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13 marzo 202326 minuti di lettura

Innovation Law Insights 14 marzo 2023

Podcast

Con il mondo accademico su intelligenza artificiale generativa e il diritto del futuro

In questo episodio di Diritto al Digitale, Giulio Coraggio, Elena Varese e Tommaso Ricci dello studio legale DLA Piper hanno discusso con Claudia Sandei, Associate Professor di commerciale delle nuove tecnologie della Università di Padova, Giovanni Ziccardi, Professore di Informatica Giuridica all’Università degli Studi di Milano, e Filiberto Brozzetti, Assistant Professor di AI, Law and Ethics all'Università LUISS di Roma dell'intelligenza artificiale, delle nuove sfide legali che questa pone e se sia giusto regolare l'AI. L’episodio del podcast è disponibile qui.

 

Intelligenza Artificiale

Il Parlamento europeo amplia la definizione di intelligenza artificiale ai sensi dell'AI Act

Il Parlamento europeo ha approvato una nuova e più ampia definizione di intelligenza artificiale nell'ambito dell'AI Act, mentre anche i politici statunitensi spingono per l'introduzione di una normativa.

  • Una definizione di intelligenza artificiale che include l'IA generativa nell'ambito dell'AI Act comunitario

Nella corsa alla regolamentazione del mercato in rapida evoluzione dell'intelligenza artificiale (IA), l'Unione europea (UE) sta compiendo notevoli passi per creare una disciplina che bilanci innovazione e protezione. In un precedente articolo abbiamo parlato dell'approvazione da parte del Consiglio dell'UE di una proposta di legge sull'IA. Ora la proposta è nelle mani del Parlamento europeo e le autorità europee stanno spingendo per definire più chiaramente l'IA.

Ma è più facile a dirsi che a farsi, poiché uno dei maggiori ostacoli alla regolamentazione dell'IA è la mancanza di una definizione standard. Creare un quadro normativo coeso è quasi impossibile senza una comprensione condivisa di cosa sia l'IA e di cosa possa fare. Per questo motivo i politici dell'UE stanno lavorando per trovare una nuova definizione che possa fornire chiarezza e coerenza.

La nuova definizione di intelligenza artificiale descriverebbe l'IA come

un sistema di machine learning progettato per operare con vari livelli di autonomia che può, per obiettivi espliciti o impliciti, generare risultati come previsioni, raccomandazioni o decisioni che influenzano ambienti fisici o virtuali.

La formulazione è stata ampliata per eliminare qualsiasi riferimento ai sistemi di "machine learning" e include una previsione per garantire che la nuova definizione comprenda i modelli di IA generativa come ChatGPT.

Ma la definizione di IA è solo la punta dell'iceberg. Le autorità dell'UE devono anche concordare varie misure per garantire che l'IA sia sviluppata e utilizzata in modo etico e responsabile. L'AI Act comprende proposte per la valutazione obbligatoria dei rischi per i sistemi di IA ad alto rischio e per la creazione di un sistema di certificazione che garantisca la conformità alle normative dell'UE. Il regolamento prevede inoltre la creazione di un Consiglio europeo per l'IA, con il compito di supervisionare lo sviluppo e l'impiego dei sistemi di IA nell'UE, garantendo che essi rispettino gli standard etici e i diritti umani e siano privi di pregiudizi.

La necessità di un'azione rapida sta diventando sempre più urgente con l'accelerazione del mercato dell'IA dovuta a innovazioni come ChatGPT. Con una posta in gioco così alta, i legislatori dell'UE stanno lavorando instancabilmente per bilanciare i potenziali benefici dell'IA e i rischi che essa comporta per la privacy, la sicurezza e i diritti umani. In ultima analisi, gli sforzi dell'UE per regolamentare l'IA avranno un impatto di vasta portata, modellando il modo in cui questa potente tecnologia viene sviluppata e utilizzata in tutto il mondo.

  • I politici statunitensi fanno eco all'appello per una regolamentazione dell'intelligenza artificiale

La Commissione sull'intelligenza artificiale della Camera di commercio degli Stati Uniti per la competitività, l'inclusione e l'innovazione ha appena pubblicato un report sull'intelligenza artificiale. Questo report è una chiamata all'azione, che sollecita un quadro normativo basato sul rischio per l'impiego responsabile ed etico dell'intelligenza artificiale.

