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4 aprile 202324 minuti di lettura

Innovation Law Insights

Innovazione e diritto: le novità della settimana
Eventi

Cyber Breakfast “Come conformarsi al Regolamento DORA?”, 13 aprile 2023

Il Regolamento DORA è entrato in vigore il 17 gennaio 2023, anche se sarà vincolante solo dal 17 gennaio 2025. Tuttavia, le attività da svolgere sono alquanto complesse, richiedendo competenze legali, tecniche e di processo. La nuova disciplina interessa banche, compagnie di assicurazione, società di servizi di criptovalute, istituzioni finanziarie e i loro fornitori.

Il 13 aprile 2023 presso la sede di DLA Piper (via della Posta 7, Milano) dalle 9:00 alle 10:30, gli esperti di DLA Piper e IBM Consulting condivideranno le loro riflessioni sulle criticità del regolamento e sulle best practices da seguire, per poi consentire un confronto aperto tra i partecipanti. È possibile registrarsi qui

 

Podcast

Diffusione di fake news e disinformazione: possibili correttivi tra fact-cheking e normative europee

In questo episodio di Diritto al Digitale, Roberto Valenti e Lara Mastrangelo dello studio legale DLA Piper discutono con Andrea Garantola, Responsabile Affari Legali del giornale online Open e David Puente, giornalista ed esperto di fact-checking di Open, della crescente diffusione di notizie false online, delle complessità connesse al loro monitoraggio e dei correttivi normativi ed autoregolamentari messi in campo dall’Unione Europea, tra cui il Digital Services Package e il Codice di Condotta sulla Disinformazione. L’episodio del podcast è disponibile qui.

 

Commercial

Decreto di attuazione della Direttiva Omnibus: Cosa cambia per le vendite online?

Il Decreto Legislativo 7 marzo 2023 n. 26 attua la Direttiva Omnibus in Italia con notevoli nuovi obblighi per le vendite online per i siti di eCommerce e con sanzioni di gran lunga aumentate.

Con notevole ritardo, l’Italia ha finalmente attuato la Direttiva Omnibus (UE) 2019/2161 con il Decreto Legislativo 7 marzo 2023 n. 26 che ora è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale ed entrerà in vigore il 2 aprile 2023 e rappresenta un cambiamento sostanziale per le vendite online.

Nel mondo delle vendite online, la Direttiva Omnibus 2019/2161 dell’Unione Europea segna una svolta significativa nella protezione dei consumatori e nella regolamentazione del commercio elettronico, modificando quattro direttive esistenti, quali la Direttiva 93/13/CEE sui contratti di consumo, la Direttiva 98/6/CE relativa alla protezione dei consumatori nei confronti delle indicazioni sui prezzi dei prodotti, la Direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali e la Direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori. Le modifiche apportate da questa normativa hanno un impatto significativo sulle vendite online, in particolare riguardo a pratiche commerciali sleali, pubblicità ingannevole e protezione dei consumatori.

Le principali novità riguardano l’indicazione dei prezzi, i controlli da implementare per evitare false recensioni,

la trasparenza nella classificazione e nel posizionamento dei beni e servizi offerti, la vendita di prodotti da parte di non professionisti, il diritto di recesso e i rimedi a disposizione dei consumatori per contestare la condotta dei professionisti e le sanzioni che sono notevolmente aumentate.

L’infografica nella quale abbiamo illustrato in stile legal design le principali novità che possono essere di interesse per ogni business è disponibile qui.

Su di un simile argomento, il seguente articolo può essere di interesse “Black Friday: cosa cambia con la Direttiva Omnibus per i siti di e-commerce” dove abbiamo affrontato una delle forme di scontistica online più diffuse, e potete contattarci per avere maggior informazioni su un cambiamento che richiederà un notevole lavoro di aggiornamento dei siti di vendite online.

