servono le MCC-AI?

Le MCC-AI sono state redatte per coloro che intendono acquistare sistemi di IA. Sebbene siano destinate primariamente agli acquirenti di IA del settore pubblico, come verrà illustrato di seguito, anche i clienti del settore privato potrebbero trovarle utili. Sono state concepite per facilitare l'allineamento ai principali requisiti normativi previsti dall'AI Act, in particolare in settori quali la trasparenza, la gestione del rischio, la responsabilità e la governance dei dati.

L’adozione di queste clausole consente di:

  • ridurre le incertezze legali,
  • dimostrare prontezza a livello di compliance, e
  • snellire potenzialmente le negoziazioni contrattuali.

Due versioni per diversi livelli di rischio

Il nuovo pacchetto MCC-AI comprende:

  • una versione completa destinata ai sistemi di IA classificati come ad alto rischio ai sensi dell'Act (es. i sistemi di IA destinati a essere utilizzati per il riconoscimento delle emozioni, per l'assunzione o la selezione di persone fisiche, oppure per il credit scoring);
  • una versione “light” per i sistemi non ad alto rischio, ma che comunque prevede tutele su elementi essenziali come la documentazione tecnica e la trasparenza algoritmica.

Inoltre, il pacchetto include un commentario esplicativo, che aiuta a comprendere come personalizzare e integrare le clausole nei contratti esistenti.

Uno strumento utile anche per i privati

Sebbene pensate inizialmente per la pubblica amministrazione, le MCC-AI possono essere adottate anche da organizzazioni e imprese private, con i dovuti adattamenti. Le imprese che forniscono o acquisiscono sistemi di IA possono includere queste clausole nei propri contratti per allinearsi con le best practice normative europee.

Ciò è particolarmente utile in un contesto ancora in evoluzione, dove le norme sull’IA sono in via di definizione e consolidamento e in alcuni ambiti si sta lavorando per ottenere una maggiore armonizzazione

Soprattutto a livello di imprese private, le MCC-AI non sono uno strumento statico, da incorporare nei contratti così come sono, ma vanno contestualizzate e adattate alla specifica fornitura e al settore economico di riferimento.

Struttura e contenuti delle MCC-AI

Le MCC-AI non costituiscono un contratto a sé stante, ma sono progettate per essere incluse in contratti di servizi esistenti. Integrano esclusivamente le disposizioni pertinenti all’AI Act e non trattano aspetti generali come proprietà intellettuale, termini di pagamento, legge applicabile o responsabilità contrattuale nell'accezione tradizionale, aspetti che andranno parimenti disciplinati con attenzione dalle imprese interessate.

In particolare, le clausole si articolano attorno a cinque aree tematiche:

  • Conformità dei sistemi di IA: vengono individuati i requisiti che le soluzioni devono rispettare in termini di standard giuridici ed etici.
  • Ruolo e responsabilità del fornitore: sono definite le aspettative relative a trasparenza, gestione del rischio e obblighi di conformità.
  • Governance dei dati: si stabiliscono criteri per l’identificazione della titolarità, l’utilizzo e il controllo dei dataset impiegati.
  • Verificabilità e tracciabilità: si prevedono strumenti di audit, documentazione e monitoraggio delle performance del sistema.
  • Ripartizione degli oneri: si chiariscono gli aspetti economici legati all’implementazione e agli adeguamenti necessari.

A supporto dell’adozione pratica, le MCC-AI includono allegati tecnici che offrono esempi e modelli per descrivere casi d’uso, definire assetti di governance dei dati e formalizzare le misure di conformità adottate.

Perché adottarle?

Per gli acquirenti di sistemi di IA, queste clausole offrono una rete di sicurezza giuridica ed etica, soprattutto nei casi in cui si vada a incidere su diritti fondamentali o sulla sicurezza dei cittadini.

Inoltre, l’integrazione e l'adattamento delle MCC-AI in contratti già in vigore ha lo scopo di consentire una gestione coerente e armonizzata delle diverse forniture, semplificando le procedure e prevenendo potenziali controversie.

Pertanto, pur non essendo legalmente vincolanti, le MCC-AI rappresentano un valido supporto operativo per approcciare il tema della disciplina contrattuale della fornitura e acquisizione di sistemi di IA.