Secondo la Presidente e CEO della Camera Suzanne P. Clark, "l'Intelligenza Artificiale è una tecnologia di trasformazione che promette di aumentare le opportunità economiche e i redditi, di accelerare i progressi nei risultati sanitari e nella qualità della vita e di inaugurare una nuova era di innovazione tecnologica che darà vita a imprese, industrie e posti di lavoro non ancora immaginati". La Commissione ha lavorato per oltre un anno allo sviluppo di raccomandazioni politiche e best practice del settore, fornendo ai politici e ai leader aziendali una tabella di marcia per massimizzare i benefici e mitigare i rischi.

  • Le normative sull'IA stanno andando nella giusta direzione?

Considerato lo scenario attuale, sembra che le normative sull'intelligenza artificiale saranno adottate molto presto. L'ostacolo principale è se saranno in grado di regolare il rapido ritmo dell'innovazione intorno all'IA. Il ChatGPT 4.0 dovrebbe essere lanciato a breve e sarà probabilmente una nuova rivoluzione. In questa fase, ogni disciplina rischia di essere obsoleta non appena entra in vigore, e questo scenario potrebbe ritardare l'innovazione.

Su un tema simile, potrebbe essere interessante il seguente articolo "Come sfruttare il potenziale dell’intelligenza artificiale (AI) generativa gestendo le problematiche legali".

 

Gaming & Gambling

Un tribunale austriaco qualifica le loot boxes come gioco d'azzardo, portando a un potenziale far west

Una recente decisione di un tribunale austriaco sulla qualificazione delle loot boxes come gioco d'azzardo potrebbe portare a pericolose conseguenze per il settore dei videogiochi.

A partire dalle prime sentenze della Corte suprema sul gioco d'azzardo e sul monopolio austriaco prevalente nel 2016, i tribunali austriaci sono stati sommersi da cause intentate da giocatori che volevano recuperare le loro perdite di gioco da operatori di gioco d'azzardo stranieri (non in possesso di una licenza nazionale). Questo porta anche altri querelanti e tribunali a valutare - oltre al recupero delle perdite del gioco d'azzardo nei casinò - la recuperabilità delle puntate nelle cosiddette loot box dei videogiochi.

In tutta Europa sono stati sollevati dubbi sul fatto che le loot boxes debbano essere classificate come giochi d'azzardo. La conferma di ciò comporterebbe presumibilmente l'applicabilità delle normative nazionali sul gioco d'azzardo nella maggior parte delle giurisdizioni. Le loot boxes hanno innegabilmente un elemento aleatorio, in quanto producono oggetti randomizzati di cui non si conosce il contenuto. L'algoritmo del videogioco decide casualmente quale "classe di qualità" di beni virtuali (beni virtuali comuni o rari) il giocatore riceverà dal loot boxes. Di conseguenza, ad esempio, le autorità olandesi e belghe (a seconda del progetto specifico) hanno classificato le loot boxes come giochi d'azzardo. Sono quindi soggette alle rispettive normative sul gioco d'azzardo.

Nel frattempo, un tribunale distrettuale austriaco si è pronunciato in prima istanza a favore di un giocatore che voleva reclamare le sue giocate sulle loot boxes contestandone la qualifica come gioco d'azzardo. Il tribunale ha ritenuto che i pacchetti di loot boxes FIFA Ultimate Team (FUT) siano una forma di gioco d'azzardo. In assenza di una licenza nazionale per il gioco d'azzardo, la Corte ha dichiarato nulli i contratti stipulati tra il giocatore e publisher per l'acquisto di punti FIFA per ottenere i pacchetti FUT. Pertanto, il publisher dovrà restituire il denaro ricevuto dal giocatore. Tuttavia, la sentenza non è ancora definitiva, poiché il publisher può ancora ricorrere in appello.

I videogiochi online di per sé non sono generalmente soggetti alle disposizioni in materia di monopolio e licenze previste dalla legge austriaca sul gioco d'azzardo, che hanno lo scopo di proteggere i giocatori e prevenire la dipendenza dal gioco. Tuttavia, come ha stabilito la Corte distrettuale austriaca, le loot boxes possono essere considerate giochi d'azzardo ai sensi dell'ampia definizione di gioco d'azzardo contenuta nella legge austriaca sul gioco d'azzardo.