 

Data Protection & Cybersecurity

Garante privacy: sanzionata una società per il trattamento dei dati biometrici dei propri lavoratori

Il Garante privacy ha emesso una sanzione tramite un’ordinanza ingiunzione nei confronti di una società per trattamento di dati biometrici dei suoi dipendenti e collaboratori in assenza di una legittima base giuridica e in violazione dei principi di proporzionalità e minimizzazione dei dati personali.

Il 10 novembre 2022 tramite ordinanza di ingiunzione il Garante privacy ha emesso una sanzione del valore di euro 20.000 ai danni della società sportiva dilettantistica Sportitalia rilevando l’esistenza di illecite attività di trattamento di dati biometrici ai danni degli oltre 130 dipendenti e collaboratori.

L’ordinanza è stata emessa a seguito di una segnalazione della CGIL che ha lamentato il fatto che a partire da ottobre 2018 presso i club milanesi della società erano stati attivati sistemi di “timbratura per rilevazione delle presenze con terminale biometrico” basati sul rilevamento delle impronte digitali.

In base all’art. 9, par. 2, lett. b) GDPR, il trattamento di dati biometrici in ambito lavorativo è possibile solamente quando “necessario per assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti specifici del titolare del trattamento o dell'interessato in materia di diritto del lavoro e della sicurezza sociale e protezione sociale” tuttavia, tale trattamento è consentito solo “nella misura in cui sia autorizzato dal diritto dell'Unione o degli Stati membri o da un contratto collettivo ai sensi del diritto degli Stati membri, in presenza di garanzie appropriate per i diritti fondamentali e gli interessi dell'interessato”. A questo principio è stata, inoltre, data attuazione nell’ordinamento italiano tramite l’art. 2-septies del Codice Privacy (Misure di garanzia per il trattamento dei dati genetici, biometrici e relativi alla salute).

Come evidenziato dal Garante nella sua ordinanza, tuttavia, non è sufficiente che il trattamento trovi fondamento in una disposizione normativa, ma tale deve anche essere conforme agli altri principi fondamentali del GDPR, in particolare a quelli di proporzionalità e di minimizzazione.

Nel caso oggetto di analisi, il Garante privacy ha riscontrato che l’utilizzo del dato biometrico nella gestione ordinaria del rapporto di lavoro allo scopo dichiarato di “agevolare i dipendenti nella registrazione dell’orario di entrata e di uscita adottando un sistema “più snello e veloce” a fronte delle continue dimenticanze del badge, non è conforme ai principi di minimizzazione e proporzionalità del trattamento. Lo stesso trattamento viene, pertanto, considerato privo di un’idonea base giuridica.

Nemmeno la raccolta del consenso dell’interessato può essere ritenuta a priori idonea a consentire tale attività, infatti, il consenso del lavoratore non è di regola considerato un valido presupposto di liceità per il trattamento dei dati personali in ambito lavorativo, ciò “alla luce della asimmetria tra le rispettive parti del rapporto di lavoro e la conseguente, eventuale, necessità di accertare di volta in volta e in concreto l’effettiva libertà della manifestazione di volontà del dipendente”.

In conclusione, se è vero che il datore di lavoro deve sempre prestare molta attenzione nell’effettuare attività di trattamento dei dati personali dei propri dipendenti, particolare cautela deve essere prestata ai dati biometrici che data la loro natura comportano maggiori rischi di vulnus per l’interessato.

Sul tema può essere di interesse il seguente articolo “L’autorità privacy olandese emette una sanzione per uso di dati biometrici (dirittoaldigitale.com)”.

 

Intellectual Property

Brevetti e plausibilità dell’invenzione: pubblicata la decisione dell’Enlarged Board of Appeal dell’EPO

Lo scorso 23 marzo è stata finalmente pubblicata la decisione dell’Enlarged Board of Appeal dell’EPO relativa alla c.d. plausibilità dell’invenzione.

