
1 ottobre 2025
Antitrust Bites – Newsletter
Settembre 2025Informazioni incomplete nell’ambito di un’indagine antitrust: la prima sanzione irrogata dalla Commissione europea e l'analogo caso sotto la lente dell'AGCM
Con comunicato stampa dell'8 settembre 2025, la Commissione europea ha reso noto di aver sanzionato Eurofield SAS e la sua allora parent company Unanime Sport SAS per aver fornito risposte incomplete a una richiesta di informazioni ai sensi dell’art. 18(3) del Regolamento (CE) n. 1/2003 nell’ambito di un’indagine tutt'ora in corso per una presunta intesa nel settore dei campi in erba sintetica per uso sportivo.
La vicenda trae origine da una richiesta di informazioni c.d. semplice ex art. 18(2) del Regolamento a Eurofield nel giugno 2023. Confrontando le risposte ricevute anche con i documenti acquisiti durante successive ispezioni presso imprese attive nel settore, la Commissione ha giudicato incompleta la risposta della società. Pertanto, nell’ottobre 2023, ha inviato a Eurofield una seconda richiesta di informazioni, questa volta mediante decisione ex art. 18(3) del Regolamento, rendendo note le sue preoccupazioni. Ciononostante, anche la risposta fornita da Eurofield a tale richiesta è risultata incompleta.
Pertanto, la Commissione ha avviato un'indagine per sospetta violazione delle norme procedurali antitrust, conclusasi con l'applicazione, per la prima volta, dell’art. 23(1)(b) del Regolamento, ai sensi del quale la Commissione può irrogare alle imprese sanzioni fino all'1% del fatturato quando esse, intenzionalmente o per negligenza, in risposta ad una richiesta di informazioni formulata mediante decisione adottata ex art. 18(3), forniscono informazioni inesatte, incomplete o fuorvianti oppure non forniscono le informazioni entro il termine stabilito.
Durante l'indagine le società coinvolte hanno cooperato con la Commissione nell’ambito di un meccanismo ispirato alla procedura di settlement prevista per i cartelli, che ha consentito loro di ottenere una riduzione del 30% della sanzione, inizialmente quantificata in misura pari allo 0,3% del fatturato cumulato delle società.
Questa vicenda richiama un caso analogo deciso dall’AGCM lo scorso luglio, quando l’Autorità ha inflitto a Ryanair una sanzione superiore a 1 milione di euro per aver fornito risposte incomplete a due richieste di informazioni ex art. 14(2), l. n. 287/1990 e art. 9, D.P.R. n. 217/1998 nell'ambito di un'istruttoria dell'Autorità per un possibile abuso di posizione dominante. Le richieste miravano a ricostruire struttura e operatività del gruppo in Italia e, in particolare, a ottenere i business plan relativi al mercato italiano per il periodo 2021-2023.
Dalla documentazione ispettiva acquisita dall'Autorità nel corso del parallelo procedimento per abuso di posizione dominante è emerso che Ryanair elabora regolarmente business plan e altri documenti di pianificazione strategica, condivisi anche a livello apicale, che avrebbero dovuto essere prodotti. Nonostante ciò, la società ha negato nelle proprie risposte alle richieste di informazioni di predisporre tali documenti, dichiarando che la propria struttura organizzativa non fosse tale da prevedere, né permettere di produrre documenti aziendali formali e condivisi per il processo decisionale strategico.
L’AGCM ha quindi accertato che Ryanair non solo ha omesso di fornire documentazione effettivamente esistente e nella sua disponibilità, ma ha anche fornito informazioni non veritiere e fuorvianti circa la sua inesistenza, configurando così una violazione dell’art. 14(5)(d), l. n. 287/1990, a titolo di colpa grave. In base a tale disposizione, l’Autorità dispone l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino all’1% del fatturato totale realizzato a livello mondiale ai soggetti che, dolosamente o per colpa, in risposta a una richiesta di informazioni, forniscono informazioni inesatte, incomplete o fuorvianti oppure non forniscono le informazioni entro il termine stabilito.
L'attesa pronuncia della CGUE sul dies a quo del termine di prescrizione nelle azioni follow-on
Con la sentenza del 4 settembre 2025, resa nella causa pregiudiziale C-21/24, la Corte di Giustizia dell'UE si è pronunciata sul tema della decorrenza del termine di prescrizione applicabile alle azioni per il risarcimento del danno derivante da violazioni del diritto della concorrenza (cd. azioni follow-on).