Sebbene sia chiaro che il risultato dei pacchetti FUT acquistati con denaro reale sia determinato principalmente dal caso, è lecito chiedersi se vi sia una "perdita" totale della posta in gioco, considerando che il giocatore riceve determinati beni virtuali per la posta in gioco. Tuttavia, secondo la giurisprudenza dell'Alta Corte austriaca, è sufficiente che il valore delle vincite sia inferiore all'importo investito, il che indicherebbe nuovamente una classificazione come gioco d'azzardo.

Anche se le loot boxes sarebbero classificate come un gioco d'azzardo in Austria, la sezione 4, paragrafo 1, della legge austriaca sul gioco d'azzardo prevede un'eccezione per i giochi d'azzardo a scopo di divertimento e per puntate di modesta entità (fino a 10 euro secondo la giurisprudenza austriaca). In questo caso, non sarebbe necessaria alcuna licenza per offrire le loot box in Austria.

In caso di classificazione come gioco d'azzardo, ciò avrebbe conseguenze di vasta portata, in quanto non solo i contratti sarebbero nulli. Le puntate dovrebbero essere rimborsate, ma i fornitori in Austria sarebbero anche soggetti all'imposta sul gioco d'azzardo (online) pari al 40% dei ricavi lordi del gioco d'azzardo (GGR - puntate meno vincite).

Le incertezze legali che circondano la classificazione delle loot boxes come giochi d'azzardo sottolineano la necessità di una regolamentazione, non da ultimo a causa delle disposizioni penali della legge austriaca sul gioco d'azzardo per l'offerta di giochi d'azzardo senza una licenza nazionale.

Su un tema simile, è interessante il seguente articolo "AGCM definisce nuovi standard di trasparenza per i videogiochi contenenti loot boxes".

 

Intellectual Property

La decisione sul puzzle dell'Uomo Vitruviano: (purtroppo) niente di nuovo sul fronte della riproduzione dei beni culturali

Con l'ordinanza del 23 novembre 2022, il Tribunale di Venezia ha disposto l'inibitoria nei confronti delle divisioni italiana e tedesche della società di giocattoli e giochi da tavolo Ravensubrger per l'utilizzo a fini di lucro dell'immagine dell'opera "Uomo vitruviano" su alcuni dei propri puzzle, ritenendo tale condotta in violazione delle previsioni normative sulla riproduzione dei beni culturali.

Il procedimento è stato instaurato nel 2021 dal Ministero della Cultura (MiC)  e dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia (Gallerie), che lamentavano il pregiudizio grave e irreparabile determinato dall'illecito utilizzo e riproduzione su alcuni puzzle – pertanto, a fini commerciali – dell'immagine dell'opera "Uomo vitruviano" di Leonardo da Vinci, ricompresa tra i beni culturali custoditi ed esposti alle Gallerie, da parte delle società tedesche Ravensburger AG., Raversburger Verlag GmBH e della filiale italiana Ravensburger S.r.l., le quali producevano e distribuivano i puzzle recanti l’immagine dell’opera in assenza di alcuna autorizzazione e senza corrispondere alle Gallerie il canone annuale e le royalties previsti dal "Regolamento per la riproduzione dei beni culturali in consegna alle Gallerie dell'Accademia di Venezia" (Regolamento) elaborato in conformità agli artt. 107-109 del Codice dei Beni Culturali.

Avverso l'ordinanza del primo grado cautelare con cui il Tribunale di Venezia dichiarava la propria incompetenza territoriale a favore del Tribunale di Milano, il MiC e le Gallerie hanno proposto reclamo sostenendo che quale giudice competente ai sensi dell'art. 20 c.p.c. doveva essere individuato il Tribunale di Venezia e, nel merito, insistevano nell'accoglimento delle cautele richieste in primo grado per l'illecito perpetrato ex art. 108 del Codice dei Beni Culturali.

Con l'ordinanza del 23 novembre 2022, il Tribunale di Venezia ha accolto il reclamo presentato dal MiC e dalle Gallerie per i seguenti motivi.