In ragione del rinvio pregiudiziale operato dal Board of Appeal dell’EPO l’11 ottobre 2021 (caso T 1116/18 - EPO - Referral to the Enlarged Board of Appeal – G 2/21), l’Enlarged Board of Appeal era stato chiamato a fornire una risposta ai seguenti quesiti:

  • Può il principio di libera valutazione delle prove essere derogato ignorando i c.d. post-published data qualora la prova dell’effetto tecnico risieda esclusivamente in questi ultimi?
  • In caso di risposta affermativa alla prima domanda, possono i c.d. post-published data essere presi in considerazione qualora, in base alle informazioni contenute nella domanda di brevetto o secondo le conoscenze generali, la persona esperta del ramo avrebbe ritenuto l’effetto tecnico plausibile?
  • In caso di risposta affermativa alla prima domanda, possono i c.d. post-published data essere presi in considerazione qualora, in base alle informazioni contenute nella domanda di brevetto o secondo le conoscenze generali, la persona esperta del ramo non avrebbe avuto ragioni per ritenere l’effetto tecnico implausibile?

Prima di illustrare brevemente le conclusioni cui è giunto il massimo organo tecnico europeo, vale la pena di ripercorrere cosa si intenda per plausibilità dell’invenzione e le ragioni per cui si è a lungo discusso - e a lungo ancora si discuterà – del ruolo dei c.d. post-published data, ossia i dati resi disponibili successivamente al deposito di una domanda di brevetto.

Nonostante la Convenzione sul Brevetto Europeo non fornisca una definizione di invenzione, quest’ultima è generalmente intesa come una soluzione tecnica a un determinato problema tecnico, ed è proprio nel contributo allo stato dell’arte e al progresso scientifico che risiede la giustificazione del monopolio conferito dal brevetto.

Cosa accade, tuttavia, se la soluzione è soltanto rivendicata dalla domanda di brevetto ma non supportata da alcun elemento probatorio o argomentativo? Esiste nell’ordinamento brevettuale un onere in capo all’inventore di dimostrare che il trovato – oltre ad essere nuovo, inventivo, sufficientemente descritto e idoneo ad applicazione industriale – effettivamente consente di risolvere il problema tecnico?

Tali domande rivestono particolare importanza quando a essere in gioco sono invenzioni attinenti al settore chimico o farmaceutico, in cui la necessità di conseguire quanto prima una protezione brevettuale mal si concilia con le lunghe tempistiche richieste dalla sperimentazione.

In un sistema c.d. first-to-file, ove ottiene tutela chi per primo deposita la domanda di brevetto, è infatti prassi abbastanza diffusa quella di depositare una domanda prima di avere dati sperimentali che supportino quanto rivendicato. Inoltre, la domanda di brevetto può talvolta rappresentare essa stessa un elemento per attirare fondi e condurre le costose sperimentazioni spesso necessarie per raggiungere la prova di quanto ipotizzato.

Tuttavia, lo strumento brevettuale non è pensato per tutelare delle supposizioni, e si è perciò nel tempo affermata la necessità di prevenire domande di brevetto c.d. speculative, tese a monopolizzare anzitempo un determinato settore e potenzialmente idonee a scoraggiare – in una certa misura – la prosecuzione di ricerche da parte di terzi.

Un confine tra invenzione brevettabile e mera speculazione è stato così tracciato dapprima dall’EPO, che, mediante una serie di pronunce (di cui si ricordano per importanza EPO - T 0939/92 (Triazoles) of 12.9.1995 e EPO - T 1329/04 (Factor-9/JOHN HOPKINS) of 28.6.2005), ha ritenuto sussistere, in capo al titolare della domanda di brevetto, un onere di rendere plausibile che l’invenzione effettivamente consente di raggiungere lo scopo perseguito. Il principio è stato presto fatto proprio anche da alcune corti nazionali, e in particolare da quelle inglesi.