In linea con le Conclusioni dell’Avvocato Generale Medina (si v. al riguardo la nostra pubblicazione Antitrust Bites – Aprile 2025), la Corte ha dichiarato che i termini di prescrizione non possono iniziare a decorrere finché la decisione di un’Autorità nazionale della concorrenza (NCA) non sia divenuta definitiva a seguito del controllo giurisdizionale e non sia stata pubblicata insieme all’eventuale sentenza che rende tale decisione definitiva.
La vicenda trae origine da un’azione promossa in Spagna nel 2023 contro un costruttore automobilistico, già sanzionato dalla NCA nel 2015 per aver scambiato informazioni commercialmente sensibili in violazione dell’art. 101 TFUE. La società convenuta eccepiva l'intervenuta prescrizione, sostenendo che il termine di prescrizione fosse iniziato a decorrere dal 2015, quando la decisione dell’Autorità era stata pubblicata.
Ravvisando un contrasto giurisprudenziale sulla decorrenza del termine di prescrizione, il giudice del rinvio ha sottoposto una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia volta a chiarire se il dies a quo del termine di prescrizione decorre dalla pubblicazione della decisione dell’autorità nazionale che accerta l'infrazione del diritto antitrust o dal momento in cui essa diventa definitiva.
Premesso che le norme sui termini di prescrizione previste dalla Direttiva 2014/104 hanno natura sostanziale e non possono essere applicate retroattivamente, la Corte ha affermato che tali termini assolvono una duplice funzione: da un lato, assicurano alla persona lesa dalla violazione antitrust un tempo sufficiente per raccogliere le informazioni necessarie a predisporre un’eventuale azione risarcitoria; dall’altro, impediscono che il diritto al risarcimento possa essere esercitato con ritardo indefinito, a scapito del responsabile del danno.
L'elemento innovativo della pronuncia riguarda, però, il requisito della conoscenza. Riprendendo i principi già affermati nella sentenza Heureka (C-605/21), la Corte ha chiarito che la prescrizione può decorrere solo quando il danneggiato abbia, o possa ragionevolmente avere, conoscenza di quattro elementi: (i) l’esistenza dell’infrazione, (ii) il danno subito, (iii) il nesso causale e (iv) l’identità dell’autore.
In aggiunta, per la prima volta nella sua giurisprudenza, la Corte ha introdotto una distinzione fondamentale tra le decisioni della Commissione europea e quelle delle autorità nazionali. Le decisioni della Commissione, in virtù dell’art. 16, par. 1, del Regolamento 1/2003, sono vincolanti per i giudici nazionali, che non possono adottare decisioni in contrasto con le stesse. Per contro, le decisioni delle autorità nazionali non hanno forza vincolante finché sono soggette a riesame giurisdizionale: fino ad allora, le persone lese non possono farvi affidamento per dimostrare l’infrazione.
Infine, la Corte ha sottolineato che il requisito della conoscenza presuppone non solo che la decisione sia definitiva, ma anche che sia stata ufficialmente pubblicata e resa accessibile al pubblico. Nel caso di specie, tale condizione è stata soddisfatta solo nel 2021, quando la Corte Suprema spagnola ha confermato la decisione della NCA del 2015 e pubblicato la propria sentenza nella banca dati giurisprudenziale liberamente accessibile.
Recenti interventi dell'AGCM in materia di greenwashing
A riconferma del suo impegno nel contrastare il fenomeno del c.d. “greenwashing”, l'AGCM ha di recente sanzionato un operatore del settore dell'abbigliamento per aver impiegato messaggi ingannevoli relativi alla sostenibilità dei propri prodotti e ha altresì concluso positivamente una moral suasion nei confronti di una società attiva nel settore delle bevande non alcoliche ottenendo la rimozione di determinate asserzioni non veritiere dal packaging dei prodotti della stessa.
Come noto, con il termine “greenwashing” ci si riferisce all'uso distorto o ingannevole di asserzioni o vanti ambientali (c.d. green claims) allo scopo di orientare le scelte d'acquisto dei consumatori, suggerendo o dando l'impressione – nell’ambito di una comunicazione commerciale, del marketing o della pubblicità – che un prodotto o un servizio abbia un impatto positivo o sia privo di impatto sull’ambiente o sia meno dannoso per l’ambiente rispetto a prodotti o servizi concorrenti. L'uso di green claims ingannevoli – come più volte accertato dall'Autorità – è normalmente idoneo a integrare una pratica commerciale scorretta.
Ed è stato proprio un siffatto accertamento a condurre l'AGCM ad irrogare una sanzione di 1 milione di euro nei confronti di una società operante nel settore del c.d. “fast fashion” e “super fast fashion” per aver utilizzato dei messaggi promozionali relativi alla sostenibilità dei propri capi di abbigliamento ingannevoli e/o omissivi.