La difficoltà nell'adozione delle MCC-AI risiede nel fatto che relativamente pochi acquisti di sistemi di IA avvengono in circostanze in cui l'equilibrio del potere negoziale è a favore dell'acquirente. In un mondo di abbonamenti IA con grandi fornitori e di crescente adozione di sistemi di IA open source/open-weights soggette a licenze standard di breve durata, sarà interessante vedere se i termini aggiornati delle MCC-AI guadagneranno terreno.

Per approfondire ulteriormente le tematiche legate all'AI Act si rimanda al seguente articolo: Terza bozza del Codice di condotta per l'AI per finalità generali

Autore: Giacomo Lusardi

GPAI: La Commissione Europea avvia la consultazione su regole, obblighi e prassi operative

La Commissione Europea ha pubblicato un comunicato stampa invitando tutti gli attori del settore a partecipare attivamente alla stesura delle Linee Guida per l’applicazione delle disposizioni dell'AI Act, rispondendo al sondaggio entro il 22 maggio 2025.

Con l’avvio di una consultazione pubblica mirata, la Commissione cerca di raccogliere contributi di stampo pratico da parte di fornitori di GPAI (General-Purpose AI), sviluppatori di modelli e sistemi a valle, ricercatori, autorità pubbliche e altri professionisti del settore per l'elaborazione delle Linee Guida a supporto dell'applicazione del Regolamento (UE) 2024/1689 (AI Act).

Perché questa consultazione è cruciale?

I GPAI pongono una sfida regolatoria senza precedenti. Questi modelli, altamente versatili, sono capaci di eseguire una vasta gamma di compiti e possono essere integrati in molteplici sistemi a valle. Le zone d'ombra che emergono da un punto di vista pratico sono numerose e di difficile inquadramento giuridico, soprattutto trattandosi di una disciplina nuova e in costante evoluzione.

Considerando che le norme dell'AI Act relative ai GPAI diventeranno applicabili a partire dal 2 agosto 2025, l’obiettivo della Commissione è fornire chiarimenti su una serie di questioni cruciali, tra cui:

  • definizione di "GPAI": comprendere cosa rientra in questa categoria.
  • responsabilità del “fornitore”: definire chi è responsabile in scenari complessi con contributi stratificati;
  • definizione di “immissione sul mercato”: chiarire quando un modello può essere considerato immesso sul mercato;
  • stima della potenza computazionale: determinare come calcolare la potenza utilizzata nell'addestramento dei modelli;
  • esenzioni per modelli open-source: stabilire i casi in cui si applicano le esenzioni;
  • Codice di buone pratiche: delineare cosa comporta l’adesione al codice.

Il ruolo dell'Ufficio europeo per l'IA

Le Linee Guida saranno sviluppate dall’Ufficio europeo per l'IA, con il supporto scientifico del Joint Research Centre. Pur non essendo vincolanti, queste Linee Guida fungeranno da riferimento ufficiale per l'interpretazione e l'enforcement dell'AI Act, aiutando a orientare gli operatori del settore verso il rispetto degli obblighi previsti dagli articoli 52-55 del Regolamento.

Il codice di buone pratiche: vantaggi per i fornitori

Un altro aspetto fondamentale della consultazione riguarda il Codice di buone pratiche sull'IA, attualmente in fase di finalizzazione. LA Commissione afferma che l'adesione a questo Codice porterà numerosi vantaggi per i fornitori, tra cui:

  • maggiore fiducia: i non firmatari potranno dimostrare la conformità con l'AI Act con altri mezzi, eventualmente con spiegazioni aggiuntive;
  • conformità normativa: il Codice fornirà un quadro di riferimento per garantire la conformità con l'AI Act;
  • best practices riconosciute: adozione di prassi operative che saranno considerate best practice a livello europeo e internazionale.

Il Codice di buone pratiche sarà allineato con l'AI Act e comprenderà disposizioni sulla documentazione necessaria, gestione del diritto d'autore e misure specifiche per i modelli che presentino un rischio sistemico (articoli 53 e 55 dell’AI Act).

Cosa devono sapere i professionisti e le imprese?

Per le organizzazioni che sviluppano, modificano o integrano modelli GPAI, questa consultazione offre l’opportunità di esercitare un'influenza diretta sulla normativa e la possibilità di ottenere chiarimenti sulla propria corretta qualificazione e i relativi obblighi ai sensi dell'AI Act.