Sebbene nella Convenzione sul Brevetto Europeo non si rinvenga espressamente un siffatto onere probatorio in capo all’inventore, la necessità che l’invenzione risolva effettivamente il problema tecnico appare d’altronde coerente con la ratio sottesa al sistema brevettuale, e il fondamento normativo della plausibilità è stato individuato da giurisprudenza e dottrina prevalentemente nei requisiti dell’attività inventiva e della sufficiente descrizione: una sorta di condicio sine qua non comune a entrambi i presupposti di brevettabilità.

Meno agevole, forse, è comprendere però con quale rigidità debba essere inteso l’onere in capo al richiedente e, in particolare, se e in che misura consentire al medesimo di fare affidamento sui c.d. post-published data per dimostrare che il proprio trovato consegue effettivamente il risultato tecnico immaginato.

Sul punto, l’orientamento maggioritario muove dalla considerazione secondo cui ciascun requisito di brevettabilità deve essere valutato al momento della domanda, e non ex post. Da ciò, conseguirebbe che le prove successive possono sì essere ammesse a supporto della brevettabilità del trovato, ma solo nel caso in cui la domanda di brevetto renda di per sé plausibile l’effetto tecnico. Diversamente, le prove successive non dovrebbero poter essere invocate quale rimedio ex post. Il rischio di una soluzione opposta - si sostiene - sarebbe quello di ammettere la brevettabilità di un’invenzione che, in realtà, non era stata ancora raggiunta: una supposizione.

Il dibattito, come anticipato, ha trovato terreno particolarmente fertile nel Regno Unito, ove a più riprese le corti sono state chiamate a pronunciarsi circa l’ammissibilità del requisito e i suoi limiti, nel contesto tanto dell’attività inventiva, quanto della sufficienza di descrizione.

Nel caso Warner-Lambert vs Generics, attinente alla validità di un brevetto rivendicante l’uso di un noto composto per il trattamento di determinate patologie, la Corte d’Appello aveva ritenuto sì necessario dimostrare la plausibilità della soluzione rivendicata, allentandone però significativamente le maglie.

Nella pronuncia, si legge che il requisito in parola “is designed to prohibit speculative claiming, which would otherwise allow the armchair inventor a monopoly over a field of endeavour to which he has made no contribution. It is not designed to prohibit patents for good faith predictions which have some, albeit manifestly incomplete, basis […]. Thus, the claims will easily be seen not to be speculative where the inventor provides a reasonably credible theory as to why the invention will or might work”.

Riformando la sentenza, la Corte Suprema è invece giunta a conclusioni ben più rigide.

Secondo la Corte, infatti, nonostante il vaglio non debba essere particolarmente severo, non può essere ridotto a poco più di un test di buona fede. In particolare, “the claimed therapeutic effect may well be rendered plausible by a specification showing that something was worth trying for a reason, ie not just because there was an abstract possibility that it would work but because reasonable scientific grounds were disclosed for expecting that it might well work” (Warner-Lambert Company LLC (Appellant/Cross-Respondent) v Generics (UK) Ltd t/a Mylan and another (Respondents/Cross-Appellants) (supremecourt.uk)).

Per attenuare un onere probatorio apparentemente gravoso in capo al titolare della domanda di brevetto, che da più parti ha trovato severe critiche, si è negli anni più recenti fatta largo una tesi mediana, peraltro già prospettata nella dissenting opinion espressa da parte dei giudici che componevano il collegio della Corte Suprema nel menzionato caso Warner-Lambert vs Generics. Essa suggerisce di invertire la prospettiva, precludendo di fare affidamento su prove successive solo laddove la soluzione fosse al momento della domanda di brevetto prima facie implausibile.