Sulla competenza territoriale

Il Collegio ha ritenuto sussistere la propria competenza territoriale ex art. 20 c.p.c. poiché la condotta illecita si risolverebbe nell'appropriazione indebita da parte delle società Ravensburger dell'immagine e del nome dell'opera "Uomo vitruviano" su alcuni puzzle, in violazione dell'art. 108 del Codice dei Beni Culturali. Pertanto, ai fini dell'individuazione del locus commissi delicti ex art. 20 c.p.c. "non risultano determinanti i luoghi di svolgimento delle attività di commercializzazione, distribuzione e promozione dei prodotti (i noti puzzle) raffiguranti l’immagine e il nome de l’“Uomo Vitruviano” in quanto mere modalità di esecuzione dell’illecito già perfezionatosi integralmente in un momento antecedente".

Dunque, secondo il Tribunale, non può considerarsi quale forum commissi delicti la sede legale della sola filiale italiana della Ravensburger in quanto mero luogo dell'asserita distribuzione dei prodotti oggetto di causa, dovendo invece considerare, ai fini dell'individuazione del tribunale competente, "il luogo di concretizzazione ed effettiva verificazione del danno risarcibile ovvero il luogo dove si sarebbe realizzato lo svilimento o l'annacquamento dell'immagine e del nome dell'opera".

Pertanto, il Collegio ha concluso ritenendo che, poiché l'"Uomo vitruviano" è custodito a Venezia presso le Gallerie, è Venezia il luogo in cui il danno riconducibile alla condotta delle reclamate si è verificato.

Sul merito

Innanzitutto, il Tribunale ha rilevato l'applicabilità della legge italiana in materia di beni culturali quale lex fori rispetto a tutte le parti del procedimento in forza dei seguenti principi di diritto internazionale privato:

  • qualificazione del Codice dei Beni Culturali quale norma di applicazione necessaria ai sensi dell'art. 17 della L. 218/1995 e dell'art. 16 del Regolamento 864/2007 – in considerazione del loro oggetto o del loro scopo, le norme di applicazione necessarie sono ritenute irrinunciabili per l’ordinamento interno e, pertanto, si applicano necessariamente, sia rispetto a fattispecie di carattere interno sia per quelle aventi carattere transnazionale. In particolare, il Collegio, d'accordo con le reclamanti, ha sostenuto che il Codice dei Beni Culturali rappresenti "un unicum a livello europeo" poiché con la sua adozione il legislatore avrebbe inteso tutelare un interesse ritenuto essenziale per lo Stato italiano;
  • ai sensi dell'art. 4, comma 1, del Regolamento 864/2007, "la legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali che derivano da un fatto illecito è quella del paese in cui il danno si verifica, indipendentemente dal paese nel quale è avvenuto il fatto che ha dato origine al danno e a prescindere dal paese o dai paesi in cui si verificano le conseguenze indirette di tale fatto". Il Collegio ha quindi concluso ritenendo applicabile la legge italiana poiché in Italia, e più precisamente a Venezia, si sono verificate le immediate conseguenze pregiudizievoli della lesione nei confronti delle parti danneggiate.

In merito alla condotta contestata, le reclamanti lamentavano l'illecito utilizzo e riproduzione sui puzzle dell'immagine dell'"Uomo vitruviano" e del suo nome, tutelato quale bene culturale sostenendo che ai sensi degli artt. 6, 7 e 10 del c.c., del Regolamento e del Codice dei Beni Culturali, l'amministrazione avente in custodia il bene culturale ha il potere di autorizzare/concedere la riproduzione dell'immagine del bene e di determinare i canoni di concessione e i corrispettivi della riproduzione, tenendo conto anche dei criteri elencati all'art. 108 del Codice.

In particolare, il Collegio ha ritenuto che la condotta delle reclamate costituisse un illecito determinante un danno risarcibile ex artt. 2043 e 2059 c.c., "laddove il danno è costituito, in primo luogo, dallo svilimento dell’immagine e della denominazione del bene culturale (perché riprodotti e usati senza autorizzazione e controllo rispetto alla destinazione) e, in secondo luogo, dalla perdita economica patita dall’Istituto museale (per il mancato pagamento del canone di concessione e dei corrispettivi di riproduzione)".