Si ricorda che la consultazione si concluderà il 22 maggio 2025, mentre le Linee Guida e il Codice di buone pratiche saranno pubblicati tra maggio e giugno 2025.

Conclusione

Questa iniziativa rappresenta un passo cruciale verso una regolamentazione dell’intelligenza artificiale che coinvolge fin da subito i soggetti destinatari degli obblighi. Non si tratta solo di raccogliere pareri, ma di un’opportunità per costruire un futuro normativo che bilanci innovazione e responsabilità. Partecipare oggi alla consultazione significa non solo contribuire alla definizione delle regole, ma diventare protagonisti del futuro dell'IA in Europa, basato su chiarezza giuridica, collaborazione e fiducia reciproca.

Su un argomento simile può essere d'interesse l'articolo "Terza bozza del Codice di condotta per l’AI per finalità generali: aggiornamenti chiave e implicazioni per gli stakeholder dell’AI generativa"

Autrice: Dorina Simaku

 

Data Protection

Il DPO non può essere il rappresentante legale della società in Italia

Con una decisione significativa, l'Autorità Garante per la protezione dei dati personali (il Garante) ha affrontato una questione critica relativa ai ruoli del responsabile della protezione dei dati (DPO) e del rappresentante legale all'interno delle organizzazioni che operano in Italia.

Il Garante ha concluso che la nomina della stessa persona sia come DPO che, come rappresentante legale di una società, costituisce un conflitto di interessi, in violazione del Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR).

Comprendere i ruoli: DPO vs. rappresentante legale

Ai sensi del GDPR, il DPO è responsabile della supervisione delle strategie di protezione dei dati e della garanzia della conformità alle leggi in materia di protezione dei dati. È fondamentale che il DPO operi in modo indipendente, senza ricevere istruzioni relative all'esercizio delle sue funzioni, e che riferisca direttamente al massimo livello dirigenziale.

Al contrario, un rappresentante legale ai sensi della legge italiana è una persona fisica con poteri di rappresentanza di una società, come un amministratore della società che ricopre tipicamente una posizione di autorità all'interno dell'organizzazione e prende decisioni in merito alle finalità e ai mezzi del trattamento dei dati. Secondo il Garante, questo doppio ruolo compromette intrinsecamente l'indipendenza richiesta al DPO, in quanto la persona non può monitorare obiettivamente il rispetto delle leggi sulla protezione dei dati se è anche responsabile della determinazione delle attività di trattamento dei dati.

L'indagine del Garante ha inoltre rivelato che una società aveva nominato il proprio rappresentante legale come DPO senza darne comunicazione all'autorità, come previsto dall'articolo 37, paragrafo 7, del GDPR e richiesto anche se il DPO era stato notificato ad altre autorità di protezione dei dati dell'UE. Tale nomina violava diverse disposizioni del GDPR:

  • Articolo 37, comma 6: Il DPO non deve ricoprire una posizione che comporti un conflitto di interessi.
  • Articolo 38: il DPO deve svolgere le proprie funzioni in modo indipendente.
  • Articolo 39: i compiti del DPO comprendono il controllo della conformità, che è compromesso se questi è anche il rappresentante legale.

Di conseguenza, il Garante ha inflitto all'azienda una sanzione di 70.000 euro per tali violazioni.

Implicazioni per le organizzazioni che operano in Italia

Questa decisione costituisce un monito fondamentale per le organizzazioni che operano in Italia affinché valutino attentamente la nomina dei propri DPO. Garantire che il DPO operi in modo indipendente e senza conflitti di interesse non è solo un requisito normativo, ma anche un elemento fondamentale per un'efficace governance della protezione dei dati.

Le organizzazioni devono evitare di assegnare il ruolo di DPO a persone che hanno potere decisionale sulle attività di trattamento dei dati, come i rappresentanti legali o altri dirigenti di alto livello. Dovrebbero invece nominare persone in grado di supervisionare in modo obiettivo la conformità alla protezione dei dati senza influenze indebite.

La decisione del Garante sottolinea l'importanza di mantenere chiari confini tra i ruoli all'interno di un'organizzazione per garantire l'integrità delle pratiche di protezione dei dati. Assicurando che il DPO operi in modo indipendente e libero da conflitti di interesse, le organizzazioni possono proteggere meglio i dati personali e rispettare gli stringenti requisiti previsti dal GDPR.