Le forti incertezze interpretative, evidentemente non prive di ricadute pratiche sulle strategie di brevettazione delle imprese, hanno così indotto l’EPO a deferire la questione all’Enlarged Board of Appeal, chiamato in sintesi a chiarire quale, tra le seguenti teorie avvicendatesi nel tempo, appare maggiormente compatibile con il dato normativo:

  1. Plausibilità ab initio: i dati post-pubblicati possono essere utilizzati per dimostrare l’effetto tecnico purché questo fosse già plausibile alla luce della domanda di brevetto e delle conoscenze generali dell’esperto del ramo.
  2. Implausibilità ab initio: i documenti post-pubblicati possono essere utilizzati per dimostrare l’effetto tecnico, purché questo non fosse implausibile alla luce della domanda di brevetto e delle conoscenze generali dell’esperto del ramo.
  3. Nessuna plausibilità: i documenti post-pubblicati possono sempre essere utilizzati, indipendentemente dal fatto che la soluzione proposta fosse plausibile o implausibile al momento della domanda.

Con la propria decisione, che offre un’utile ricostruzione dei precedenti rilevanti e ridisegna in parte i confini tracciati dai quesiti formulati dal giudice rimettente, l’Enlarged Board of Appeal ha sposato un approccio probabilmente inatteso, prendendo le distanze dalle categorie terminologiche affermatesi nel tempo, i.e. plausibilità o implausibilità.

In primo luogo, la pronuncia ha chiarito che i post-published data non possono essere ignorati soltanto perché depositati dopo la domanda di brevetto (par. 55 e 56), dovendo il principio di libera valutazione delle prove trovare ampia applicazione.

Ciò nonostante, si legge nella pronuncia, “the core issue rests with the question of what the skilled person, with the common general knowledge in mind, understands at the filing date from the application as originally filed as the technical teaching of the claimed invention” (par. 71 e 93). Pertanto, secondo i giudicanti, “a patent applicant or proprietor may rely upon a technical effect for inventive step if the skilled person,  having the common general knowledge in mind, and based on the application as originally filed, would consider said effect as being encompassed by the technical teaching and embodied by the same originally disclosed invention” (par. 94).

Alla luce di ciò, sono probabilmente molti gli interrogativi che rimangono sul tavolo e le riflessioni che la decisione  impone. D’altronde, è lo stesso Enlarged Board of Appeal a riconoscere “the abstractness of some of the aforementioned criteria” (par. 95).

Se con riguardo alla valutazione dell’attività inventiva - su cui vertevano i quesiti formulati dal collegio rimettente - la soluzione prospettata presta facilmente il fianco a diverse interpretazioni, l’Enlarged Board of Appeal sembra però avere espresso più nette considerazioni circa il ruolo dei c.d. post-published data nel contesto della sufficiente descrizione, quando ad essere in gioco sono invenzioni per le quali l’effetto tecnico è espressamente rivendicato, come nel caso di brevetti di secondo uso medico.

Secondo i giudicanti, “the scope of reliance on post published evidence is much narrower under sufficiency of disclosure (Article 83 EPC) compared to the situation under inventive step (Article 56 EPC). In order to meet the requirement that the disclosure of the invention be sufficiently clear and complete for it to be carried out by the person skilled in the art, the proof of a claimed therapeutic effect has to be provided in the application as filed, in particular if, in the absence of experimental data in the application as filed, it would not be credible to the skilled person that the therapeutic effect is achieved. A lack in this respect cannot be remedied by post-published evidence” (par. 77).

Un’interpretazione, questa, che somiglia tanto alla teoria della plausibilità ab initio e che non contribuisce a mitigare le incertezze con cui le imprese farmaceutiche si confrontano nell’individuazione del giusto momento in cui depositare una domanda di brevetto nel corso dell’iter di ricerca e sviluppo.

Nell’attesa di comprendere come l’EPO applicherà i principi indicati dall’Enlarged Board of Appeal, una conclusione sembra certa: la c.d. plausibilità, i suoi contorni e le sue implicazioni rimarranno con buone probabilità tra i temi più dibattuti e attuali nel panorama brevettuale, e saranno verosimilmente presto affrontati anche dal Tribunale Unificato dei Brevetti (UPC), ormai ai nastri di partenza.