L'Autorità ha in particolare rilevato che la società:
- enfatizzava sul proprio sito la “circolarità” della produzione dei propri capi di abbigliamento tramite claims vaghi e generici. Dal sito erano del tutto assenti informazioni che consentissero di comprendere quali fossero effettivamente i programmi e le iniziative concrete intraprese dalla società per progettare un “sistema circolare” e realizzare un “consumo responsabile”. Peraltro, la società avrebbe ammesso di non occuparsi e di non assicurare il “riuso” e il “riciclo” dei propri prodotti – attività che, invece, sono di centrale importanza al fine di garantire la “circolarità” dei prodotti;
- promuoveva una collezione di abbigliamento descrivendola come “sostenibile” in quanto asseritamente basata sull'utilizzo di materiali “ecosostenibili”, quali “Tessuti recuperati/riabilitati in edizione limitata”, “Materiali riciclati” e “Fibre sicure per le foreste”. Secondo l'Autorità i claims impiegati sono vaghi, generici e non adeguatamente giustificati; il sito, infatti, non riporta sufficienti informazioni sulla quantità di materiali ecosostenibili utilizzati per ciascun prodotto, sui benefici ambientali dei prodotti (che, comunque, risultano limitati) e non ultimo sul carattere marginale di tale linea di abbigliamento rispetto al totale dei prodotti della società;
- presentava green claims generici, ingannevoli e poco chiari relativamente agli obiettivi di decarbonizzazione, asseritamente consistenti nella “riduzione del 25% delle emissioni di gas serra entro il 2030” e nell'“azzeramento delle emissioni entro il 2050”. Sul sito, infatti, non erano indicati piani e modalità realistiche e concrete per il raggiungimento di tali obiettivi, che risulterebbero addirittura contraddetti da un incremento delle emissioni di gas serra connesse all'attività della società nel 2023 e nel 2024.
A fronte di tali condotte, ed evidenziato il maggiore grado di diligenza che incombe sulle società che operano in un settore altamente inquinante, quale quello dell'abbigliamento cosiddetto “usa e getta”, l'AGCM ha quindi accertato la violazione degli articoli 20, 21 e 22 del d.lgs. 206/2005 (Codice del consumo) e sanzionato l'impresa.
L'ulteriore intervento sopra menzionato è invece consistito nella conclusione positiva di una moral suasion avviata nei confronti di una società attiva nel settore delle bevande non alcoliche, la quale utilizzava asserzioni ambientali secondo cui la produzione delle bottiglie di acqua minerale non comportava emissioni di gas serra o addirittura aveva un impatto positivo sull’ambiente.
All'esito della moral suasion, la società ha rimosso tali asserzioni, che comprendevano claims come “CO2 Impatto Zero”, dalle etichette delle bottiglie commercializzate, dal sito web e da spot/video promozionali.
Tali interventi confermano ancora una volta l'impegno dell'AGCM nella lotta contro il fenomeno del greenwashing al fine di tutelare i consumatori, sempre più sensibili alle tematiche ambientali.
Vendita abbinata nel settore delle piattaforme digitali: la Commissione europea chiude il procedimento ex art. 102 TFUE con accettazione degli impegni
La Commissione europea ha recentemente reso noto di aver accettato gli impegni presentati da un operatore attivo nel settore IT nell'ambito di un procedimento relativo ad una presunta pratica di “tying”, in contrasto con l'art. 102 TFUE.
Secondo la valutazione preliminare espressa dalla Commissione nello Statement of Objections, l'operatore avrebbe detenuto una posizione dominante nel mercato delle applicazioni Software-as-a-Service (SaaS) per la produttività ad uso professionale, e ne avrebbe abusato mediante la vendita abbinata del proprio servizio di piattaforma di comunicazione e collaborazione con i suoi pacchetti (o suite), contenenti i cd. software di produttività.
Tale condotta, secondo la Commissione, avrebbe conferito alla piattaforma un indebito vantaggio competitivo, rafforzando al contempo la posizione dominante dell'operatore nel mercato dei software di produttività, nonché il suo modello basato su suite integrate, a discapito dei fornitori concorrenti di software singoli.