 

Intellectual Property

Mancato uso del marchio: i principi fissati dall'EUIPO

Il 21 gennaio 2025, la Divisione di Annullamento dell’EUIPO si è pronunciata su una domanda di decadenza per non uso riguardante un marchio dell’Unione Europea registrato nella classe dei profumi e cosmetici. Il richiedente sosteneva che il marchio non fosse stato utilizzato per un periodo prolungato, e che dunque fosse decaduto. In risposta, il titolare del marchio aveva presentato una serie di documenti nel tentativo di giustificare il mancato uso nel periodo quinquennale rilevante e di dimostrare l’intenzione di riprendere la commercializzazione.

Tuttavia, parte della documentazione fornita si riferiva a periodi precedenti al quinquennio di riferimento, mentre altre prove riguardavano attività preparatorie come scambi di corrispondenza con potenziali distributori, business plan, immagini promozionali sui social media e richieste di preventivi per il packaging e le etichette. Tra le giustificazioni addotte per il mancato uso del marchio, il titolare menzionava: il passaggio di titolarità del marchio a seguito di una cessione, gli effetti della pandemia da COVID-19 e una sentenza francese che aveva inibito al precedente titolare l’uso del marchio per contraffazione.

Tuttavia, il richiedente la nullità replicava contestando la rilevanza delle attività preparatorie poste in essere dal titolare del marchio, ritenendole inidonee a raggiungere il pubblico. Inoltre, negava che gli eventi richiamati potessero costituire ragioni legittime per il mancato uso. Ha inoltre portato a supporto dati di mercato che mostravano un aumento delle vendite di profumi durante la pandemia, in particolare tramite e-commerce, suggerendo che il titolare avrebbe potuto sfruttare questo canale per commercializzare i propri prodotti. Quanto all’inibitoria, invece, evidenziava che essa era limitata al solo territorio francese, copriva solo una parte del quinquennio in esame e non impediva interamente l’utilizzo del marchio contestato.

La Divisione di Annullamento ha accolto la domanda di decadenza, basandosi sui criteri consolidati dalla giurisprudenza europea in materia di uso del marchio, in particolare per quanto riguarda il tempo, il luogo, il modo e l’estensione dell’uso, valutando inoltre le ragioni legittime addotte per giustificare il mancato impiego.

Con riferimento al criterio temporale, l’EUIPO ha escluso la rilevanza delle fatture presentate, in quanto datate al di fuori del quinquennio rilevante. La giurisprudenza prevede che documenti anteriori possano talvolta essere rilevanti, ma solo se accompagnati da ulteriori prove relative al periodo di riferimento.

Anche la documentazione relativa agli atti preparatori è stata ritenuta inadeguata a dimostrare un uso effettivo del marchio sul mercato, sebbene temporalmente collocata nel periodo pertinente. Secondo l’interpretazione costante della Corte di Giustizia, infatti, gli atti preparatori possono assumere rilevanza solo se dimostrano che i prodotti sono prossimi all’immissione sul mercato. Restano invece irrilevanti gli atti che si configurano come uso meramente interno e non percepibile sul mercato. Nel caso concreto, la documentazione fornita quale prova degli atti preparatori (ovvero, le richieste di preventivi, la corrispondenza con potenziali distributori, il business plan), è stata giudicata insufficiente a fornire prova dell’uso del marchio sul mercato, sebbene collocata all’interno del periodo rilevante. 