Su un simile argomento può essere interessante l’articolo: “Novità in materia di Brevetto Unitario: l’EPO rende disponibili i moduli per la richiesta”.

 

La registrabilità di uno slogan come marchio innanzi all'EUIPO: un'analisi in luce della recente sentenza del Tribunale dell'Unione Europea

La possibilità di registrare uno slogan come marchio di impresa avanti l'Ufficio dell'Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) è stato esaminato dal Tribunale dell’Unione Europea. Ai sensi dell'articolo 4 del Regolamento sul marchio dell'Unione Europea (RMUE), possono costituire marchi UE tutti i segni, inclusi gli slogan commerciali, a condizione che siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese e a essere rappresentati in modo chiaro e preciso nel registro dei marchi dell'Unione europea.

Tuttavia, il requisito fondamentale per la registrazione di uno slogan come marchio è il suo carattere distintivo. La valutazione del carattere distintivo degli slogan non è più severa rispetto ad altri tipi di marchi, ma la sua valutazione richiede l'analisi di specifici fattori.

Tutto ciò trova conferma nella relazione dell’EUIPO “The Distinctive Character of Slogans” datata ottobre 2021 e pubblicata nel marzo 2022, in cui l’Ufficio ha indicato alcuni fattori utili al fine di stabilire la distintività di uno slogan. Tra questi vi sono: la presenza di diversi significati; la costituzione di un gioco di parole; l’introduzione di elementi concettualmente interessanti o di sorpresa; la presentazione di una particolare originalità o risonanza; l’innesco nella mente del pubblico di riferimento di un processo cognitivo o la richiesta di uno sforzo interpretativo; la presentazione di strutture sintattiche e/o dispositivi linguistici e stilistici insoliti.

In questo contesto, il Tribunale dell'Unione Europea (TUE) si è pronunciato sulla registrabilità del marchio "THE FUTURE IS PLANT-BASED" innanzi all'EUIPO, sentenza T-133/22.

Tale sentenza si riferisce alla richiesta di registrazione presentata da una società con sede negli Stati Uniti nel 2018 per il marchio "THE FUTURE IS PLANT-BASED" per una vasta gamma di prodotti alimentari e bevande.

L'EUIPO ha rifiutato la registrazione del segno, affermando che lo stesso non fosse sufficientemente distintivo per essere registrato come marchio. Secondo l'EUIPO, lo slogan era una semplice espressione pubblicitaria che si riferiva alle tendenze del mercato e alla crescente popolarità del cibo a base vegetale. Inoltre, l'EUIPO ha sostenuto che il segno non fosse in grado di distinguere i prodotti dell'azienda richiedente da quelli delle altre imprese che offrono prodotti alimentari a base vegetale.

La società richiedente ha impugnato la decisione dell'EUIPO davanti al TUE, sostenendo che il segno era sufficientemente distintivo per essere registrata come marchio. Il TUE ha esaminato il caso e ha stabilito che il segno non era idonea a diventare un marchio registrato.

In particolare, il TUE ha ritenuto che lo slogan era una semplice espressione pubblicitaria che non aveva alcun elemento distintivo. Inoltre, il TUE ha evidenziato che lo slogan era un messaggio promozionale generico non in grado di distinguere i prodotti dell'azienda richiedente da quelli delle altre imprese che offrono prodotti alimentari a base vegetale. Infine, il TUE ha sottolineato che lo slogan era una frase di uso comune che non poteva essere monopolizzata da un'impresa.

In conclusione, la registrazione di uno slogan come marchio innanzi all’EUIPO è possibile a condizione che lo slogan sia dotato di carattere distintivo e quindi idoneo a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese.