Rispetto a questo ultimo punto, il Tribunale ha affermato che "ancorché il bene culturale, di per sé considerato – secondo la più autorevole dottrina – come entità immateriale distinta dal supporto materiale cui inerisce e costituente un valore identitario collettivo destinato alla fruizione pubblica, costituisca un bene giuridico meritevole di tutela rafforzata (anche a livello costituzionale) secondo l’ordinamento, tuttavia lo stesso non possiede evidentemente un’autonoma soggettività cosicché si verifica una scissione tra l’oggetto di tutela rispetto alla lesione dell’immagine (i.e. il bene culturale) e il soggetto deputato, quale titolare del potere concessorio/autorizzatorio rispetto alla sua destinazione, ad agire per la sua tutela e a ricevere l’eventuale risarcimento del conseguente danno non patrimoniale (i.e. l’Amministrazione consegnataria del bene)".

Infine, il Tribunale ha ritenuto sussistere un irreparabile e imminente danno non patrimoniale costituito dallo svilimento dell'immagine e del nome del bene culturale riprodotto determinato dall'utilizzo incontrollato e indiscriminato a fini di lucro della riproduzione dell'immagine dell'"Uomo vitruviano" da parte delle società reclamate, senza il necessario e preventivo vaglio da parte delle Gallerie "circa l'appropriatezza della destinazione d'uso e delle modalità di utilizzo del bene in rapporto al suo valore culturale".

Pertanto, il Tribunale ha inibito alle divisioni italiana e tedesche della società Ravensburger di utilizzare a fini commerciali l'immagine dell'"Uomo vitruviano" e della sua denominazione, su qualsiasi prodotto e in qualsiasi mezzo di comunicazione, online e offline. Inoltre, a supporto dell'inibitoria emessa, il Collegio ha previsto una penale di 1.500 Euro a favore del MiC e delle Gallerie per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione dell'ordinanza, e ha ordinato la pubblicazione dell'ordinanza su due quotidiani a diffusione nazionale e due a diffusione locale.

Si tratta della prima decisione che affronta espressamente la questione dell'applicabilità della normativa sulla riproduzione del patrimonio culturale prevista dal Codice dei Beni Culturali ad attività svolte al di fuori dell'Italia. Questo è evidentemente l'unico elemento di "novità" rispetto alle altre – numerose – decisioni in materia.

Infatti, la decisione sul puzzle dell'"Uomo vitruviano – che poteva essere un’occasione per fornire una diversa interpretazione del Codice dei Beni Culturali – non stupisce affatto e, anzi, conferma un orientamento ormai (purtroppo) consolidato nel panorama italiano. La giurisprudenza nazionale in materia è infatti tristemente nota per la sua costanza nell'inibire qualsiasi forma di riproduzione del patrimonio culturale italiano per fini commerciali ove manchi l'autorizzazione dell'ente avente il bene in consegna. Tra le numerose decisioni, la maggior parte hanno visto protagonista il David di Michelangelo, altre, invece, hanno riguardato il Teatro Massimo di Palermo e, più di recente, la Venere di Botticelli.

Purtroppo, l'attuale linea giurisprudenziale sulla riproduzione di beni culturali non cambierà rotta sino a che il legislatore non interverrà direttamente sul Codice dei Beni Culturali. Infatti, l'obsoleto quadro normativo italiano in materia di riproduzione dei beni culturali e delle opere protette dal diritto d'autore è rimasto invariato anche dopo l'entrata in vigore della Direttiva (UE) 2019/790 sul diritto d'autore e i diritti connessi nel mercato unico digitale, che all'art. 14 prevede "Gli Stati membri provvedono a che, alla scadenza della durata di protezione di un'opera delle arte visive, il materiale derivante da un atto di riproduzione di tale opera non sia soggetto al diritto d'autore o a diritti connessi, a meno che il materiale risultante da tale atto di riproduzione sia originale nel senso che costituisce una creazione intellettuale propria dell'autore".

Nonostante il chiaro intento del legislatore europeo di promuovere il libero accesso all'uso dei dati in generale, nel recepire la Direttiva (UE) 2019/790 il legislatore italiano ha introdotto l'art. 32-quater nella legge sul diritto d'autore. Il nuovo art. 32-quater prevede che "Alla scadenza della durata di protezione di un'opera delle arti visive, anche come individuate all'articolo 2, il materiale derivante da un atto di riproduzione di tale opera non è soggetto al diritto d'autore o a diritti connessi, salvo che costituisca un'opera originale. Restano ferme le disposizioni in materia di riproduzione dei beni culturali di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (ovvero, il Codice dei Beni Culturali)". Pertanto, le disposizioni relative alla riproduzione dei beni culturali contenute nel Codice dei Beni Culturali rimangono tutt'ora in vigore. Quindi, nulla è cambiato.