Per quanto riguarda l’estensione dell’uso, la Divisione di Annullamento ha ricordato che l’uso genuino del marchio non implica necessariamente un impiego quantitativamente rilevante, potendo anche un utilizzo limitato risultare sufficiente. Tuttavia, nel caso di specie, le prove fornite sono state ritenute insufficienti e inidonee a dimostrare un’effettiva presenza del marchio sul mercato di riferimento. In particolare, il business plan è stato considerato come un documento meramente interno, privo di riscontri concreti (come invece possono essere le richieste di finanziamento a istituti finanziari). Allo stesso modo, le richieste di preventivo, non seguite da risposte o sviluppi, sono state qualificate al più come prove di un uso interno del marchio, non percepibile dall’esterno. Anche le trattative con potenziali distributori, non avendo condotto alla conclusione di contratti effettivi, non sono state ritenute prova di una reale commercializzazione. Infine, anche le sporadiche apparizioni del marchio sui social media, benché collocabili nel periodo rilevante, sono state ritenute irrilevanti in quanto non venivano forniti dati sufficienti circa il pubblico effettivamente raggiunto. Sul punto le linee guida dell’EUIPO sono chiare: “la semplice presenza di un marchio su un sito web di per sé non è sufficiente a dimostrare un uso effettivo, a meno che il sito web non mostri anche il luogo, il periodo di tempo e l’estensione dell’uso o a meno che tali informazioni non siano fornite diversamente”. La Divisione ha dunque confermato un’applicazione rigorosa del criterio dell’uso quantitativamente minimo ma effettivo del marchio, chiarendo la necessità di una presenza concreta e percepibile sul mercato.

Quanto all'analisi delle presunte ragioni legittime per il mancato uso, la Divisione di Annullamento ha argomentato come segue:

  • si è escluso che, nel caso specifico, la pandemia da COVID-19 potesse costituire una valida giustificazione per l’interruzione dell’uso del marchio. Il titolare si era limitato a richiamare la pandemia in modo generico, senza fornire prove concrete del suo impatto sull’attività o sull’impossibilità di commercializzare i prodotti. Inoltre, non aveva contestato i dati prodotti dalla controparte circa l’aumento delle vendite online nel settore durante la pandemia. Pur ammettendo che la pandemia possa, in astratto, configurare una ragione legittima, l’EUIPO ha ribadito che essa deve essere comprovata da elementi specifici e direttamente connessi all’impossibilità di utilizzare il marchio, escludendone quindi l’invocazione come giustificazione generica;
  • quanto all’inibitoria giudiziaria francese, l’EUIPO ha riconosciuto che un provvedimento giudiziario può costituire un impedimento oggettivo all’uso del marchio, ma ha escluso che ciò valesse nel caso specifico. L’inibitoria era infatti circoscritta al territorio francese, non copriva l’intero periodo rilevante e si era conclusa con il trasferimento del marchio all’attuale titolare. Inoltre, tale ostacolo era stato determinato dallo stesso titolare attuale, che aveva originariamente promosso il giudizio da cui era scaturita la sentenza. Per tali motivi, l’Ufficio ha ritenuto che tale circostanza non potesse giustificare l’assenza di un uso continuativo del marchio.

In conclusione, la Divisione di Annullamento dell’EUIPO ha ritenuto che, sebbene fossero stati allegati alcuni possibili impedimenti all’uso del marchio, essi non coprissero l’intero periodo di riferimento e non fossero supportati da elementi concreti e sufficienti. Pertanto, in assenza sia di prove concrete circa l'uso effettivo del marchio nel quinquennio rilevante sia di giustificati motivi oggettivi e indipendenti dalla volontà del titolare, l’Ufficio ha disposto la revoca della registrazione del marchio europeo.

Su un argomento simile può essere d'interesse l'articolo "Il TUE si pronuncia sulla decadenza di un marchio tridimensionale per mancato uso"

Autrice: Carolina Battistella

EUIPO e il valore prove basate su collegamenti ipertestuali e URLs

La Quinta Commissione di ricorso dell'Ufficio dell'Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) ha recentemente emesso una decisione significativa nel caso R 1470/2024-5, respingendo l'opposizione presentata da FAEG S.r.l. contro la registrazione del marchio "FAEG" da parte di A2Z World S.r.l.

Contesto

Il caso ha avuto origine quando A2Z World S.r.l. ha richiesto la registrazione del marchio denominativo "FAEG" per una vasta gamma di prodotti elettrici. FAEG S.r.l., opponente nel procedimento, ha contestato questa registrazione, sostenendo di utilizzare il marchio "FAEG" dal 1965 e di aver acquisito una notorietà significativa in vari paesi europei, inclusa l'Italia.

Decisione della Divisione di Opposizione

La Divisione di Opposizione dell'EUIPO ha inizialmente respinto l'opposizione di FAEG S.r.l., affermando che l'opponente non aveva fornito prove sufficienti per dimostrare i diritti sui segni invocati conformemente alla legislazione nazionale. In particolare, la Divisione ha rilevato che le prove presentate non dimostravano una notorietà non puramente locale del marchio "FAEG".