L'operatore ha quindi inizialmente presentato una serie di impegni volti, in sostanza, a:
- offrire ai clienti che acquistano nel SEE versioni delle sue suite, prive della piattaforma di comunicazione e collaborazione e ad un prezzo notevolmente inferiore rispetto alle suite che la includono, evitando di applicare scontistiche alle suite con la piattaforma superiori a quelle previste per le suite senza la stessa;
- offrire ai clienti che acquistano nel SEE opportunità ricorrenti di passare a suite senza la piattaforma, consentendo l'implementazione di tali suitenei data center di tutto il mondo;
- consentire ai concorrenti un'efficace interoperabilità con alcuni dei propri prodotti e servizi per funzionalità specifiche;
- consentire ai clienti nel SEE di estrarre i dati di messaggistica per poterli utilizzare in piattaforme concorrenti.
All'esito del market test condotto dalla Commissione per verificare se gli impegni proposti fossero idonei a risolvere le preoccupazioni concorrenziali ipotizzate, l'operatore si è ulteriormente impegnato a:
- aumentare del 50% la differenza di prezzo tra le suite prive della piattaforma e le corrispondenti versioni che la includono;
- chiarire che i propri siti, nel pubblicizzare le offerte che includono la piattaforma, devono mostrare anche la corrispondente offerta priva della stessa;
- pubblicare le informazioni relative all'interoperabilità e alla portabilità dei dati su tutti i siti web rivolti agli sviluppatori.
Gli impegni avranno una durata di sette anni, con l'eccezione di quelli relativi all'interoperabilità e alla portabilità dei dati che avranno una durata di dieci anni.
La Commissione europea avvia una consultazione pubblica sulla revisione del Regolamento di esenzione per categoria delle linee direttrici in materia di accordi di trasferimento di tecnologia
L'11 settembre 2025, la Commissione europea ha avviato una consultazione pubblica avente ad oggetto i progetti di revisione del Regolamento di esenzione per categoria applicabile agli accordi di trasferimento di tecnologia (RECTT) e delle relative Linee direttrici, entrambi in vigore dal 2014.
In estrema sintesi, gli accordi di trasferimento di tecnologia hanno ad oggetto la licenza di diritti tecnologici, così come individuati dal RECTT. Il RECTT prevede un'esenzione dall'applicazione dell'art. 101 TFUE per talune categorie di accordi di trasferimento di tecnologia che soddisfano determinate condizioni, riguardanti le quote di mercato delle parti dell'accordo e l'assenza di restrizioni fondamentali (c.d. hardcore restrictions).
Tramite i progetti di revisione oggetto della consultazione pubblica, la Commissione intende verificare gli sviluppi del mercato e gli ulteriori cambiamenti intercorsi nell'ultimo decennio che possano avere un impatto sul testo del RECTT e delle relative Linee direttrici al fine di procedere al loro aggiornamento.
I progetti di revisione hanno, in primo luogo, l'obiettivo di ridurre le incertezze riscontrate nella prassi in merito al calcolo delle quote di mercato delle parti dell'accordo, rilevanti ai fini dell'applicazione delle disposizioni del RECTT, introducendo indicazioni e criteri riguardanti le metodologie di calcolo delle quote di mercato.
I progetti di revisione intendono introdurre inoltre specifici orientamenti relativi agli accordi di licenza sui dati, chiarendo le condizioni al ricorrere delle quali la concessione di tali licenze è soggetta all'applicazione del RECTT e delle Linee Guida. Disposizioni specifiche saranno anche introdotte con riferimento alla concessione di licenze riguardanti banche dati protette da diritti d'autore.
Oggetto di revisione sono pure le condizioni applicabili ai pool tecnologici, ossia accordi mediante i quali due o più parti costituiscono un pacchetto di tecnologie concesso in licenza ai partecipanti al pool e/o a terzi.
È anche prevista l'introduzione di orientamenti relativi ai gruppi di negoziazione per la concessione di licenze, ossia accordi in base ai quali potenziali licenziatari convengono di negoziare congiuntamente le condizioni degli accordi di trasferimento di tecnologia. Il progetto di revisione delle linee direttrici esamina in particolare i possibili effetti pro-competitivi di questi accordi.
Infine, la proposta di revisione delle Linee direttici fornisce ulteriori indicazioni (i) sull'applicazione dell'art. 101 TFUE a quegli accordi conclusi dalle PMI che non sono suscettibili di pregiudicare in modo significativo gli scambi tra Stati membri o che non limitano sensibilmente la concorrenza, (ii) prevede una revisione della definizione di concorrente potenziale per tenere conto degli sviluppi giurisprudenziali e della prassi applicativa, e (iii) introduce ulteriori esempi di scenari che possono giustificare la revoca del beneficio dell'esenzione per categoria.
I soggetti interessati sono invitati a presentare osservazioni entro il 23 ottobre 2025.