Su un simile argomento può essere interessante l’articolo “Beni culturali e pubblicità: il caso del David di Michelangelo”.

Trade secrets: termina la disputa tra due società di alta gioielleria

A valle dell'evento del 2 marzo scorso su "La tutela dei segreti commerciali negli Stati Uniti e in Europa: il management dei trade secret in azienda" organizzato dallo studio DLA Piper, in collaborazione con INDICAM e con il patrocinio di American Chamber of Commerce in Italy, parliamo oggi della conclusione di un caso in tema di appropriazione indebita di informazioni riservate e di trade secrets che ha fatto scalpore nel settore dell'alta gioielleria.

Il 28 febbraio 2022, una società francese di alta gioielleria, nota dal 1847 per la produzione di gioielli ed orologi di lusso, ha avviato un'azione legale davanti alla Corte Suprema dello Stato di New York contro una sua concorrente statunitense e la sua ex dipendente.

Secondo quanto ricostruito in giudizio dalla ricorrente francese, la sua ex junior manager sarebbe stata assunta dalla società competitor statunitense per diffondere informazioni confidenziali sulla collezione di gioielli, chiamata "Blue Book", ai vertici del Merchandising Team for High Jewelry della resistente.

Nel novembre 2021, la dipendente della società francese era stata contattata dalla vicepresidente del North America Merchandising Team della concorrente, per un colloquio conoscitivo finalizzato all'assunzione della stessa nel dipartimento di alta gioielleria, che doveva essere riorganizzato dopo l'acquisizione dell'azienda da parte di una nota multinazionale francese. Dopo l'incontro, la junior manager avrebbe scaricato e inviato una serie di documenti, tra cui informazioni riservate su diversi prodotti di gioielleria, dal suo indirizzo di posta elettronica aziendale a quello personale. Dopo aver ricevuto una proposta di lavoro formale dalla società statunitense, la junior manager avrebbe rassegnato le dimissioni senza rivelare che avrebbe collaborato con un'azienda concorrente.

Tali dimissioni avevano insospettito alcuni dirigenti della società francese che, solo nel dicembre 2021, avevano visto diversi dipendenti lasciare l'azienda per lavorare per la concorrente statunitense di alta gioielleria.

Dopo una prima indagine, emergeva che l'ex dipendente si sarebbe appropriata indebitamente di informazioni riservate e di trade secrets di proprietà della società francese, violando il relativo patto di non divulgazione della durata di sei mesi.

Secondo i legali della ricorrente, anche la concorrente statunitense sarebbe stata altrettanto responsabile di appropriazione indebita di informazioni riservate e di trade secrets, di interferenza illecita nel patto di non divulgazione della ex dipendente, nonché di concorrenza sleale. Alla luce di tali circostanze, l'azienda statunitense licenziava la neo-dipendente, negando il coinvolgimento nella vicenda.

In risposta alle accuse, invece, la società resistente definiva anzitutto il caso come "a truly bizarre circumstance", sostenendo che la ricorrente avesse intentato l'azione solo per ottenere "maximum publicity value, rather than a genuine relief".

In tale occasione, veniva altresì sottolineato che le informazioni "segrete" asseritamente divulgate non potevano ricevere protezione in base alle disposizioni della legge dello Stato di New York, poiché erano dati operativi effimeri, superati da tempo o solo provvisori. Inoltre, la ricorrente non avrebbe potuto rivendicare la tutela dei segreti industriali perché non erano state sottoposte a misure ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.