Ricorso e Valutazione della Commissione di Ricorso

FAEG S.r.l. ha poi presentato ricorso, insieme a ulteriori prove, quali documenti di trasporto, fatture, corrispondenza e foto di fiere. Ciò che interessa in questa sede è l'esito della verifica delle prove da parte della Commissione di Ricorso.

In particolare, la Commissione ha concluso che le prove erano insufficienti per dimostrare una notorietà non puramente locale del marchio "FAEG" in Italia. La Commissione ha rilevato che molte delle prove si riferivano a transazioni estere o a eventi fuori dal territorio italiano. Inoltre, le poche prove relative all'uso del marchio in Italia erano geograficamente confinate alla provincia di Bergamo, dove ha sede l'opponente, e non dimostravano una conoscenza diffusa del marchio tra il pubblico rilevante.

Anche dopo aver considerato le prove tardive dell'opponente, la Commissione ha confermato le conclusioni della Divisione di Opposizione secondo cui l'opposizione è infondata ai sensi dell'articolo 8(4) EUTMR. Le prove dell'opponente, che riguardano solo il territorio italiano, consistono in fatture che mostrano transazioni internazionali, bilanci finanziari, fotografie senza chiari riferimenti a luogo e data, prova dell'acquisizione del nome di dominio costituito dal segno contestato e un elenco di collegamenti ipertestuali.

Prove basate su collegamenti ipertestuali e URLs

Un punto cruciale della decisione riguarda l'uso di collegamenti ipertestuali e URLs come prove. FAEG S.r.l. ha presentato una lista di 39 collegamenti ipertestuali e URLs per dimostrare la presenza del marchio "FAEG" nel mercato. Tuttavia, la Commissione ha stabilito che semplici riferimenti a siti web, anche se corroborati da collegamenti ipertestuali diretti, non costituiscono prove valide. La natura di dette prove rende difficile accertare il contenuto e la data di pubblicazione delle pagine web, poiché queste possono essere modificate o disattivate nel tempo.

La Commissione ha sottolineato che l'onere della prova spetta all'opponente e non all'Ufficio. Pertanto, l'Ufficio non è tenuto a esaminare i collegamenti ipertestuali e URLs indicati dalle parti. I collegamenti ipertestuali devono essere integrati da prove aggiuntive, come stampe o schermate delle informazioni pertinenti contenute. La mancanza di tali prove ha portato la Commissione a concludere che l'elenco di collegamenti ipertestuali e URLs depositato da FAEG S.r.l. non fornisce informazioni utili sull'uso dei marchi anteriori. Con riferimento all'estensione territoriale, la Commissione ha confermato la notorietà puramente locale, avendo presentato la ricorrente prove per l'uso nella sola città di Bergamo. Per le ragioni anticipate, il ricorso non è stato accolto.

Su un argomento simile può essere d'interesse l'articolo "Deposito di un disegno o modello e caricamento delle prospettive: i consigli dell’EUIPO"

Autrice: Tamara D’Angeli


La rubrica Innovation Law Insights è stata redatta dai professionisti dello studio legale DLA Piper con il coordinamento di Edoardo BardelliCarolina BattistellaCarlotta Busani, Noemi CanovaGabriele CattaneoMaria Rita CormaciCamila CrisciCristina CriscuoliTamara D’AngeliChiara D’OnofrioFederico Maria Di VizioNadia FeolaLaura GastaldiVincenzo GiuffréNicola LandolfiGiacomo LusardiValentina MazzaLara MastrangeloMaria Chiara MeneghettiDeborah ParacchiniMaria Vittoria PessinaTommaso RicciRebecca RossiDorina.SimakuRoxana SmeriaMassimiliano TiberioFederico Toscani, Giulia Zappaterra.

Gli articoli in materia di Telecommunications sono a cura di Massimo D’Andrea, Flaminia Perna, Matilde Losa e Arianna Porretti.

Per maggiori informazioni sugli argomenti trattati, è possibile contattare i soci responsabili delle questioni Giulio Coraggio, Marco de Morpurgo, Gualtiero Dragotti, Alessandro Ferrari, Roberto Valenti, Elena VareseAlessandro Boso Caretta, Ginevra Righini.

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