Su un simile argomento può essere interessante l’articolo “L’EUIPO sulla registrabilità come marchio UE dello slogan “TAKE FIVE””

 

Technology, Media and Telecommunications

Pubblicato il bando del Ministero delle Imprese e del Made In Italy per progetti di sperimentazione e ricerca sul 5G

Il 20 marzo scorso, il Ministero delle Imprese e del Made In Italy (ex Ministero dello Sviluppo Economico - MiSE) ha dato notizia sul proprio sito istituzionale della pubblicazione di un nuovo bando per finanziare progetti di sperimentazione e ricerca sul 5G, nel contesto del “Programma di supporto alle tecnologie emergenti 5G”.

Il Programma di supporto nell’ambito del quale è stato previsto il bando in commento, è stato approvato con Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 26 marzo 2019, in attuazione della delibera del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) n. 61/2018. L’obiettivo del Programma è quello di realizzare progetti di sperimentazione, ricerca applicata e trasferimento tecnologico, basati sull’utilizzo delle tecnologie emergenti, quali Blockchain, Intelligenza Artificiale (AI), Internet delle cose (IoT), collegate allo sviluppo delle reti di nuova generazione.

Il Programma – finanziato con le risorse del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC) 2014-2020 – è diviso in due c.d. “Assi di intervento”. Il primo “asse” ha come obiettivo principale quello di condurre alla realizzazione di c.d. “Case della tecnologia”, ossia centri di trasferimento tecnologico finalizzati a coniugare le competenze scientifiche delle università e degli enti di ricerca con le esigenze delle imprese. Il bando relativo ai progetti previsti nell’ambito del primo asse è stato pubblicato lo scorso anno e la procedura si è conclusa a fine dicembre 2022. Il secondo asse – nell’ambito del quale si contestualizza il bando in commento – ha invece ad oggetto “Progetti di ricerca e di sviluppo”.

In continuità con quanto previsto dal decreto del 26 marzo 2019, il Ministero delle Imprese e del Made In Italy ha quindi dato avvio, con D.M. 21 novembre 2022, alla promozione di progetti di sperimentazione rivolti allo sviluppo di prodotti, processi, servizi o modelli di business e organizzativi innovativi realizzati attraverso le tecnologie emergenti, grazie all’uso e allo sviluppo delle reti mobili ultra veloci (5G) e alla ricerca sulle reti mobili di nuova generazione (6G). È in questo contesto che è stato pubblicato il bando in commento.

Come si legge nel bando, possono parteciparvi solo gli enti pubblici, beneficiari del finanziamento in caso di aggiudicazione della procedura, in qualità di “capofila” di un partenariato composto obbligatoriamente da almeno un soggetto appartenente a ciascuna delle seguenti categorie: (i) università pubblica o privata e/o ente e centro di ricerca pubblico o privato; (ii) impresa, PMI e/o start up costituite, italiane o estere, con una sede operativa sul territorio italiano.

Le domande di partecipazione al bando per i progetti di sperimentazione e ricerca sul 5G dovranno essere presentate entro il 19 maggio 2023.

Su un simile argomento può essere interessante l’articolo “Pubblicato il nuovo Bando relativo al Piano Italia 5G”.

 

Life Sciences

Pubblicità di dispositivi medici senza autorizzazione ministeriale

Il 18 marzo 2023 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto 26 gennaio 2023 sull’individuazione delle fattispecie di pubblicità di dispositivi medici che non necessitano dell’autorizzazione ministeriale.

Il nuovo decreto cristallizza poche fattispecie aggiuntive rispetto alla precedente disciplina normativa vigente (rappresentata dal decreto ministeriale n. 21968/2006 e dal decreto ministeriale del 6 ottobre 2020, ora abrogati), prevedendo che non sono oggetto di autorizzazione del Ministero della salute le pubblicità dei seguenti dispositivi:

  • Profilattici;
  • Accessori di dispositivi medici, come le montature per occhiali, a condizione che il messaggio pubblicitario si riferisca esclusivamente a proprietà non sanitarie;
  • La pubblicità istituzionale di un fabbricante o un distributore di dispositivi medici, a condizione che non siano vantate specifiche proprietà di tali dispositivi, anche mediante l'immagine della loro confezione;
  • Le forme di promozione di dispositivi medici realizzate attraverso la messa in vendita di confezioni multiple al prezzo della confezione unitaria o mediante modalità diverse di operazioni a premio o concorsi, fermo restando il divieto di diffondere senza autorizzazione messaggi che si riferiscano a proprietà e caratteristiche del dispositivo medico;
  • L’immagine, la rappresentazione grafica del dispositivo o il suo confezionamento sui listini dei prezzi di vendita e sugli annunci degli eventuali sconti praticati al pubblico;
  • Limitatamente alla vendita a distanza, l’immagine, la rappresentazione grafica del dispositivo o la sua confezione nonché la descrizione e la destinazione d’uso così come riportate nelle istruzioni per l'uso, purché sia presente e consultabile la versione integrale delle istruzioni per l'uso.

Qualora la pubblicità realizzata presenti informazioni dalle quali può derivare un rischio per la salute dei consumatori, Il Ministero della salute ne ordina l’immediata cessazione, nonché la diffusione, a spese del trasgressore, di un comunicato di rettifica e precisazione.

Il nuovo decreto si colloca nell’ambito del dibattuto contesto della disciplina nazionale sulla pubblicità dei dispositivi medici. Come noto, nonostante l’entrata in vigore del Regolamento dell’Unione europea sui dispositivi medici (MDR), il Ministero ha ritenuto compatibili con la nuova disciplina di MDR le disposizioni nazionali in materia di autorizzazione della pubblicità dei prodotti non soggetti a prescrizione e dei dispositivi che possono essere impiegati senza l’assistenza di un medico, e il regime autorizzativo rimane pertanto vigente (si veda al riguardo l’articolo 26 del d.lgs. 137/2022).

Su un simile argomento può interessarvi l’articolo “Per la pubblicità dei dispositivi medici è confermata l’autorizzazione”.

 


La rubrica Innovation Law Insights è stata redatta dai professionisti dello studio legale DLA Piper con il coordinamento di Arianna AngillettaGiordana BabiniCarolina Battistella, Carlotta Busani, Giorgia Carneri, Maria Rita Cormaci, Camila CrisciCristina Criscuoli, Tamara D’AngeliChiara D’Onofrio, Federico Maria Di Vizio, Enila EleziChiara Fiore, Emanuele Gambula, Laura Gastaldi, Vincenzo Giuffré, Filippo GrondonaNicola LandolfiGiacomo Lusardi, Valentina Mazza, Lara MastrangeloMaria Chiara Meneghetti, Deborah Paracchini, Tommaso Ricci, Rebecca Rossi, Massimiliano Tiberio, Alessandra Tozzi, Giulia Zappaterra

Gli articoli in materia di Telecommunications sono a cura di Massimo D’Andrea e Flaminia Perna.

Per maggiori informazioni sugli argomenti trattati, è possibile contattare i soci responsabili delle questioni Giulio Coraggio, Marco de Morpurgo, Gualtiero Dragotti, Alessandro Ferrari, Roberto Valenti, Elena VareseAlessandro Boso Caretta, Ginevra Righini.

È possibile sapere di più su “Transfer”, il tool di legal tech realizzato da DLA Piper per supportare le aziende nella valutazione dei trasferimenti dei dati fuori dello SEE (TIA) qui e consultare una pubblicazione di DLA Piper che illustra la normativa sul Gambling qui, nonché un report che analizza le principali questioni legali derivanti dal metaverso qui.

DLA Piper Studio Legale Tributario Associato tratta i dati personali in conformità con l'informativa sul trattamento dei dati personali disponibile qui.

Qualora non si volesse più ricevere gli Innovation Law Insights o ci si volesse iscrivere alla stessa, è possibile inviare un'email a Silvia Molignani.