Nello Stato di New York, infatti, un segreto commerciale viene definito come "una formula, un modello, un dispositivo o una compilazione di informazioni che vengono utilizzate nella propria attività e che conferiscono al titolare la possibilità di ottenere un vantaggio rispetto ai concorrenti che non ne siano a conoscenza e che non li utilizzino". La giurisprudenza consolidata tra le corti dello Stato di New York richiede che il giudice esamini le seguenti circostanze per riconoscere la sussistenza di un segreto industriale: la misura in cui le informazioni sono conosciute al di fuori dell'azienda, la misura in cui le informazioni sono conosciute dai dipendenti e da altre persone coinvolte nell'azienda, le misure adottate dall'azienda per tutelare la segretezza delle informazioni, il valore delle informazioni per l'azienda e per i suoi concorrenti, l'ammontare degli sforzi o del denaro spesi dall'azienda per sviluppare le informazioni, e la facilità o la difficoltà con cui le informazioni potrebbero essere acquisite o duplicate da altri. Per essere riconosciuto come segreto commerciale è, inoltre, necessario che il segreto costituisca "un processo o un dispositivo da utilizzare in modo continuativo nel funzionamento dell'azienda".

In merito, invece, alle accuse di favoreggiamento rispetto all’appropriazione indebita delle informazioni divulgate, la società resistente si difendeva sostenendo di non essere a conoscenza degli accordi confidenziali precedentemente siglati dalla società francese e dalla propria dipendente e che, pertanto, non avrebbe potuto violare alcuna disposizione.

Solo il 17 febbraio scorso, le due società sono riuscite a risolvere questa causa di alto profilo con una stipulazione di cessazione con pregiudizio depositata presso la Divisione Commerciale della Corte Suprema dello Stato di New York. I rappresentanti legali dei due marchi di gioielli informavano, infatti, la Corte di aver stipulato e concordato di interrompere la causa per l'appropriazione indebita di trade secrets, nonché di concorrenza sleale e interferenza illecita, "contro e tra tutte le parti senza costi per nessuna delle parti". In particolare, la conclusione della causa (i cui termini non sono stati resi noti) è stata raggiunta attraverso una dichiarazione tramite cui l'ex dipendente confermava che non avrebbe usato, pubblicato o divulgato in alcun modo le informazioni confidenziali e segrete della società francese, restituite alla stessa, confermando inoltre di non aver conservato copie, in nessuna forma, dei documenti o registri contenenti le informazioni confidenziali e segrete in suo possesso.

Anche questo caso dimostra come proteggere i trade secrets e mantenerli segreti è di estrema importanza per le grandi società, in particolare per quelle che operano in settori altamente competitivi come quello della moda o dell'alta gioielleria. Queste società investono ingenti somme di denaro e risorse per sviluppare prodotti innovativi, strategie di marketing, processi di produzione e conoscenze specialistiche, che costituiscono un vantaggio competitivo cruciale sul mercato. La divulgazione di questi segreti commerciali può causare un danno irreparabile all'azienda, danneggiando la sua reputazione, diminuendo le vendite e diminuendo il suo valore sul mercato.

Le aziende dovrebbero, quindi, adottare misure adeguate al fine di tutelare i propri segreti commerciali e prevenire la loro divulgazione, al fine di mantenere il loro vantaggio competitivo sul mercato e garantire la loro sopravvivenza nel lungo termine.

Su un simile argomento può essere interessante l’articolo "Trade secret: riconosciuto risarcimento milionario a software house per appropriazione indebita".

 

Technology, Media and Telecommunications

Le nuove iniziative presentate dalla Commissione europea per la trasformazione del settore della connettività nell’UE

Con comunicato stampa del 23 febbraio 2023, la Commissione europea ha presentato una serie di iniziative volte a far sì che entro il 2030 tutti i cittadini e le imprese nell'UE dispongano della connettività Gigabit (ossia una connettività che consenta la velocità di 1 Gigabit al secondo), in linea con gli obiettivi del “decennio digitale europeo” (ossia il programma strategico della Commissione europea che fissa traguardi e obiettivi per la trasformazione digitale dell’UE per il 2030), e a consentire la trasformazione del settore della connettività nell'UE.

La Commissione ha in particolare presentato tre principali iniziative, ossia (i) una proposta di normativa sulle infrastrutture Gigabit, (ii) un progetto di raccomandazione sulla connettività Gigabit e (iii) una consultazione esplorativa sul futuro del settore della connettività e delle relative infrastrutture.

In primo luogo, la proposta di normativa sull’infrastruttura Gigabit nasce in risposta alla crescente necessità di disporre di una maggiore larghezza di banda a velocità più elevate per fornire ai cittadini, alle imprese e ai principali settori pubblici servizi più intelligenti, più flessibili e più innovativi, sostenuti dallo sviluppo e dall'uso di tecnologie digitali, tra le quali, ad esempio, il cloud e l’intelligenza artificiale (IA), al fine di consentire ai cittadini l’esercizio dei propri diritti digitali.

Oltre al superamento delle difficoltà poste dalla realizzazione dell'infrastruttura fisica che sostiene le reti Gigabit avanzate, la nuova normativa mira a ridurre, tra l’altro, costi ed oneri amministrativi connessi alla realizzazione delle reti, anche per mezzo della semplificazione e digitalizzazione di tutte le procedure. La nuova normativa tende inoltre a rafforzare il coordinamento delle opere di genio civile tra gli operatori di rete ai fini della realizzazione dell'infrastruttura fisica sottostante, quali condotti e piloni, e assicurerà che gli operatori coinvolti abbiano accesso alla stessa.

Per quanto riguarda il progetto di raccomandazione sulla connettività Gigabit, esso mira a fornire orientamenti alle autorità nazionali di regolamentazione sulle condizioni di accesso alle reti degli operatori che detengono un significativo potere di mercato, al fine, tra l’altro, di consentire che tutti gli operatori possano accedere, ove opportuno, alle infrastrutture di rete esistenti. Tra gli altri obiettivi perseguiti dalla Commissione con la raccomandazione in commento, vi è anche quello di favorire l’abbandono delle tecnologie preesistenti e il contestuale rapido dispiegamento della rete Gigabit. Le misure contribuiranno inoltre a generare benefici per i consumatori mediante la creazione di un mercato unico delle comunicazioni elettroniche in Europa, tale da fornire servizi migliori attraverso reti di alta qualità a prezzi accessibili.

Infine, con la consultazione pubblica avviata sul futuro del settore della connettività e delle relative infrastrutture, la Commissione si propone di raccogliere opinioni dei soggetti interessati a partecipare alla consultazione in merito all'evoluzione del contesto tecnologico e di mercato e sul modo in cui questa potrebbe incidere sul settore delle comunicazioni elettroniche. La consultazione mira in particolare a individuare i tipi di infrastrutture necessarie affinché l'UE possa restare all'avanguardia rispetto agli sviluppi tecnologici e guidare la trasformazione digitale nei prossimi anni.

Su un simile argomento può essere interessante l’articolo “I nuovi Orientamenti della Commissione europea in materia di aiuti di Stato per le reti a banda larga”.


La rubrica Innovation Law Insights è stata redatta dai professionisti dello studio legale DLA Piper con il coordinamento di Arianna AngillettaGiordana BabiniCarolina Battistella, Carlotta Busani, Giorgia Carneri, Maria Rita Cormaci, Camila CrisciCristina Criscuoli, Tamara D’AngeliChiara D’Onofrio, Federico Maria Di Vizio, Enila EleziChiara Fiore, Emanuele Gambula, Laura Gastaldi, Vincenzo Giuffré, Filippo GrondonaNicola LandolfiGiacomo LusardiValentina Mazza, Lara MastrangeloMaria Chiara Meneghetti, Deborah Paracchini, Tommaso Ricci, Rebecca Rossi, Massimiliano Tiberio, Alessandra Tozzi, Giulia Zappaterra

Gli articoli in materia di Telecommunications sono a cura di Massimo D’Andrea e Flaminia Perna.

Per maggiori informazioni sugli argomenti trattati, è possibile contattare i soci responsabili delle questioni Giulio Coraggio, Marco de Morpurgo, Gualtiero Dragotti, Alessandro Ferrari, Roberto Valenti, Elena VareseAlessandro Boso Caretta, Ginevra Righini.

È possibile sapere di più su “Transfer”, il tool di legal tech realizzato da DLA Piper per supportare le aziende nella valutazione dei trasferimenti dei dati fuori dello SEE (TIA) qui e consultare una pubblicazione di DLA Piper che illustra la normativa sul Gambling qui, nonché un report che analizza le principali questioni legali derivanti dal metaverso qui.

DLA Piper Studio Legale Tributario Associato tratta i dati personali in conformità con l'informativa sul trattamento dei dati personali disponibile qui.

Qualora non si volesse più ricevere gli Innovation Law Insights o ci si volesse iscrivere alla stessa, è possibile inviare un'email a Silvia Molignani.